I collaboratori di San Paolo apostolo (elenco dalla A alla Z)
Aggiungo una notazione: quando Paolo parla di collaboratori (con-laboro: persone che lavorano con lui per la realizzazione del Regno) usa il termine greco syn-ergoi, coloro che portano sinergia, che danno forza.
Paolo non fu certamente un predicatore solitario: si avvalse anzi di una fittissima rete di rapporti, che andavano da collaboratori stretti e fidati a semplici amici e conoscenti. La sua intricata “rete sociale” è parzialmente ricostruibile, attraverso un confronto critico fra gli accenni sparsi nelle lettere e il quadro biografico offerto dagli Atti degli apostoli.
Meno sicure sono le informazioni provenienti dalla letteratura apocrifa (ad es. dagli Atti di Paolo e Tecla, della fine del II secolo), dato che questa integra spesso in maniera leggendaria e fantasiosa le lacune lasciate dalle fonti più antiche, adattandole a un contesto sociale e culturale diverso: ciò non toglie che un esame approfondito di esse potrebbe far emergere dettagli non privi di una qualche attendibilità (è quanto ha cercato di dimostrare, fra gli altri, D.R. MacDonald, The Legend and the Apostle. The Battle for Paul in Story and Canon, Philadelphia 1983).
L’elenco che segue prende in considerazione soltanto i nomi presenti nelle lettere di Paolo incluse nel canone, integrandone i dati – qualora possibile – con la testimonianza degli Atti degli apostoli (e talora anche di altre fonti). Alcuni personaggi, pertanto, sono stati esclusi dall’elenco: Agabo, Anania di Damasco, Damaris di Atene, Dionigi l’areopagita, Giuda detto Barsabba, Lidia di Tiatira, Mnàsone di Cipro, Secondo di Tessalonica e il figlio senza nome della sorella di Paolo, in quanto menzionati solo dagli Atti; e Giacomo “fratello del Signore” perché, pur essendo nominato da Paolo nelle lettere, svolse un ruolo indipendente dalle sue missioni. In corsivo sono indicati i nomi dei personaggi che compaiono in entrambe le fonti.
***
Acaico. Viene nominato nei saluti che concludono la Prima lettera ai Corinzi, accanto a →Stefana e →Fortunato, «i quali hanno supplito alla vostra mancanza, hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro» (1Cor 16,17-18). Al momento in cui Paolo scrive, costoro si trovano tutti ad Efeso, in compagnia dell’apostolo.
Alessandro il ramaio. Secondo 2Tim 4,14-15, procurò a Paolo «molti mali», e ne avversò le parole: per questo l’apostolo mette in guardia Timoteo dal frequentarlo, e gli preannuncia un castigo da parte di Dio («Il Signore gli renderà secondo le sue opere»: citazione da Sal 62,13). Può essere identificato con l’Alessandro di cui si parla in 1Tim 1,19-20, che Paolo aveva provveduto a far espellere dalla comunità (probabilmente Efeso) assieme a un certo →Imeneo. Ad entrambi sarebbe stata imputata la colpa di «aver fatto naufragio nella fede»: e questo ne avrebbe resa necessaria la «consegna a Satana», ossia l’espulsione temporanea dal gruppo, affinché imparassero «a non bestemmiare» (1Tim 1,20).
Ampliato. È presente nella lunga lista di persone che Paolo saluta al termine della sua lettera alle comunità di Roma (Rm 16,8). Viene definito «diletto (carissimo) mio nel Signore».
Andronico e Giunia. Probabilmente si trattò di una coppia di sposi (a lungo si è discusso del carattere femminile o maschile dell’accusativo Iouniân presente in Rm 16,7, anche perché in età medievale e moderna si ritenne inverosimile – a torto – che Paolo potesse fregiare una donna del titolo di apóstolos). Il loro ingresso nel movimento dei seguaci di Gesù dovette precedere cronologicamente quello di Paolo, dato ch’egli stesso li qualifica come «insigni (epísmoi) fra gli apostoli», e afferma che «si sono uniti a Cristo prima di me» (Rm 16,7). Paolo li definisce pure come suoi «consanguinei e compagni di prigionia». Al momento della stesura della Lettera ai Romani risiedevano nell’Urbe.
Apelle. Presente nella lista dei saluti che Paolo indirizza alle comunità romane, viene definito «provetto (dókimon) in Cristo» (Rm 16,10), ma il motivo ci è ignoto.
Apollo. Stando alle notizie che possiamo desumere dagli Atti (18,24 – 19,1), Apollo era un «giudeo proveniente da Alessandria», un «uomo eloquente» (anér lógios, espressione greca che corrisponde al latino vir dicendi peritus), «versato nelle Scritture», «ben istruito sulla via di Dio» e in grado di «insegnare accuratamente le cose riguardanti Gesù». Apollo si sarebbe distinto soprattutto per la sua capacità di confutare pubblicamente i “Giudei”, «dimostrando attraverso le Scritture che Gesù era il Cristo». Eppure, notano sempre gli Atti, egli «conosceva soltanto il battesimo di Giovanni [Battista]». Il testo afferma che si rese pertanto necessario «prenderlo in disparte», per esporgli con «maggiore accuratezza» ciò che riguardava la «via del Signore»: e della cosa si sarebbero occupati due collaboratori di Paolo, →Prisca e →Aquila. Diventò una figura di primo piano nella comunità di Corinto, date le frequenti menzioni che di lui si fanno in 1Cor (1,12; 3,4.5.6.22; 4,6; 16,12). Anche la Prima lettera di Clemente Romano ai Corinzi, verso la fine del I secolo, lo ricorda come «un uomo stimato dagli apostoli» (1Clem 47,3,2). Forse è a lui che si riferisce il fugace accenno della Lettera a Tito (3,13), dov’è affiancato a →Zena.
