III domenica del tempo ordinario (anno C): «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»
Da "Il Vangelo dell'amore" di p. Stefano Liberti:
(Lc 4,16-24)
C’è un clima di
grande attesa nella sinagoga di Nazaret: gli occhi di tutti sono fissi su Gesù,
tornato - dopo alcuni anni di assenza - nella sua patria d’origine. Si
attendono una bella predica e qualche miracolo che confermi la sua fama. Ma
Gesù, anziché fare una tradizionale omelia, si limita a sette parole che
suonano come una solenne dichiarazione: «Oggi
si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (4,21). E la
Scrittura ascoltata è un brano del profeta Isaia (61,1-2) che Gesù proclama come
fosse il suo discorso
inaugurale e da cui trae il senso della sua presenza, della sua parola e delle
sue azioni.
Ogni affermazione contenuta nel brano
di Isaia è “compiuta” in Gesù: sopra di lui è lo Spirito del Signore che lo ha consacrato con
l’unzione (termine “tecnico” che si traduce, in ambito ebraico, con la parola Messia e in greco con la parola Cristo). Il Signore lo ha mandato per “portare ai poveri il lieto annuncio” (ovvero il
Vangelo); “proclamare ai prigionieri
(e agli oppressi) la liberazione, ai ciechi la vista” e a tutti “l’anno di grazia del Signore”, il
Giubileo[1].
Questo è dunque il programma di Gesù, lo scopo per cui Dio lo ha inviato e
consacrato: comunicare ai poveri la “buona notizia” dell’amore che Dio ha nei
loro confronti, un amore che libera, dona luce, offre a tutti un tempo di
grazia, una occasione per ricevere gratuitamente innumerevoli doni che Lui
vuole elargirci.
Gesù interrompe la
citazione del brano senza aggiungere la seconda parte del brano che parla del “giorno di vendetta del nostro Dio” (v.2).
Si ferma alla proclamazione dell’anno giubilare: secondo il Levitico (cfr. Lv 25,8) ogni sette settimane di
anni, cioè ogni
cinquant’anni, si sarebbe dovuto far riposare la terra da ogni coltivazione,
ridistribuirla equamente, in quanto dono del Padre ai suoi figli, e liberare
ogni uomo dalla prigionia o riscattarlo dalla schiavitù. Si dovevano condonare
i debiti accumulati e lasciare tutti liberi di tornare in possesso delle proprie
proprietà e nella propria famiglia. Tali disposizioni che in realtà non sono
mai state eseguite alla lettera, trovano ora in Gesù il compimento.
[1] la parola deriva dall'ebraico Jobel (caprone), in riferimento al corno di
montone utilizzato nelle cerimonie sacre.
TEOFILO (Lc 1,3)
Solo Luca indica un vero e proprio destinatario del
suo Vangelo: l’ignoto Teofilo. Gli esegeti hanno offerto una serie di ipotesi
per individuare chi sia, ma l’ipotesi più accreditata e probabile è che esso
non sia una persona storica precisa, ma indichi ogni lettore che si sente amato
da Dio e che, a sua volta, desideri amare Dio, diventare amico di Dio.
L’etimologia del nome è proprio questa: Teo-filo, amico di Dio. Sicuramente si
tratta di un cristiano che ha già accolto il messaggio evangelico e ha già
fede, conosce, segue il Signore. Sono loro i primi destinatari del Vangelo e
sono loro i primi destinatari a cui rivolgo queste riflessioni: essere
cristiani significa aver fatto esperienza di Gesù, del suo amore, oltre che del
suo messaggio. “All’inizio dell’essere cristiano –
ci ricorda papa Benedetto - non c’è una decisione etica o una grande idea,
bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo
orizzonte e con ciò la direzione decisiva”[1].
Per accogliere e comprendere la storia di Gesù,
occorre lasciarsi amare da lui ed riamarlo. Solo chi ha questa “simpatia” nei
suoi confronti può accogliere il suo messaggio e credere nella sua
Resurrezione. Sicuramente – sembra suggerirci Luca – per accogliere,
comprendere e seguire il messaggio di Gesù è necessario essere ben disposti
verso di Lui, senza pregiudizi, senza preconcetti. É necessario, per iniziare
questo itinerario di discepolato, desiderare di conoscerlo più a fondo, come un
amante che desidera stare con l’amata e sapere tutto di lei. Essere
indifferenti conduce a non cogliere il vero messaggio di Gesù.