XXVI domenica Tempo ordinario - Anno C: "Il ricco epulone e il povero Lazzaro"
LETTURE
La liturgia di questa domenica ci mette ancora una volta di fronte all'uso distorto della ricchezza, che è causa di indifferenza e di ingiustizia (e, di conseguenza, rende impossibile entrare nel Regno di Dio).
La liturgia di questa domenica ci mette ancora una volta di fronte all'uso distorto della ricchezza, che è causa di indifferenza e di ingiustizia (e, di conseguenza, rende impossibile entrare nel Regno di Dio).
Non è ovviamente un caso che, nella parabola, ad avere un nome proprio è solo il povero Lazzaro, mentre il ricco viene tutt’al più ricordato come un “epulone”, cioè un gaudente, una persona che amava godere delle sue ricchezze. La sua identità è sostituita dai vestiti (sontuosi) e dal cibo (succolento).
E che male c’è? Di per sé il ricco non è descritto come un malvagio. Non ha fatto del male a nessuno, ma non ha neanche fatto del bene.
E’ stato INDIFFERENTE: tra lui e il povero Lazzaro c’era un ABISSO in terra e tale rimane anche in cielo. Come a dire: noi costruiamo in terra il nostro futuro: la mancanza di amore del ricco diventa l’arida mancanza che vive in cielo. E' venuta meno la sua stessa umanità. Chi è chiuso in sè stesso si chiude anche alla misericordia di Dio, si inaridisce, pian piano muore di insensibilità.
“Guai agli spensierati” dice il profeta Amos (I L) “che mangiano, canterellano, bevono…”, non fanno niente di male se non disinteressarsi della rovina del loro popolo che sfocerà nel dramma della deportazione che mette fine all’ “orgia dei dissoluti”.. Non si sono preoccupati…ora la rovina del loro paese li trascina nella disperazione.
Sembra sentirvi gli echi della nostra indifferenza nei confronti della situazione politica del nostro paese in crisi, ma anche dell’indifferenza quotidiana che viviamo nei confronti della sofferenza dei nostri stessi vicini di casa che raramente conosciamo veramente. O dei poveri che dormono per strada e, per strada, muoiono nell'indifferenza generale.
Il ricco non si accorge del povero che muore alla sua porta e che desiderava solo le briciole dei suoi banchetti (e che sarebbe potuto sopravvivere anche solo cibandosi delle sue briciole).
“A volte si può vivere senza conoscere i vicini di casa” – ha twittato qualche anno fa Papa Francesco, ma “questo non è vivere da cristiani”.
Nei condomini delle città il contatto umano sembra un fattore marginale. I pianerottoli sono luoghi per saluti tanto fugaci quanto di circostanza, le porte d’ingresso barriere in difesa di una legittima privacy ma che finiscono con l’impedire i rapporti tra le persone.
Una volta a casa, viviamo in una sorta di permanente chiusura in cui sembra contemplato solo l’incontro casuale. Si è sempre sulla difensiva. Si ha paura di aprirsi. Forse perché prima ancora che indifferenti si è diffidenti verso l’altro. Una diffidenza che spesso non lascia aperti spiragli per la benché minima conoscenza.
L’egoismo fa chiudere in se stessi e impedisce di vedere l’altro, di riconoscerlo come persona e di riconoscere le sue ragioni.Papa Francesco chiede di attraversare la strada, di scendere o salire una rampa di scale, di superare un semplice pianerottolo, e di bussare alla porta, con discrezione. Il resto si vedrà. Perché i cambiamenti reali, solidi, efficaci, partono sempre dal basso.
Al ricco che, finalmente, si preoccupa del futuro dei suoi familiari, Abramo risponde: hanno Mosè e i profeti. Tradotti oggi potrebbe diventare: i ricchi hanno il Vangelo e i sacerdoti per rendersi conto del rischio che stanno correndo.
Dio più che condannare (non rimane indifferente rispetto all'ingiustizia) vuole salvare anche i ricchi: è a loro (e a noi) che è rivolta questa parabola: Gesù non vuole addomesticare i poveri con la promessa di un risarcimento ultraterreno, ma scuotere i ricchi ora, invitarli a prendere consapevolezza del rischio che corrono, dell'ingiustizia che vivono. Chi è pieno di sè, non ha spazio per Dio e per gli altri: crede di bastare a se stesso, di "salvarsi" da solo, ma così si autocondanna ad una vita senza senso e senza un "lieto fine" per loro.
Il ribaltamento che viene vissuto in cielo non vuole mostrare una sorta di "vendetta" di Dio (insensibile anche alla richiesta di un goccio d'acqua da parte di chi non ha dato neanche le briciole dei suoi pasti), ma un ribaltamento di valori: vivere solo per godere significa creare un abisso invalicabile, un abisso che loro stessi hanno creato, un abisso che gli impediva anche solo di accorgersi di chi, a pochi passi da lui, stava morendo di fame e di stenti.
Il ricco epulone più che essere punito, si autopunisce e la sua tardiva consapevolezza non gli è più utile: è oggi che dobbiamo renderci conto di come stiamo vivendo, è oggi che possiamo cambiare il nostro stile di vita.
C’è un dovere, che riguarda tutti i cristiani, anche nei confronti dei ricchi: li abbiamo evangelizzati? Li abbiamo aiutati a prendere consapevolezza che il puro godimento dei loro beni li porta ad una indifferenza che diventa inevitabilmente aridità, chiusura, egoismo…dannazione?
Siamo solo AMMINISTRATORI dei beni che Dio ci affida- ci ricordava domenica scorsa Gesù nella parabola dell’amministratore disonesto. Dobbiamo amministrarli con giustizia, ma soprattutto con FEDELTA’ al Signore che ci chiede di condividerli e farli diventare strumenti di comunione e amicizia.