Appia. La «sorella» Appia viene menzionata al v. 2 del breve biglietto indirizzato a →Filemone: il suo nome compare immediatamente dopo quello del destinatario principale della lettera, del quale possiamo supporre che fosse moglie (nello stesso versetto, infatti, Paolo fa riferimento alla ekklesía che si raduna nell’oikos, vale a dire nella “casa”, dello stesso →Filemone). L’→Archippo nominato assieme a lei, a questo punto, potrebbe essere suo figlio.
Aquila. Vd. →Prisca (o Priscilla) e Aquila.
Archippo. È il destinatario di un avvertimento speciale in Col 4,17: «Dite ad Archippo: bada di portare a compimento l’incarico (diakonían) che hai ricevuto nel Signore». Da Fm 2 ricaviamo che potrebbe trattarsi di un figlio di →Filemone e →Appia.
Aristarco. Compare tra i collaboratori che affiancano Paolo in Fm 24, assieme a →Marco, →Dema e →Luca. Stando ai saluti finali di Col 4,10, fu «compagno di prigionia» (synaichmalōtos) di Paolo. L’apostolo ne segnala pure l’appartenenza a «quelli (che vengono) dalla circoncisione» (Col 4,11). Gli Atti lo presentano come un macedone, al fianco dell’apostolo nel corso del suo terzo viaggio missionario in Asia (At 20,4) e nel viaggio da Gerusalemme a Roma (At 27,2). Il testo di Luca riferisce anche di un tentativo di linciaggio subito da Aristarco, assieme a →Gaio di Macedonia, durante la predicazione ad Efeso (At 19,29).
Aristobulo (quelli di). Parte del suo oikos viene salutato dall’apostolo in Rm 16,11. Verosimilmente, come si deduce dalla particolare espressione greca del testo originale, si trattava di un gruppo di (ex?) schiavi che lavorarono alle dipendenze del liberto Aristobulo, nipote di Erode il Grande, morto a Roma alla fine degli anni 40 del I secolo. In seguito costoro sarebbero passati a far parte di un’altra familia, mantenendo la loro denominazione primeva.
Artema. Il suo nome, abbreviazione di Artemidoro, ci è noto grazie a Tit 3,13, dove si chiede a →Tito di inviare lui o →Tichico a sorvegliare la comunità di Creta. Asìncrito. Dai saluti di Paolo in Rm 16,14, pare che facesse parte di una piccola comunità domestica di Roma, che comprendeva →Flegonte, →Ermete (o Erme), →Pàtroba, →Erma e «i fratelli che sono con loro». Secondo P. Lampe, tutti questi nomi (eccetto quello di Ermete) tradiscono una provenienza dalle zone orientali dell’Impero, e risultano tipici di liberti o di individui di status servile.
Barnaba (Giuseppe, detto). Presentato dagli Atti come un «levita, originario di Cipro» (At 4,36-37), fu tra i membri più influenti della comunità di Antiochia (At 13,1-2), all’interno della quale volle accogliere e incorporare il giovane Paolo (At 9,27; 11,22-26). Con lui affronterà una delicata missione in soccorso dei poveri della Giudea (At 11,28-30; 12,25) e un viaggio missionario nella nativa Cipro e in Anatolia (At 13,1-14,28). Si separerà da Paolo (At 15,36-39) dopo un incontro decisivo con le “colonne” di Gerusalemme (cf. Gal 2,1-10 e At 15,2-39) e il cosiddetto “incidente di Antiochia” (Gal 2,11-14), dirigendosi alla volta di Cipro, dove secondo la tradizione avrebbe poi subito il martirio per lapidazione e rogo. Il suo nome, a conferma dell’enorme prestigio apostolico di cui godette, compare anche in 1Cor 9,6. Gli venne attribuito uno scritto a carattere omiletico, la cosiddetta Lettera di Barnaba, datata dai moderni tra la fine del I secolo e gli inizi del II secolo.
Caio (o Gaio). Vd. →Gaio.
Carpo. Stando a 2Tim 4,13, l’apostolo avrebbe lasciato presso di lui, a Troade, alcuni effetti personali: un mantello, alcuni libri e delle pergamene. Non possediamo altre informazioni sulla sua identità.
Cefa. A partire da una notizia di Clemente Alessandrino riferita da Eusebio (Hist. Eccl. I,12,2), si è messo in dubbio che il nome di Cefa presente in alcuni passi paolini possa alludere a Simon Pietro, ma la congettura appare insostenibile. Le più antiche attestazioni di Kephas (grecizzazione dell’aramaico kepha’, “pietra”), soprannome di Simon Pietro, compaiono proprio nelle lettere di Paolo (1Cor 1,12; 9,5; 15,5; Gal 1,18; 2,9-14) e in un passaggio del vangelo di Giovanni (1,42). Fonti più tarde, come il cosiddetto Index graeco-syrus o la lista degli apostoli e dei discepoli attribuita a Epifanio di Salamina, annoverano il Cefa di cui Paolo parla in 1Cor 1,12; 3,22 e in Gal 2,11-14 fra i «settanta discepoli del Signore» (vd. Lc 10,1): più tardi, egli sarebbe divenuto vescovo di Iconio. Ma la notizia dell’Index è esplicitamente derivata da Eusebio, e la maggioranza degli esegeti non la ritiene degna di credito, anche per il fatto che l’apostolo nomina Cefa, alludendo verosimilmente a Pietro, in altri punti di 1Cor: al v. 9,5, assieme ai «fratelli del Signore» e a Barnaba; e al v. 15,5, in qualità di primo testimone della risurrezione di Gesù. Potrebbe allora la doppia menzione di 1Cor 1,12 e 3,22 riferirsi a un omonimo? Piuttosto, è più corretto immaginare che il ruolo e la figura di Cefa/Pietro fossero ben noti alle comunità paoline, anche grazie alla predicazione dello stesso Paolo.
