I SACRAMENTI DELLA GUARIGIONE


Ovvero il SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE e DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI
Sacramenti che trasmettono il potere di Gesù Cristo venuto come MEDICO dell’anima e del corpo (che formano una sola realtà).
Il SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE viene anche chiamato:
S. della CONVERSIONE: ci chiama a continua CONVERSIONE = VOLGERE LO SGUARDO, i passi… verso Dio che è vicino a noi, ma che, per la suggestione del peccato, sentiamo lontano, indifferente, assente. “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”
S. della PENITENZA: il penitente è colui che è pentito dei suoi peccati, che è disposto a cambiare vita, a fare atti di penitenza che lo aiutino a ritrovare la retta via.
S. della CONFESSIONE: richiede di confessare i propri peccati, cioè di riconoscerli e accusarsi di essi davanti ad un sacerdote che media la presenza e l’azione di Gesù Cristo. E riconoscere la misericordia di Dio.
S. del PERDONO: dona il perdono dei peccati attraverso l’assoluzione del sacerdote.
S. della RICONCILIAZIONE con Dio.
Perché un S. della R. dopo il BATTESIMO?
Il battesimo ci ha tolto il “peccato originale”, ovvero il potere del male che ci rende suoi schiavi. Siamo liberi, ma liberi anche di sbagliare, di cedere alla tentazione che mai viene meno (e che ha coinvolto anche nostro Signore). Siamo liberi, ma fragili, deboli e influenzati (non determinati) dal male che è interiore ed esteriore.
Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,15-19).
San Paolo dice di non capire quello che fa, perché sperimenta, come tutti noi, che ci sono in lui delle spinte che lo inclinano al male e che non riesce a dominare.
L’esperienza di san Paolo è anche la nostra: quante volte ci siamo proposti di rimanere calmi e pazienti, di non dire neanche una parola e invece, subito dopo, abbiamo perso la pazienza e abbiamo detto quello che non volevamo dire? Quante volte si vorrebbe dominare qualche impulso sensuale e invece ci troviamo coinvolti, nonostante la nostra volontà contraria? Siamo allora schiavi dei nostri istinti e dei nostri bisogni? No, ma non possiamo neanche minimizzarne le forze.
Siamo chiamati ad un COMBATTIMENTO SPIRITUALE che richiede FORZA INTERIORE (= ASCESI = ALLENAMENTO) e la GRAZIA DIVINA (l’aiuto che ci viene da Dio e che ci è trasmesso in modo particolare da questo sacramento).
Il volto autentico di Dio non è quello di un giudice implacabile e un po’ cinico che condanna i nostri errori, ma un padre e una madre che ci ama e non smette di amarci per il fatto che noi ci comportiamo male. Che ci incoraggia dicendoci: “Tu puoi fare di meglio!” (non tanto “tu devi…, ma tu puoi!”).
“L’atto di dolore” ci fa dire che a causa dei nostri peccati abbiamo offeso Dio e “abbiamo meritato” i suoi “castighi”. Certo, ci ricorda che è “infinitamente buono e degno di essere amato”, ma forse non così tanto se è pronto a castigarmi e si offende a causa delle mie fragilità. Castighi “educativi”, si obietterà, a fin di bene, ma poco coerenti con la testimonianza di Gesù su Dio. Non dimentichiamo inoltre che la nuova traduzione CEI della Bibbia del 2008 è passata dal “non ci indurre in tentazione” a favore di un “non abbandonarci alla tentazione”, perché – scrive san Giacomo nella sua lettera – “Dio non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono[1].
“Dio ci ama così come siamo, e nessun peccato, difetto o sbaglio gli farà cambiare idea”, così twittava papa Francesco il 31 luglio 2016. E un lettore subito commentava: “E il giudizio di Dio? Attenti: così si giustifica ogni peccato!”.
