FridayForFuture: Greta, San Francesco e tanti "gretini"


Nel giorno delle manifestazioni mondiali per la difesa del creato riporto diversi commenti in merito: quello, ironico, di Gramellini per il Corriere, quello più serioso e critico di Massimo Fini su Il fatto quotidiano e quello di chi lavora nel mondo della scuola (Vino nuovo) e che si chiede se il fatto che la questione ambientale sia stata rimessa al centro dell'attenzione non possa già essere un motivo sufficiente per apprezzare la lotta di Greta e dei giovani.

Gramellini: "E quindi?"
Sono un gretino, con la g e talvolta con la c. Però ho letto il documento di quegli scienziati che negano la mano dell’uomo dietro il cambiamento climatico. Non mi hanno convinto, ma se anche avessero ragione e fosse tutta colpa del sole, che cosa pensano di fare? Neanche loro possono negare che il mare in cui ci raffreddavamo da bambini sia diventato un bagno turco per meduse, che gli orsi ballino il tip tap su lastre di ghiaccio ridotte a piastrelle, o che in Italia ormai piova come ai Tropici. Dire che forse pioveva già forte nell’alto Medioevo non è un buon motivo per affogare nella melma più felici. Lo stesso discorso del senatore Rubbia che gli anti-gretini (dovremo chiamarli indelligendi?) sventolano come una bandiera esordiva con queste parole: «La situazione è assolutamente drammatica».

Appunto. E quindi? Mentre la casa va a fuoco, ha ancora senso litigare se sia stato un cortocircuito o se qualcuno abbia gettato un cerino? Nessuno vuole tornare all’età della pietra. Ma da cotante menti e dai loro corifei, invece di dotte dispute che lasciano il tempo (pessimo) che trovano, ci si aspetta qualche consiglio pratico per adeguarsi al clima, chiunque lo abbia determinato. Tenere puliti i tombini. Rifare gli infissi delle case e degli edifici pubblici. Piantare alberi. Ridurre drasticamente la plastica. Cose così. Un po’ gretine, forse, ma utili. Altrimenti legittimerebbero il sospetto di chi pensa che vogliano smontare le tesi sul cambiamento solo per non cambiare niente.
Massimo Fini:  "San Francesco, Greta e il nostro sistema di vita"
Solo in un’epoca ipocrita, superficiale, ipnotizzata dai media, attenta al clamore e ignara della sostanza, si poteva creare un fenomeno come quello di Greta Thunberg diventata nel giro di un solo anno una superstar, invitata all’Onu e corteggiata dai grandi della terra e anche da importanti e globalizzanti imprese del mondo. Il problema non è Greta i cui obbiettivi sono sacrosanti anche se incompleti (salvare la Terra e gli uomini che la abitano dall’inquinamento). Il fatto è che Greta e le anime belle che la seguono, credo in buona fede (le grandi imprese sono invece in totale malafede perché sanno benissimo che dal vibrante discorso della ragazza non sortirà nulla) sembrano non rendersi conto che per salvarci non solo ecologicamente, ma per salvare, cosa ancora più importante, la qualità della nostra vita, bisognerebbe sradicare completamente l’attuale modello di sviluppo. Bisognerebbe cioè, come sostengono alcune correnti di pensiero americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo, “ritornare in maniera graduale, limitata e ragionata, a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano necessariamente per il recupero della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario”. Bisognerebbe tornare a una vita più povera e più semplice. San Francesco che coniuga insieme il rispetto della natura (cioè della terra, dell’aria, dell’acqua, del vento e di tutti i fenomeni che l’accompagnano) con la povertà aveva capito tutto. Il fraticello di Assisi che non a caso era figlio di un mercante capì per primo, con cinque secoli di anticipo, che l’ascesa di quella classe sociale, fino ad allora disprezzata da quasi tutte le culture del mondo, ci avrebbe portato alla situazione in cui ci troviamo oggi. Il problema dell’inquinamento è addirittura di secondo grado, perché l’uomo è un animale molto adattabile, superato in questo solo dal topo. In primo piano c’è la nostra vita che la Rivoluzione industriale, col trionfo progressivo della Scienza tecnologicamente applicata e dell’Economia, ha reso complessa, faticosa e in definitiva disumana. Insomma bisogna tornare a essere più semplici e ragionevolmente più poveri (un accenno a questa consapevolezza nel discorso di Greta Thunberg c’è quando si scaglia contro il mito della crescita infinita). Se Greta e coloro che la seguono sono disposti a fare nella loro vita molti passi all’indietro noi siamo con loro. Sono la produzione e il consumo che vanno radicalmente ridimensionati. Altrimenti tutto si ridurrà alle truffe della green economy e della bio, che non solo sono pannicelli caldi di fronte all’enormità del problema, ma si risolveranno in un ulteriore rilancio dell’attuale modello di sviluppo e per questo sono viste con favore dalla grande imprenditoria internazionale. In quanto ai 500 scienziati che hanno inviato una lettera all’Onu vantando la loro competenza contro l’incompetenza di Greta e dei suoi è un modo di sgravare la propria coscienza sporca perché è proprio l’idolatria della scienza, non messa in discussione da nessuno, mi pare nemmeno da Greta, che ci ha portato al modello disumano in cui oggi viviamo.
Tutte, o quasi, le cose di cui si sta anfanando in questi giorni io,  senza la pretesa di essere un ‘illuminato’ come Francesco (lui, frate, crede in Dio, io no) le avevo scritte 35 anni fa ne La Ragione aveva Torto?, dove per Ragione va intesa quella illuminista diventata il solo Dio unanimamente riconosciuto, insieme al Dio Quattrino suo stretto congiunto. Ne La Ragione facevo piazza pulita di tutti i luoghi comuni che hanno portato i vincitori illuministi a definire “bui” i secoli del Medioevo europeo, mentre i secoli veramente bui, secondo il mio modo di vedere, sono quelli che abbiamo vissuto a partire dalla Rivoluzione industriale e che ancora stiamo vivendo in forme sempre più oppressive. Comunque non ci sarà lotta che potrà abbattere il mostruoso apparato che abbiamo costruito e  in cui ci siamo infognati. Crollerà da solo sotto il suo stesso peso. Ma ai giovani, e non solo a loro, e in questo Greta torna ad avere una ragione piena, bisogna lasciare almeno la speranza: pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà come diceva Antonio Gramsci.
Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano, 27 settembre 2019
 Vino nuovo: "A tavola con Greta"
di Vinonuovo | 27 settembre 2019
Global#week for future, Greta Thunberg e milioni di giovani manifestanti hanno almeno il merito di aver posto nuovamente al centro del dibattito la questione ambientale e la necessità di una ecologia integrale?