Claudia. È nominata nella lista di quanti salutano Timoteo, in 2Tim 4,21, assieme a →Eubulo, →Pudente, →Lino e «i fratelli tutti».
Clemente. Scrivendo ai Filippesi, Paolo lo nomina fra i «collaboratori» che hanno combattuto con lui per la diffusione del Vangelo, «i cui nomi sono scritti nel libro della vita» (Fil 4,2-3). Non può essere in alcun modo identificato col Clemente che divenne vescovo di Roma alla fine del I secolo (88 – 97), e del quale ci è giunta una lettera indirizzata alla comunità di Corinto (1Clem).
Cloe. Fu probabilmente alla guida di una delle varie assemblee domestiche di Corinto. In 1Cor 1,11 Paolo fa riferimento ad informazioni ricevute oralmente da parte di «quelli di Cloe», forse suoi schiavi.
Crescente (o Crescenzio). Il suo nome ricorre soltanto in 2Tim 4,10: l’apostolo, nella solitudine delle sue catene, segnala la defezione di →Dema e la partenza di →Tito e Crescente. Quest’ultimo, di cui non sappiamo nient’altro, sarebbe partito in particolare per la regione galata.
Crispo. Assieme a →Gaio, fu tra le poche persone che Paolo battezzò personalmente a Corinto (1Cor 1,14). Gli Atti riferiscono di un archisinágōgos («guida sinagogale») di Corinto, di nome Crispo, che si convertì con tutta la sua famiglia alla fede in Cristo (At 18,8). Il compito dell’archisinagogo era quello di gestire i locali del luogo di culto, curando il corretto svolgimento della liturgia e selezionandone i partecipanti con funzioni speciali.
Dema. Viene citato nei saluti che concludono il breve biglietto a Filemone (24), accanto a →Marco e ad →Aristarco, e la Lettera ai Colossesi (4,14), accanto a →Luca. La composizione di questi due scritti viene generalmente collocata durante un periodo di detenzione subito dall’apostolo ad Efeso: ciò spiegherebbe la ricorrenza di alcuni nomi (cf. Fm 23-24 e Col 4,10-14) e la fuga dello schiavo →Onesimo dalla relativamente vicina Colossi (cf. Fm 10 e Col 4,9). In 2Tim 4,10 si parla di un successivo tradimento da parte di Dema, che avrebbe abbandonato l’apostolo in catene, «preferendo il secolo presente» e fuggendo a Tessalonica. La sua figura verrà messa in rilievo negativamente dalle narrazioni apocrife, in coppia con →Ermogene.
Epafra. È un altro dei nomi che risultano comuni alla lettera a Filemone (23) e a quella ai Colossesi (1,7-8; 4,12-13). Nel primo testo è presentato come «compagno di prigionia (synaichmalōtos) in Cristo Gesù», nel secondo come «diletto compagno di servizio (syndoulos) e fedele ministro (diákonos) di Cristo in vece nostra» e infine come «servo (doûlos) di Cristo Gesù»: tutti titoli che dimostrano l’enorme stima che Paolo dovette nutrire nei suoi confronti. L’apostolo ne ricorda parimenti la fondamentale opera missionaria a Colossi, Laodicea e Gerapoli (Col 4,12-13).
Epafrodito. Da non confondersi con →Epafra (che pure è abbreviazione di Epafrodito), questo personaggio si mosse da Filippi, sua comunità d’origine, alla volta di Roma, per prestare assistenza a Paolo prigioniero (Fil 4,18). Scrivendo ai Filippesi, l’apostolo ne parla come di un «fratello (adelphós), collaboratore (synergós) e compagno di lotta (systratiōtēs)». La sua storia è narrata con viva commozione in Fil 2,25-30: avendo rischiata la morte per raggiungere Paolo, ed essendo caduto malato a causa del lungo viaggio, l’apostolo decise di rimandarlo a Filippi, perché i suoi concittadini, vedendolo tornare, si rallegrassero di nuovo e lo accogliessero «nel Signore, con grande festa».
Epèneto. Per esplicita ammissione di Paolo (Rm 16,5), fu tra i primi convertiti nella provincia romana dell’Asia (questo il senso dell’espressione presente nel testo: «che rappresenta le primizie dell’Asia offerte a Cristo»). L’apostolo lo ricorda come a lui «carissimo».
Erasto. Era il «tesoriere» (oikonómos) di Corinto, secondo quanto emerge dai saluti in Rm 16,23. La notizia potrebbe trovare conferma in un’iscrizione dell’epoca, proveniente proprio da Corinto, che parla di un Erasto «responsabile dei lavori pubblici». Secondo la narrazione degli Atti degli apostoli (19,21), un Erasto venne inviato da Efeso in Macedonia, assieme a →Timoteo. La Seconda lettera a Timoteo lo descrive nuovamente a Corinto, negli ultimi anni di vita dell’apostolo (2Tim 4,20).
Erma. Vd. →Asìncrito. Del tutto improbabile l’identificazione, avanzata già da Origene e da Eusebio di Cesarea, con l’Erma autore del Pastore (opera databile tra il 100 e il 160).
Ermete (o Erme). Vd. →Asìncrito.
Ermogene. È tra i collaboratori dell’Asia che abbandonarono Paolo durante la (prima?) detenzione romana, secondo 2Tim 1,15. Di un «ramaio» di nome Ermogene, compagno di →Dema, possediamo un ritratto a tinte fosche grazie agli Atti di Paolo e Tecla (III,1.4.12-14).
Erodione. Viene salutato da Paolo in Rm 16,11, con la qualifica di «consanguineo», «della stessa stirpe» (syggenēs), che l’apostolo riserva nel contesto della lettera soltanto ad altri cinque personaggi: →Lucio, →Giasone, →Sosipatro, →Andronico e →Giunia. Questo indica che la stragrande maggioranza dei personaggi menzionati tra i saluti di Rm 16 non fosse di origine ebraica (del resto, ben 19 dei 26 nomi presenti nel capitolo non risultano attestati in ambiente ebraico, all’epoca di Paolo). Il nome greco Herodion, variante di Herodian e del latino Herodianus, tradisce un’origine servile, e non è attestato altrove prima del IV secolo.
