Per
convincere una persona a scegliere il bene e abbandonare il male ho due strade
tracciate: quella di evidenziare il male che sta compiendo, minacciando
castighi e conseguenze nefaste, oppure quella di evidenziare il bene che
potrebbe compiere e indicare i motivi, il fascino e l’opportunità di compiere
il bene. Papa Francesco ha scelto questa seconda strada, applicando al suo
magistero un linguaggio positivo e mai impositivo, mostrando la bellezza
dell’ideale evangelico, la possibilità di avvicinarci ad esso. Il linguaggio positivo
non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello
che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca
sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla
lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione
positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia
prigionieri della negatività.
Il cardinal Müller, spesso lontano dalle posizioni
“aperte” di papa Francesco, ha affermato di aver concordato con il papa,
all’inizio del suo mandato, l’intenzione di parlare sempre in positivo. Questo
nuovo stile gli ha permesso di parlare liberamente di tutto (anche di morale
sessuale e di aborto), senza ricevere l’opposizione pregiudiziale dei
mass-media. Ma più che di strategia Müller riconosce a papa Francesco di muoversi in sintonia con i pontificati
precedenti, ma con un carisma che gli permette di parlare a tutti, anche a
coloro che precedentemente si erano dimostrati critici con la Chiesa. Il vescovo argentino V. M. Fernández, amico e
collaboratore di papa Francesco, ha così esemplificato:
se si riesce a far ardere i
cuori, o per lo meno a mostrare ciò che vi è di attraente nel Vangelo, allora
le persone saranno più predisposte a conversare e a riflettere
anche in merito a una risposta inerente la morale. […] Per esempio, non giova
molto parlare contro il matrimonio omosessuale, perché la gente tende a vederci
come se fossimo dei risentiti, dei crudeli, persone poco comprensive o
addirittura esagerate. Un’altra cosa è quando parliamo della bellezza del
matrimonio e dell’armonia che si crea nella differenza risultante dall’alleanza
tra un uomo e una donna, e in questo contesto positivo emerge, senza quasi
doverlo far notare, quanto sia inadeguato usare lo stesso termine e chiamare
“matrimonio” l’unione di due persone omosessuali.
A rimanere perplessi e a volte sconcertati dalle
parole e dai gesti del papa sono alcune frange di cattolici “integralisti”.
Questi temono che il linguaggio positivo sia un linguaggio ambiguo che lascia
spazio ad ogni interpretazione e dunque anche a giustificare ogni scelta
morale. È evidente del resto l’abitudine dei giornalisti di mettere in bocca al
papa affermazioni a loro gradite, ma -sganciate dal contesto del discorso –
spesso imprecise, fuorvianti e false. Risponde indirettamente lo stesso papa
Francesco:
Non possiamo insistere solo sulle questioni
legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi.
Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è
stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il
parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa,
ma non è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto
dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria
non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di
dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra
sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di
più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi
trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa
rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il
profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda,
irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali.
A
sconcertare è stata anche la mano tesa dal papa a storici “nemici” del
cristianesimo come Scalfari, Pannella e Bonino. Ma è così che il papa ci
insegna l’arte del dialogo, dell’amicizia che passa attraverso la comune
sensibilità per il bene. Con loro condivide l’attenzione per gli ultimi, la
lotta contro l’ingiustizia. Non dimenticando le battaglia vissute su fronti
contrapposti (contro o a favore dell’aborto, del divorzio, dell’eutanasia…),
privilegia ciò che unisce, più di ciò che divide.
Müller
commenta: “penso che
possiamo tutti vedere, dalla reazione della stampa, che oggi ci sia meno
aggressione contro la Chiesa. Non sono diventati tutti cattolici, chiaramente,
ma almeno parlano di altre cose”. Ed
esemplifica:
Papa Francesco ha il coraggio di parlare del demonio. Se papa Benedetto
avesse detto quello che oggi dice Francesco sul Diavolo, avrebbero detto che
era retrogrado e medievale. Ma il nostro Papa ha oggi il carisma di dire queste cose: il diavolo
esiste, opera ed è molto cattivo, e chi accoglie i suoi suggerimenti è
colpevole.
E.G., 159. Vedi
anche quanto scrive poco più avanti: “Per quanto
riguarda la proposta morale della catechesi, che invita a crescere nella
fedeltà allo stile di vita del Vangelo, è opportuno indicare sempre il bene
desiderabile, la proposta di vita, di maturità, di realizzazione, di fecondità,
alla cui luce si può comprendere la nostra denuncia dei mali che possono
oscurarla. Più che come esperti in diagnosi apocalittiche o giudici oscuri che
si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione, è bene che possano
vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della
bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo” (EG, n.168).