GESU’ “SPOSO”
Da "Il Vangelo dell'amore" di p. Stefano Liberti (Youcanprint, 2015)
Parlare di Cristo come sposo potrebbe sembrare una
forzatura o una moda del tempo, ma l’immagine non è priva di riferimenti
biblici ed evangelici in particolare. Basti pensare che, nei Vangeli, è Gesù stesso, per cinque volte, a definirsi
come sposo, mentre non si è mai definito sacerdote. Tale definizione non
solo Gesù l’ha attribuita a se stesso (Mc 2,19-20[1];
Mt 9,15[2];
Lc 5,34-35[3]),
ma è usata dal Battista (Gv 3,29[4])
ed è entrata più volte nei discorsi parabolici: la parabola delle nozze regali
(Mt 22,2-14), delle dieci vergini in attesa dello sposo (Mt 25,1-13) e dei
servi che aspettano il ritorno del padrone dalle nozze (Lc 12,35-48). É inoltre
diventata un motivo di particolare riflessione teologica per Paolo (Ef 5,
21-33).
Secondo Renzo Bonetti parlare di Cristo sposo
significa descriverlo come un “innamorato, che dona se stesso, che si unisce,
che fa sua la Chiesa, che la rende sposa e che, con il corpo della sua sposa
strettamente unito a sé, fatta “una carne” con Lui nell’Eucarestia, continua la
sua missione sponsale”[5]. Lamentando come questa categoria, così centrale per
comprendere la persona di Gesù, non sia stata approfondita adeguatamente, Bonetti
invita la Chiesa a riscoprirlo
…come Sposo che dona se stesso alla sua Chiesa, si
unisce a lei, la fa sua, come in un dialogo nuziale costante la rincorre. E la
fa sua per coccolarla, perché vuole con questo corpo continuare la missione.
Nella dimensione della sponsalità, si capisce dunque che la missionarietà è
intrinseca, che non può darsi abbraccio a Cristo sposo senza essere con Lui
illuminanti, salvanti, amanti, rincorrenti, incarnanti, risorgenti e via di
seguito[6].
La nuzialità del Cristo entra in scena, secondo i
Padri della Chiesa, già con
l'incarnazione: la natura umana e quella divina sono ormai indissolubilmente
congiunte[7].
Il fine è quello di realizzare in Cristo l’unione sponsale tra Dio e l’umanità
sua sposa. Nell'evento della Croce von Balthazar coglie inoltre la consumazione,
l'amplesso nuziale[8].
GIOVANNI
BATTISTA E I SANDALI DELL’AMICO DELLO SPOSO
(Gv 1,27; 3,29-30; Mc 1,7; Lc 3,16; Mt 3,11)
Il cugino di Gesù, Giovanni il battezzatore, è l’ultimo profeta della
Bibbia, colui che fa da cerniera tra antico e nuovo testamento.
I profeti in Israele mantengono viva la promessa. Non solo richiamano
all’obbedienza, ma, soprattutto, impediscono che la religiosità si riduca a
sola legge, senza cuore, senza uomo e infine senza Dio[9].
Da vero profeta, Giovanni invoca con durezza la conversione evidenziando i
peccati, minacciando la scure e il fuoco, invitando alla giustizia. Il suo è un
linguaggio duro e sferzante, in cui c’è ben poca traccia di amore.
Tuttavia
l’evangelista Giovanni parla del Battista come dell’amico dello sposo, facendo
riferimento alla formula giudaica del matrimonio che distingueva il
fidanzamento ufficiale dall'introduzione solenne della sposa che avveniva dopo circa
un anno. La testimonianza di Giovanni Battista è quella dell'amico che
accompagna la sposa e partecipa all'esclamazione di gioia dello sposo. Egli
afferma in tutti i Vangeli di non essere degno di sciogliergli i lacci del
sandalo.
La
spiegazione che spesso viene data di questa frase si limita a sottolineare una
presunta umiltà di Giovanni; ma la vera chiave d'ingresso a questo brano è
offerta, ad esempio, dal commento al Vangelo di Luca di Sant’Ambrogio il quale,
venendo dall’esperienza di avvocato, ha percepito la dimensione «giuridica»
dell’espressione di Giovanni. La dignità di cui parla il Battezzatore non è
purità morale ma credenziale giuridica. (…)
Le frasi
del Battista sono una ripresa della legge del levirato descritta nel libro di
Rut[10]: da subito Giovanni
percepisce che ha davanti a se lo Sposo al quale lui non può portar via i
sandali. In questo momento inaugurale della vita pubblica del Cristo, in cui
Egli si presenta sulla scena storica per la prima volta, Gesù viene percepito
immediatamente come sposo. Questo permette di comprendere perché Giovanni, non
molto dopo, dica in rapporto a Cristo: «Chi
possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e
l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è
compiuta» (Gv 3,29-30). Il Battista si presenta come l'amico dello sposo e
quindi indica con molta chiarezza che lo sposo è Cristo[11].
[1] “Gesù disse loro: «Possono forse digiunare
gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel
giorno, digiuneranno”.
[2] “E Gesù disse loro: «Possono
forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando
lo sposo sarà loro tolto,
e allora digiuneranno”.
[3] “Gesù rispose loro: «Potete forse far
digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni
digiuneranno»”.
[4] “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa;
ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla
voce dello sposo. Ora
questa mia gioia è piena”.
[5] R. Bonetti, Prospettive
di pastorale a partire dalla dimensione sponsale, in Teologia nuziale e sacramento del matrimonio, Effata, p.116
[6] Id.
[7] "Questo è
avvenuto - afferma sant'Agostino -, nel
grembo verginale, dove la creatura umana si è sposata con Lui"
(SANT'AGOSTINO, Confessioni, 4,12,19).
[8] Cfr H. U. von BALTHAZAR, Il cuore del mondo,
Brescia 1964, pp. 173-174.
[9] S. Fausti, Una
comunità legge il Vangelo di Matteo, EDB 1998, p.35
[10] Per convalidare un atto
giuridico che attestava il diritto di riscatto o di permuta, uno si toglieva un
sandalo e lo dava all’altro.