Eubulo. Il suo nome apre l’elenco delle persone (→ Pudente, → Lino, → Claudia e «i fratelli tutti») che salutano Timoteo, in 2Tim 4,21. Null’altro sappiamo.
Evodia e Sintiche. Queste due donne di Filippi, benemerite nella lotta per la diffusione del Vangelo, furono al centro di un contrasto i cui motivi vengono taciuti. L’apostolo le esortò a «riconciliarsi (to autò phroneîn) nel Signore», e pregò qualcuno (→Epafrodito o →Sizigo) di aiutarle a ritrovare la concordia perduta (Fil 4,2-3).
Febe. È indicata come «diaconessa» della comunità di Cencre, città portuale dell’istmo di Corinto, in Rm 16,1. A questa stimata «sorella», che fu già di grande aiuto per Paolo e per molti altri, l’apostolo affida il compito di consegnare la Lettera ai Romani, raccomandando ai destinatari di accoglierla «nel nome del Signore, in maniera degna dei santi» (Rm 16,2). L’appellativo diákonos, peraltro declinato al maschile nel testo, non indica ancora un incarico ministeriale definito (vd. ad es. Rm 13,4), ma è comunque indice di grande responsabilità, e implica attività di predicazione e di insegnamento. Il nome di Febe e le sue stesse credenziali fanno pensare a una donna di condizione agiata.
Figelo. Viene menzionato fra «quelli che sono dell’Asia», probabilmente immigrati efesini residenti a Roma, che abbandonarono Paolo durante la sua prigionia (2Tim 1,15). Il suo nome è affiancato a quello di →Ermogene: la perdita dell’uno e dell’altro, evidentemente, dovette suonare particolarmente amara.
Filemone. Si tratta del destinatario della più breve (ma non per questo meno significativa) fra le lettere di Paolo. Nativo di Colossi, e verosimilmente personaggio influente nella vita di questa città, viene indicato dall’apostolo come suo «collaboratore» (synergos). Dall’intestazione della lettera (Fm 1-2) possiamo ricavare il nome della sua probabile moglie, →Appia, e forse di uno dei suoi figli (→Archippo). Tra i suoi schiavi figurava →Onesimo, la cui fuga improvvisa diede origine al toccante biglietto di Paolo.
Filologo e Giulia. I nomi di questa coppia compaiono tra i destinatari dei saluti in Rm 16,15. Furono probabilmente a capo di una piccola comunità domestica di Roma, che comprendeva oltre a loro →Nèreo e sua sorella (forse i figli), →Olimpa e «tutti i santi che sono con loro» (quest’ultima frase si riferisce con ogni probabilità anche alla domus ecclesiae del v. 14, di cui faceva parte →Asìncrito).
Flegonte. Vd. →Asìncrito. Fortunato. L’apostolo afferma di godere della sua presenza a Efeso, accanto a quella di →Stefana e di →Acaico (1Cor 16,17-18). Se ne ignorano le generalità, ma si può supporre che facesse parte della «casa» di →Stefana.
Gaio (o Caio). Fu tra le poche persone che Paolo battezzò personalmente a Corinto, assieme a →Crispo (1Cor 1,14). Nella Lettera ai Romani, inviata probabilmente da Corinto, l’apostolo ne parla come di un «ospite (xénos) suo e di tutta la comunità» (Rm 16,23): pertanto potrebbe essere identificato con il →Gaio di Macedonia nominato dagli Atti degli apostoli (19,20). Non va confuso con quel Gaio, lodato per la sua fede e la sua carità esemplari, che appare come destinatario della Terza lettera di Giovanni inclusa nel canone del Nuovo Testamento (3Gv 1,1).
Gaio di Derbe. Il suo nome compare in At 20,4, all’interno di un elenco di persone che affiancano Paolo per un tratto del suo terzo viaggio missionario. Se la definizione «oriundi dell’Asia», che conclude il versetto di At, comprende anche lui, lo si può identificare con →Gaio di Macedonia.
Gaio di Macedonia. Viene nominato dagli Atti accanto ad →Aristarco, come compagno di viaggio di Paolo in Asia e vittima di un tentativo di linciaggio ad Efeso (At 19,29). Problematica, ma non impossibile, l’identificazione con il →Gaio di Derbe menzionato poco oltre dallo stesso testo; più sicura quella con il →Gaio di cui l’apostolo parla in 1Cor 1,14 e in Rm 16,23.
Gesù, detto Giusto. Viene menzionato nei saluti finali della Lettera ai Colossesi (4,11), accanto ai nomi di →Aristarco e di →Marco, cugino di Barnaba: «Di quelli che vengono dalla circoncisione – spiega Paolo – questi sono i soli che collaborano con me per il regno di Dio». In un’occasione imprecisata, forse agli inizi della predicazione, furono loro «l’unico conforto» dell’apostolo.
Giasone. Indicato come «consanguineo», «parente» di Paolo nei saluti di Rm 16,21, può essere identificato col Giasone di Tessalonica di cui parlano gli Atti (17,5-9), influente patrono di una locale comunità domestica.
Giovanni, detto Marco. Vd. →Marco.
Giulia. Vd. →Filologo.
Giunia. Vd. →Andronico e Giunia.
Giuseppe, detto Barnaba. Vd. →Barnaba.
Giusto. Vd. →Gesù, detto Giusto.
Lino. È nominato nella lista di coloro che salutano Timoteo, in 2Tim 4,21, assieme a →Eubulo, →Pudente, →Claudia e «i fratelli tutti». Viene tradizionalmente identificato con l’immediato successore di Simon Pietro sulla cattedra romana (Ireneo, Adv. Haer. III, 3,3; Eusebio, Hist. Eccl. III, 2.48).
