“Per me è un onore se mi attaccano gli americani”: Papa Francesco e gli USA
Ecco l'articolo de Il Foglio e de Il Fatto Quotidiano:
Il Fatto Quotidiano:“Per me è un onore se mi attaccano gli americani”, scrive l’agenzia Ansa riportando una battuta del Papa in alta quota, mentre sorvolava l’Africa raggiungendo il Mozambico (prima tappa di un viaggio che lo porterà anche in Madagascar e alle Isole Mauritius). Nicolas Seneze, inviato del giornale francese La Croix, gli ha donato un suo libro, dal titolo inequivocabile: Come l'America vuole cambiare Papa. Francesco, consegnando il volume ai collaboratori ha aggiunto: “Questo libro è una bomba”. Il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, capendo subito le potenziali conseguenze della battuta, è immediatamente intervenuto, spiegando che “in un contesto informale il Papa voleva dire che considera sempre le critiche un onore, particolarmente quando provengono da importanti pensatori e, in questo caso, da una nazione importante”. Tutte cose che il Papa non ha detto, ma che evidentemente pensava. Vatican News, l’organo ufficiale, ha cercato di salvare il salvabile e dopo le notizie sui “sorrisi in spazi stretti” e le battute sugli ascensori – domenica Francesco è rimasto chiuso venticinque minuti in un ascensore a causa di calo di tensione – fa sapere che il libro “fotografa una realtà critica, ma proprio le ‘critiche’ sono considerate dal Papa ‘sempre un onore’”. Titolo del paragrafo: “Il pregio di un rilievo”. Seneze ha spiegato al Pontefice l’origine delle critiche rivolte contro la sua persona, critiche di destra provenienti da settori (e media) ben riconoscibili.Al di là dell’incidente – perché di questo si tratta, al di là delle ovvie e massicce dosi di edulcorante sparse dopo l’uscita papale – si conferma un problema (enorme) tra Francesco e gli Stati Uniti d’America. Un problema evidente fin dal 2013, come peraltro confermava il maestro di Bergoglio, padre Juan Carlos Scannone, “non si tratta di avere riserve sugli Stati Uniti in quanto tali, ma sugli Stati Uniti in quanto potenza egemonica. Il Papa non appoggia l’egemonia, da qualunque parte essa venga. Preferisce un mondo multipolare”. Stati Uniti che dopo sei anni di pontificato restano poco propensi a essere ridotti a faccia del poliedro così caro al Papa argentino. E poco hanno potuto sia i potenti discorsi tenuti da Francesco durante la sua visita in terra americana nel 2015, sia il massiccio ricambio nella compagine episcopale, disarmando il più possibile la vecchia guardia dei guerrieri conservatori e sostituendola con profili più in linea con l’agenda oggi ufficiale. Nonostante la discontinuità manifesta, concretizzatasi in porpore date (Cupich, Tobin) e negate (Chaput, Gomez), il chicco per ora ha dato poco frutto. Neppure la decapitazione simbolica del fu cardinale liberal Theodore McCarrick, decisa e portata a termine da Francesco, gli ha fatto guadagnare consenso tra le file del solido conservatorismo cattolico d’oltreoceano. Sono due mondi che non si capiscono. Lo storico Massimo Faggioli, scuola progressista, lo diceva al Foglio qualche anno fa: “I suoi rapporti con il mondo anglosassone sono molto limitati. E’ un problema culturale, ha avuto pochissimi rapporti con quella realtà. E poi è un latinoamericano, il che comporta una certa quantità di antiamericanismo. Negli Stati Uniti questo si sa bene, solo che non si può accusare esplicitamente il Pontefice di essere anti yankee. E’ una questione latente”. E non ancora risolta.
“Per me è un onore se mi attaccano gli americani“. Così Papa Francesco, durante il volo che lo ha portato in Africa, ha commentato il contenuto del libro del vaticanista del quotidiano cattolico francese La Croix, Nicolas Senèze, che ripercorre in modo molto dettagliato un piano per ribaltare il pontificato. “Questo libro è una bomba“, ha detto Bergoglio consegnando ai suoi collaboratori il volume ricevuto in dono sull’aereo. Quando lo ha avuto tra le sue mani, il Papa ha subito esclamato: “Ah eccolo, mi dicevano che ancora non si trovava”. Dimostrando così in modo molto eloquente di aver chiesto al suo staff di procurarglielo, ignorando che lo avrebbe ricevuto in dono direttamente dall’autore. Già il titolo è abbastanza eloquente: “Come l’America vuole cambiare il Papa” (Edition Bayard). Ovvero come una potente frangia del cattolicesimo conservatore americano vuole preparare il prossimo conclave per imporre un Pontefice di pensiero opposto a Bergoglio. Nel libro, infatti, vengono ricostruite le manovre condotte nell’ultimo anno dalla galassia dell’estrema destra cattolica Usa per cercare di spingere il Papa alle dimissioni e orientare un nuovo conclave.
Del resto le manovre provenienti dagli Stati Uniti per archiviare rapidamente questo pontificato sono ben note e da tempo. Dall’ex nunzio apostolico negli Usa,monsignor Carlo Maria Viganò, rifugiatosi proprio Oltreoceano, che ha chiesto ledimissioni di Francesco accusandolo di predicare la tolleranza zero sulla pedofilia, ma di essere complice delle coperture di preti, vescovi e cardinali. Così come pesantissime sono state le accuse del cardinale statunitense Raymond Leo Burke, principale oppositore del Papa tra i porporati. Posizioni condivise da Steve Bannon, ex consigliere di Trump, proprio con il fine di costringere alle dimissioni Bergoglio e ipotecarne la successione con un candidato gradito all’ultradestra cattolicaamericana.
Ha cercato di smorzare i toni, invece, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, al suo primo viaggio papale in questa nuova veste, che ha precisato che “in un contesto informale, il Papa ha voluto dire che considera sempre un onore le critiche, particolarmente quando vengono da pensatori autorevoli, e in questo caso da una nazione importante”. Ultimamente anche il “Papa nero”, ovvero il preposito generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal, ha portarlo esplicitamente di un “complotto” per far terminare in anticipo il pontificato di Bergoglio. “Ci sono settori fuori e dentro il Vaticano – ha spiegato il gesuita venezuelano – che premono per far dimettere Papa Francesco, con lo scopo ultimo di fare in modo che il prossimo Pontefice agisca in senso contrario alle linee guida espresse dall’attuale pontificato”. Per padre Sosa, infatti, “ci sono persone, sia all’interno che all’esterno della Chiesa, che vorrebbero che Papa Francesco desse le dimissioni, ma il Pontefice non lo farà. Credo che la strategia finale di questi settori non sia tanto quella di costringere Papa Francesco a lasciare, quanto di incidere sull’elezione del prossimo Pontefice, creando le condizioni affinché il prossimo Papa non continui ad approfondire il cammino che Francesco ha invece indicato e intrapreso”.