La settimana trascorsa è stata all'insegna del Global#week for future e di Greta Thunberg. Milioni di giovani di tutto il mondo hanno dato vita allo sciopero odierno e il MIUR chiede ai presidi di giustificare l'assenza da scuola di chi vi partecipa. Tema complesso non adatto alle semplificazioni delle opposte 'tifoserie'. Vorremmo così affrontare la questione da più punti di vista, chiedendo a chi di noi è maggiormente a contatto con i giovani o con l'attualità di riportarci cosa percepiscono i propri 'sensori'.

SERGIO DI BENEDETTO: «Ci sono un impegno e un'ostinazione ammirevoli in Greta, per una causa comune che tutti riguarda. E, senz'altro, l'azione e l'esposizione mediatica della ragazza svedese hanno il merito di aver posto nuovamente al centro il tema della sostenibilità ambientale, risvegliando - o svegliando - nei ragazzi la coscienza che non solo sono responsabili del presente e del futuro, ma che essi devono vivere il loro tempo da protagonisti, evitando di accomodarsi tra gli spettatori».

ROBERTO BERETTA: «A tal proposito, mi viene in mente don Milani: ogni occasione è scuola! E infatti lui trasformava ogni occasione in "lezione". Greta sta facendo la stessa cosa: sta imparando per la sua vita cose importanti, anzi ha la fortuna di vivere esperienze (viaggi e personalità che incontra) che la quasi totalità dei suoi coetanei non conosceranno mai. Questo anche prescindendo dalla "missione" ambientalista che ormai incarna. Mi sembra invece più controproducente il messaggio educativo contenuto nella circolare del ministro, che invita a giustificare chi partecipa allo sciopero sul clima: credo che i ragazzi debbano imparare a "pagare" per le loro scelte di coscienza, che a volte vanno contro le regole, senza "paracaduti". Io sarei fiero di un voto in meno in condotta "guadagnato" per fare una cosa nobile e in cui credo: perché il ministro mi vuole togliere questa possibilità?».