Luca. Secondo una venerabile tradizione, riportata fra gli altri da Ireneo (Adv. Haer. III,1,1; 10,1; 14,1; 15,39; 16,8) e da Tertulliano (Adv. Marc. IV,2,4-5), sarebbe stato «l’evangelista» (nel senso attuale del termine) di Paolo, da identificare dunque con l’autore del dittico formato nel Nuovo Testamento dal terzo vangelo e dagli Atti degli apostoli. Gli accenni a un Luca nelle lettere, tuttavia, sono pochi e vaghi: il suo nome compare tra i «collaboratori» che affiancano l’apostolo durante la stesura del biglietto a Filemone (Fm 24), mentre in Col 4,14 se ne parla come del «caro medico». Stando a 2Tim 4,11, sarebbe stato l’unico a non abbandonare Paolo durante la prigionia romana. Alcuni suppongono che il →Lucio nominato in Rm 16,21 possa essere lui. Se lo identifichiamo con l’autore degli Atti, la sua presenza accanto a Paolo è desumibile dal riscontro e dall’analisi delle cosiddette Wir-stücken, le sezioni alla prima persona plurale che puntellano il testo, e che fanno pensare immediatamente a un testimone oculare degli avvenimenti. Se così fosse, l’autore degli Atti avrebbe incontrato l’apostolo a Troade (At 16,10) e lo avrebbe affiancato fino al suo arrivo a Filippi (16,40), accompagnandolo successivamente dalla Macedonia a Gerusalemme (20,5-18) e da Cesarea Marittima a Roma (27,1 – 28,16). Secondo una fortunatissima e affascinante ipotesi che risale al Lietzmann, sarebbe stato Luca il «fratello» senza nome «che ha lode in tutte le chiese a motivo del Vangelo», che Paolo inviò assieme a Tito e ad altri per raccogliere i fondi da recare a Gerusalemme (2Cor 8,18-19.22). Il termine «vangelo», all’epoca in cui Paolo scrive, non indica comunque un testo scritto: per quel che ne sappiamo, quindi, la sua enigmatica raccomandazione poteva alludere a uno qualunque dei tanti predicatori che lo affiancavano nell’attività evangelizzatrice. Fra le molte notizie leggendarie riguardanti Luca, c’è quella riportata dagli Atti apocrifi, che lo descrivono missionario nelle «Gallie» prima della morte di Paolo, e vicino a lui al momento della condanna a morte.
Lucio. Viene menzionato assieme a →Giasone e →Sosipatro, in Rm 16,21, come «della stessa stirpe» (syggeneîs) di Paolo. Alcuni propongono di identificarlo con →Luca, il «caro medico»: quest’ultimo nome potrebbe essere infatti valutato come un’abbreviazione di Loukios. At 13,1 lo indica come originario di Cirene, con un ruolo di spicco nella comunità antiochena.
Marco. Paolo lo presenta come suo «collaboratore» (Fm 24), «cugino di →Barnaba», del numero di «quelli (che vengono) dalla circoncisione» (Col 4,10-11). Può essere agevolmente identificato col →Giovanni Marco di cui parlano a più riprese gli Atti degli apostoli, originario di Gerusalemme. Nella casa di sua madre, una certa Maria, solevano radunarsi in molti per la preghiera (At 12,12.25). Sempre secondo gli Atti, fu lui ad accompagnare →Barnaba e il giovane Paolo nel loro primo viaggio missionario a Cipro e in Anatolia (At 12,25). Dopo il ritorno alla base antiochena, si racconta, →Barnaba volle prenderlo nuovamente con sé, ma «Paolo giudicava che non fosse opportuno portarselo dietro, perché li aveva abbandonati in Panfilia e non aveva condiviso la loro opera (di evangelizzazione). Vi fu una grossa lite, cosicché si separarono: →Barnaba prese con sé Marco e salpò alla volta di Cipro, Paolo invece scelse →Sila e partì, raccomandato alla grazia del Signore dai fratelli» (At 15,37-40). Lo ritroveremo ad Efeso, accanto a Paolo prigioniero, come dimostrano i passi citati all’inizio. Secondo 2Tim 4,11, l’apostolo avrebbe chiesto infine a →Timoteo di portarlo via con sé, definendolo «utile per il ministero» (euchrēstos eis diakonían). La tradizione lo vuole autore di uno dei quattro vangeli canonici, discepolo di Pietro (cf. 1Pt 5,13) e attivo a Roma e ad Alessandria d’Egitto: tutti dati storicamente problematici, ma non per questo trascurabili.
Maria. Il suo nome compare tra i saluti in Rm 16,6. Questa donna, dice Paolo, «ha molto lavorato» per le comunità di Roma, e forse rientra fra le sue conoscenze non personali.
Narcisso (quelli di). Alcuni membri dell’oikos di un certo Narcisso risultano destinatari di saluti in Rm 16,10: «quelli (della casa) di Narcisso che sono nel Signore». Che si tratti di schiavi di un non credente lo si desume proprio dall’indicazione del versetto, che specifica il saluto escludendo il loro padrone. Il cognomen Narcissus è frequentemente attestato nelle iscrizioni romane del tempo: nel nostro caso, potrebbe trattarsi del potente liberto dell’imperatore Claudio, fatto uccidere da Agrippina madre di Nerone, che conosciamo grazie alle indicazioni fornite da Svetonio (Claudius 28), Tacito (Ann. 31,1) e Dione Cassio (Hist. Rom. 60,34).
Nèreo e sua sorella. Vd. →Filologo e Giulia.
Ninfa. Compare tra i destinatari dei saluti nella Lettera ai Colossesi, assieme alla comunità che si radunava nella sua casa di Laodicea (Col 4,15). L’accusativo del testo originale, scritto senza accentazione nei codici più antichi, potrebbe nascondere un nome maschile (Nymphâs) o femminile (Nympha), ma generalmente si propende per quest’ultima ipotesi.
Olimpa. Vd. →Filologo e Giulia. A scanso di equivoci, Olympas era un nome maschile, assai diffuso fra schiavi e liberti.
Onesiforo. La sua «casa» fu oggetto di una speciale benedizione da parte di Paolo, secondo quanto si legge in 2Tim 1,16-18: «Il Signore usi misericordia alla casa di Onesiforo, perché spesso egli mi ravvivò, e non arrossì delle mie catene: anzi, una volta giunto a Roma, si mise sulle mie tracce con grande premura, finché non m’ebbe trovato. Il Signore gli conceda di trovare misericordia presso di Lui, in quel giorno: tutti i servizi che ha reso in Efeso, li conosci meglio di me». La sua famiglia è nominata nuovamente fra i saluti della stessa lettera (2Tim 4,19): questo particolare, unito al tono delle righe riportate più sopra, fa pensare che Onesiforo fosse già morto al momento in cui 2Tim venne composta. Gli Atti di Paolo e Tecla riportano i nomi della moglie e dei figli di un Onesiforo di Iconio (III,2).
Onesimo. Schiavo di →Filemone, fuggito da Colossi per ragioni che non appaiono chiare, raggiunse Paolo prigioniero ad Efeso. L’apostolo intercedette per lui, chiedendo all’amico padrone di riprenderlo «non più come schiavo, ma più che schiavo, fratello a me carissimo e, a maggior ragione, a te secondo il mondo e secondo il Signore» (Fm 16). La supplica di Paolo, che pure avrebbe potuto pretendere obbedienza «in Cristo» da parte di Filemone (8), viene fatta «in nome dell’amore», per questo «figlio generato nelle catene… che un tempo non ti fu utile, e oggi invece è utile a te e a me… accoglilo come fossi io stesso» (10-11; 17). Dopo una tale raccomandazione, non stupisce il fatto di ritrovarlo, già attivo nell’evangelizzazione, tra gli inviati di Paolo a Colossi (Col 4,9). Il vescovo Ignazio di Antiochia, che avrà modo di conoscerlo personalmente, lo ricorderà come uomo di «indescrivibile carità» (Eph. 1,3).
Pàtroba. Dai saluti di Paolo in Rm 16,14, pare facesse parte di una piccola chiesa domestica di Roma, che comprendeva →Asìncrito, →Flegonte, →Erme, →Erma e «i fratelli che sono con loro». Pèrside. Paolo la saluta in Rm 16,12, definendola «carissima» e precisando che «faticò molto per il Signore». Qualche commentatore la identifica con la madre di →Rufo. Il nome è tipicamente orientale.
Prisca (o Priscilla) e Aquila. Secondo gli Atti degli apostoli, questa coppia di sposi trovò rifugio a Corinto in seguito a un editto dell’imperatore Claudio che avrebbe espulso i “Giudei” da Roma. In quella città i due conobbero Paolo, offrendogli ospitalità e lavoro. L’apostolo li ebbe come amici e collaboratori fidatissimi, nella conduzione della comunità di Efeso e nella gestione dell’affaire →Apollo (vd. 1Cor 16,19 e At 18,2-26). Paolo indirizza loro dei saluti in due occasioni, in Rm 16,3-4 (dunque mentre si trovano a Roma) e in 2Tim 4,19 (in uno scenario efesino?). Nella Lettera ai Romani, in particolare, emerge tutta la riconoscenza di Paolo nei confronti di questi suoi amati collaboratori: «essi, per salvare la mia vita, hanno rischiato la testa: non li ringrazio soltanto io, ma tutte le chiese dei Gentili» (Rm 16,4). La loro presenza a Roma, come nota J. Murphy O’Connor, «fa pensare a un’attenta pianificazione anticipata. Questa coppia, come s’è visto, aveva offerto a Paolo una base a Corinto e aveva preparato il terreno per il suo ministero a Efeso. Se ora compare a Roma, la deduzione logica è che vi fosse stata inviata da Paolo per anticiparne l’arrivo». Altri (ad es. J.D.G. Dunn) suppongono diversamente, e imputano il loro ritorno temporaneo a Roma ad esigenze collegate alla loro attività commerciale. Altri ancora (P. Lampe), più correttamente, ipotizzano che il loro ritorno abbia coinciso con la scomparsa di Claudio (autunno 54), che fu responsabile del loro esilio. La singolare menzione di Prisca prima del marito Aquila, a segnalarne la maggiore importanza, ricorre in Rm 16,3; 2Tim 4,19 e At 18,18.26; l’ordine inverso si trova invece in 1Cor 16,19 (cf. At 18,2).
Pudente. È nominato nella lista di coloro che salutano Timoteo, in 2Tim 4,21, assieme a →Eubulo, →Lino, →Claudia e «i fratelli tutti».
Quarto. Il suo nome conclude la breve lista delle persone vicine a Paolo al momento in cui scrive ai Romani (Rm 16,23). Viene definito semplicemente «fratello». Dato che compare dopo →Timoteo (che apre la lista), →Lucio, →Giasone e →Sosipatro (che sono detti «consanguinei» dell’apostolo), →Terzo (che ha scritto la lettera), →Caio (ospite di Paolo) ed →Erasto (economo della comunità), possiamo immaginare che Quarto ricoprisse un ruolo minore ma noto, o fosse un membro di recente acquisizione, forse proprio per questo chiamato a chiudere simbolicamente l’elenco dei saluti.