GILBERTO BORGHI: «In questo senso, Greta ci sta richiamando alla nostra responsabilità generazionale di adulti, a cui abbiamo abdicato da tempo. Non è la prima che ci ha provato: Severn-Cullis Suzuki già nel 1992, poi Felix Finkbeiner nel 2006, che ancora oggi continuano la battaglia ambientalista. Forse dovremmo smetterla di considerarli sono "ragazzini". Su questo pianeta ci sono anche loro e sanno bene che loro sono il futuro. Ma il nostro egoismo generazionale non si lascia molto scalfire, come mostrano le reazioni sarcastiche a Greta. Un mio ragazzo di seconda (15 anni) lo dice a suo modo: "I grandi davvero sembrano strafogarsene di come dovremo vivere noi. Allora perché ci avete messo al mondo?"».

GABRIELE COSSOVICH: «Quando ho visto il video del discorso di Greta all'ONU stavo preparando una lezione sul libro del Qoelet. "Vanità delle vanità" è l'espressione più ricorrente in Qoelet. "Come osate?" quella di Greta. "Come osate? Tutto quello che dite non è altro che vanità!" si potrebbe parafrasare Greta mettendole sulla bocca le parole di Qoelet. Vanità sono le "parole vuote", il "denaro", le "favole sulla crescita economica". Vanità delle vanità. Ma a differenza di Qoelet, Greta ha la pretesa di dirci che non tutto è vano, non tutto è perduto. Vale la pena impegnarsi e lottare, anzi, è doveroso farlo! Non solo per sé, ma per tutti. Grazie, Greta! Anche per avermi preparato la lezione per questa settimana...».

SERGIO DI BENEDETTO: «Proprio per questo però, su un punto almeno, a mio avviso Greta ha sbagliato, ossia quando ha scelto a 16 anni di lasciare la scuola per dedicarsi all'attivismo ecologista. È un errore in quanto rinuncia a ciò che è proprio della sua fase di vita, che le può garantire un futuro più solido dal punto di vista delle conoscenze, delle competenze e della socializzazione. Ma è un errore anche perché, essendo diventata un'icona generazionale, il messaggio lasciato ai coetanei dalla sua scelta può essere quello di una scuola che 'non conta per le cose che contano'. E la scuola non ha certo bisogno di questo».

SERGIO VENTURA: «Dalle mie parti, tra sala professori, corridoi ed aule decisamente colorate di 'rosso', è molto forte lo sdegno verso tutte le modalità offensive ed insultanti che 'bullizzano' Greta. D'altra parte, si cerca di far chiarezza su cosa sostiene e si muove (anche a sua insaputa) dietro le quinte di tale fenomeno. Questa spinta ad informarsi, poi, sta facendo crescere la consapevolezza che la questione ecologica è integrale: riguarda l'ambiente, ma anche la giustizia sociale e la pace. Non è 'benaltrismo' far notare l'incoerenza di note imprese di distribuzione che si vogliono ad impatto zero ma che trattano i propri dipendenti quasi fossero degli schiavi, oppure chiedere lo stesso impegno nel contrasto alla produzione e alla vendita delle armi, ovvero domandarsi se i costi di riconversione ecologica ricadranno sulle classi meno abbienti. Fa parte del 'metodo scientifico' cercare di capire meglio i reali legami tra (presunti) cambiamenti climatici, incidenza (quanta e da parte di chi?) delle emissioni e inquinamento ambientale (certo). In ogni caso, gli studenti colgono i tratti di conformismo e di potenziale manipolazione in questo nuovo movimento, ma lo avvertono anche come invito ripensare i propri stili di vita e a ritrovare i motivi per impegnarsi nell'attività politica - due desideri che hanno ma che al contempo temono di vivere concretamente».

SERGIO DI BENEDETTO: «Anche i miei studenti coetanei di Greta, si pongano su due posizioni contrapposte, fatta salva la bontà della causa ambientalista: la prima la considera antipatica e privilegiata («prof, io certo non potrei stare a casa da scuola, mia mamma mi porterebbe a calci»), rispetto ad un sedicenne comune; mentre la seconda, pur riconoscendo la sovraesposizione mediatica e la possibile strumentalizzazione che la riguarda, apprezza però gli sforzi personali di Greta, che ha rilanciato un tema che i ragazzi sentono come decisivo, anche se, ammettono, è nelle scelte quotidiane che poi peccano. Ma, aggiungono spesso, la scelta di Greta di lasciare la scuola è discutibile: perché è cercando di fare bene il proprio dovere quotidiano che si cresce come cittadini responsabili. E allora una Greta che abbandona gli studi li 'giustifica' nelle loro piccole contraddizioni, ma di questo non avrebbero bisogno a 16 anni».

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