Rufo e sua madre. Salutandolo assieme alla madre, «sua e anche mia», Paolo lo definisce con una formula che non ricorre altrove nell’epistolario, in riferimento a una singola persona: «l’eletto (eklektós) del Signore» (Rm 16,13). Questo indica un rapporto di particolare predilezione, o quantomeno di grande riconoscenza. Ed è ciò che farebbe pensare anche l’espressione «sua e pure mia», riferita alla madre: molto probabilmente Paolo allude a una maternità “spirituale”, forse a un aiuto concreto che questi due personaggi, ma in modo particolare la madre di Rufo, per l’appunto, potrebbero avergli fornito in una circostanza a noi ignota. Il vangelo di Marco cita un Rufo figlio di Simone di Cirene (Mc 15,21), ma l’enorme diffusione del nome e l’improbabilità delle implicazioni che l’identificazione comporterebbe (Paolo fratello di Rufo, e dunque figlio del Cireneo?) invitano a tenere ben distinti i due dati.
Silvano (o Sila). Fu tra i collaboratori di Paolo della prima ora, al fianco dell’apostolo nei suoi viaggi missionari in Grecia (2Cor 1,19; cf. At 15,40 – 18,22). Compare come mittente delle due lettere ai Tessalonicesi (1Ts 1,1; 2Ts 1,1), assieme a Timoteo e ovviamente a Paolo. Viene implicitamente qualificato come «apostolo di Cristo» (1Ts 2,6), il che fa supporre un’investitura diretta da parte di Gesù o di uno dei suoi immediati discepoli: del resto, gli Atti ce lo presentano molto presto attivo a Gerusalemme, col ruolo di scrivano (At 15,22-23), di «inviato» (apóstolos: At 15,27) e di «profeta» (At 15,27), e alludono velatamente al suo possesso della cittadinanza romana (At 16,37-38). Nel testo lucano, viene sempre preferita la variante greca del suo nome (Silas). Stando a 1Pt 5,12, collaborò anche con →Simon Pietro in veste di scrittore.
Simon Pietro. Vd. →Cefa.
Sintiche. Vd. →Evodia e Sintiche.
Sizigo. L’ambiguo termine syzygos si trova in un passo di difficile interpretazione della Lettera ai Filippesi (Fil 4,3), in cui Paolo si rivolge a un ignoto collaboratore, chiedendogli d’intervenire per riportare la pace tra due donne della comunità, →Evodia e →Sintiche. Il vocativo gnē sie syzyge, presente nel testo, potrebbe essere reso con «sincero commilitone», «leale camerata». La maggior parte dei commentatori, tuttavia, ritiene che possa trattarsi di un nome proprio, nonostante la mancanza di attestazioni in tal senso. In passato, appoggiandosi ad alcune affermazioni di Clemente Alessandrino (Strom. III,53,1) e di Origene (In Rom. I,1), si è persino avanzata l’ipotesi di un riferimento di Paolo alla propria moglie, ma la congettura è parsa presto insostenibile. Nel caso in cui non si interpreti syzygos come nome proprio, quindi, resta la possibilità che Paolo intendesse alludere con questa espressione a →Epafrodito, probabile latore della lettera.
Sosipatro. Viene menzionato assieme a →Lucio e →Giasone in Rm 16,21, come «della stessa stirpe» (syggeneîs) di Paolo. Potrebbe trattarsi del Sopatro che gli Atti (20,4) dicono presente in Asia, accanto a Paolo diretto a Gerusalemme per la consegna della colletta, in qualità di «figlio di Pirro di Berea» (forse responsabile di quella comunità).
Sostene. Figura tra i mittenti della Prima lettera ai Corinzi, con il semplice appellativo di «fratello» (1,1). Probabilmente aiutò Paolo nella stesura materiale del messaggio, anche se la collocazione del suo nome nell’incipit ne individua un ruolo di prestigio, per motivi che ci restano ignoti. Alcuni lo identificano con il Tizio Giusto di cui si fa menzione in At 18,7.
Stachi. Compare tra i saluti di Rm 16,9. L’apostolo lo definisce «diletto» (agapetós), con una sfumatura di delicata benevolenza. Il suo nome, frequente nelle iscrizioni del tempo, è attestato per uno schiavo della famiglia imperiale.
Stefana. Al momento in cui Paolo scrive la sua prima lettera alle comunità di Corinto, si trova con lui ad Efeso, in compagnia di →Fortunato e →Acaico (1Cor 16,17-18), probabilmente membri della sua «casa» (figli o schiavi). I tre, investiti dell’incarico di consegnare il messaggio in patria, sono indicati dall’apostolo come «primizia dell’Acaia» (1Cor 16,15-16): vale a dire che Stefana e il suo gruppo familiare furono tra i primi convertiti di questa zona (e tra i pochi ad essere stati battezzati personalmente da Paolo: vd. 1Cor 1,16).
Terzo. Il suo nome si inserisce alla prima persona singolare fra i saluti della lettera indirizzata ai Romani, di cui fu evidentemente l’estensore materiale, lo “scriba” («Vi saluto nel Signore io, Terzo, che ho scritto la lettera»: Rm 16,22).
Tichico. Compare tra i nomi che affiancano Paolo nelle sue missioni in Grecia e in Asia, per la raccolta della colletta da destinare alla comunità di Gerusalemme (At 20,4). Nella Lettera ai Colossesi viene presentato come «diletto fratello, fedele ministro (diákonos) e mio compagno di servizio (syndoulos) nel Signore» (Col 4,7). L’apostolo lo inviò a Colossi assieme ad →Onesimo, col compito di recapitare la lettera e di informare a voce i destinatari riguardo a «tutte le cose di qui» (Col 4,8-9). Stesso incarico risulta dalla Lettera agli Efesini: «Affinché anche voi conosciate ciò che mi riguarda e ciò che intendo fare, Tichico, fratello diletto e fedele ministro nel Signore, ve ne darà conto. Ve lo invio proprio per informarvi della situazione e per consolare i vostri cuori» (Ef 6,21). Stando a Tit 3,12 fu accanto a Paolo a Nicopoli, donde potrebbe essere stato inviato alla ricerca di Tito, mentre in 2Tim 4,12 si fa riferimento a una sua partenza da Efeso.
Timoteo. «Fratello nostro e collaboratore di Dio nel Vangelo di Cristo» (1Ts 3,2), «mio collaboratore» (Rm 16,21), «mio figlio diletto e fedele nel Signore» (1Cor 4,17), «che lavora al pari di me per l’opera del Signore» (1Cor 16,10), «figliolo verace nella fede» (1Tim 1,1), «figlio mio» (1Tim 1,18), «uomo di Dio» (1Tim 6,11), «figlio carissimo» (2Tim 1,2): così, all’interno dell’epistolario paolino, viene definito quello che fu forse il prediletto e il più fedele fra i discepoli dell’apostolo. Paolo scrive di non aver mai nessuno che avesse «un animo pari al suo» (isópsychos: Fil 1,20). Il «fratello» Timoteo risulta così tra i mittenti delle due lettere ai Tessalonicesi (1Ts 1,1; 2Ts 1,1), della Seconda lettera ai Corinzi (1,1), della Lettera ai Filippesi (1,1), della Lettera a Filemone (1) e della Lettera ai Colossesi (1,1). Al suo nome sono indirizzate due lettere, che la tradizione attribuisce agli ultimi anni di vita dell’apostolo (1-2Tim): la seconda di esse, a prescindere dalla sua autenticità, può essere considerata come un altissimo testamento spirituale. Gli Atti degli apostoli presentano Timoteo come originario di Listra (località dell’Asia Minore, a duecento chilometri da Tarso), «figlio di una donna giudea credente, ma di padre greco» (16,1-2). Avrebbe accompagnato Paolo nei suoi viaggi missionari in Grecia, Macedonia e Asia, come si ricava da un incrocio fra i dati della narrazione lucana (At 17,14-15; 18,5; 19,22) e quelli sparsi nelle lettere dell’apostolo (ad es. 1Ts 3,2.6; 2Cor 1,19; Fil 2,19-20), e lo avrebbe poi seguito fino a Roma. A Tessalonica, ad esempio, il suo compito fu quello di «confermare» ed «esortare nella fede» (1Ts 3,2.6), a Corinto quello di «richiamare alla memoria le vie»che Paolo aveva indicato «in Cristo» (1Cor 4,17). Dalla Lettera agli Ebrei (13,23) sappiamo di un suo periodo di prigionia, dal quale venne presto liberato. Il suo martirio è tradizionalmente collocato ad Efeso, nel 97.
Tito. Il suo nome ricorre con una certa frequenza nella Seconda lettera ai Corinzi (2,13; 7,6.13-14; 8,6.16.23; 12,18) e in quella ai Galati (2,1.3), in qualità di «fratello», «compagno» (koinōnos) e «collaboratore» (synergos) di Paolo. Nell’epistola che risulta indirizzata a lui, oggi considerata pseudepigrafa, viene invece definito in una maniera simile a Timoteo: «figliolo verace secondo la fede comune» (Tit 1,4; cf. 1Tim 1,1). Stando alle lettere di Paolo sicuramente autentiche, gli furono affidati due incarichi della massima delicatezza: la risoluzione di una crisi che aveva afflitto la comunità di Corinto (2Cor 7,5-16) e la raccolta dei fondi da destinare a Gerusalemme (2Cor 8,16-24). La Lettera ai Galati ricorda inoltre la sua partecipazione a una visita ufficiale presso i «notabili» di Gerusalemme, in rappresentanza delle comunità fondate da Paolo e Barnaba (Gal 2,1-3). Grazie alle lettere pastorali, possiamo immaginarne gli ultimi spostamenti: sarebbe stato inviato da Paolo a Creta, «allo scopo di mettere in ordine quanto rimaneva da completare e per stabilire presbiteri in ogni città» (Tit 1,5), avrebbe raggiunto l’apostolo a Nicopoli (Tit 3,12) e successivamente si sarebbe mosso verso la Dalmazia (2Tim 4,10).
Trifena e Trifosa. Sono menzionate all’interno della lunga lista di saluti della Lettera ai Romani (16,12). Si trattava probabilmente di una coppia di sorelle. Una ricca vedova di nome Trifena, identificabile con un’omonima discendente di Marco Antonio e parente dell’imperatore Claudio, compare nella narrazione degli Atti di Paolo e Tecla, come residente a Iconio dopo un ritiro a vita privata (IV,28).
Trifosa. Vd. →Trifena e Trifosa.
Trofimo. Gli Atti degli apostoli lo ricordano fra gli «oriundi dell’Asia» che accompagnarono Paolo nel suo ultimo viaggio a Gerusalemme (At 20,4), e riferiscono di un incidente che lo avrebbe avuto come protagonista, contribuendo all’arresto dell’apostolo: quando alcuni Giudei «videro nella città Trofimo di Efeso insieme a lui, e pensavano che Paolo l’avesse introdotto (illegittimamente) nel Tempio». Da qui deduciamo la sua origine gentile. Stando al cenno che si fa di lui in 2Tim 4,20, non avrebbe potuto seguire Paolo a Roma (dopo la fine di una sua prima detenzione nell’Urbe) e si sarebbe fermato a Mileto. A questo punto se ne perdono le tracce.
Urbano. Viene salutato in Rm 16,9, come «nostro collaboratore in Cristo». L’uso del pronome plurale potrebbe indicare una conoscenza non personale da parte di Paolo. Ci è altrimenti sconosciuto.
Zena, l’uomo di legge. È indicato fra i possibili latori della Lettera di Tito (3,13). L’appellativo nomikós, accanto al suo nome spiccatamente greco (è l’abbreviazione di Zenodoro), farebbe pensare a un giurisperito romano, più che a un esperto della Legge mosaica. Di più non sappiamo.