Perché bisogna confessare a un sacerdote i propri peccati e non lo si può fare direttamente a Dio? Certamente, è sempre a Dio che ci si rivolge quando si confessano i propri peccati. Che sia, però, necessario farlo anche davanti a un sacerdote ce lo fa capire Dio stesso: scegliendo di inviare Suo Figlio nella nostra carne, egli dimostra di volerci incontrare mediante un contatto diretto, che passa attraverso i segni e i linguaggi della nostra condizione umana. Come Lui è uscito da sé per amore nostro ed è venuto a “toccarci” con la sua carne, così noi siamo chiamati ad uscire da noi stessi per amore Suo e andare con umiltà e fede da chi può darci il perdono in nome Suo con la parola e col gesto. Solo l’assoluzione dei peccati che il sacerdote ti dà nel sacramento può comunicarti la certezza interiore di essere stato veramente perdonato e accolto dal Padre che è nei cieli, perché Cristo ha affidato al ministero della Chiesa il potere di legare e sciogliere, di escludere e di ammettere nella comunità dell’allean­za (cf. Mt 18,17). Perciò, confessarsi da un sacerdote è tutt’altra cosa che farlo nel segreto del cuore, esposto alle tante insicurezze e ambiguità che riempiono la vita e la storia. Da solo non saprai mai veramente se a toccarti è stata la grazia di Dio o la tua emozione, se a perdonarti sei stato tu o è stato Lui per la via che Lui ha scelto. Assolto da chi il Signore ha scelto e inviato come ministro del perdono, potrai sperimentare la libertà che solo Dio dona e capirai perché confessarsi è fonte di pace.
Il Signore risorto ha istituito questo Sacramento quando la sera di Pasqua si mostrò ai suoi Apostoli e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).
Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle persone, ogni Confessore è obbligato, senza alcuna eccezione e sotto pene molto severe, a mantenere il sigillo sacramentale, cioè l'assoluto segreto circa i peccati conosciuti in confessione.
Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e Risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Poretti: confessione fai da te? Meglio di no
di Giacomo Poretti (fonte: Avvenire)
il rito di riconciliazione, come ha ricordato il Papa Francesco, ha i suoi perché; egli ci rammenta quanto sia importante riconoscere i propri errori, fallimenti, e «cercare nel proprio cuore ciò che è gradito a Dio».
L’epoca moderna verrà ricordata anche per le pratiche "fai da te" della confessione: e cioè la consuetudine di ritenere inutile andare in chiesa, trovare un confessionale, e rivolgersi a un sacerdote per raccontare lo stato delle nostre ferite da medicare.
È più smart, trendy e modern oriented fare un rapido esame di coscienza una volta al mese e auto assolversi prima di addormentarsi.
Queste pratiche di riconciliazione autogestite in genere non prevedono né penitenze, né ammonimenti, salvo i peccati (che parola antica ed urticante, meglio dire disordini), disordini della gola, che non vanno confusi con la raucedine o la faringite, o della sfera sessuale, anche qua non travasabili con le cistiti o prostatiti; ecco in questi generi di disordini, il peccatore autogestito si infligge due giorni senza vino, derogati poi a mezza giornata, e una settimana senza amante, di solito quando lei è in vacanza con il marito legittimo.
Se qualcuno avesse intenzione di difendere queste pratiche riferendosi alla magnanimità misericordiosa del Papa, faccio umilmente notare che Francesco non si è mai espresso dicendo «Chi sono io per giudicare un peccatore che si confessa da solo?», ma che invece ha scritto: «Se tu non sei capace di parlare dei tuoi sbagli con il fratello, sta sicuro che non sei capace di parlare neanche con Dio e così finisci per confessarti con lo specchio, davanti a te stesso. Siamo esseri sociali e il perdono ha anche un risvolto sociale perché anche l’umanità e la società vengono ferite dal mio peccato. Confessarsi davanti a un sacerdote è un modo per mettere la mia vita nelle manie nel cuore di un altro, che in quel modo agisce in nome e per conto di Gesù».
Ancora una volta Francesco ci prende per mano lungo questa faticosa scalata verso la vetta della Misericordia, indicandoci i falsi sentieri dell’auto referenzialità, dell’io autarchico, e della necessità invece di aprirsi alle relazioni con i nostri fratelli, condizione prima per relazionarsi a Lui.
P.S.: per i portatori di disordini di gola ed altri apparati: non temete è prevista la comprensione ed il perdono pure per loro, basta dirlo a... Qualcuno.

Benedetto XVI:
devo confessarmi tutte le volte che faccio la Comunione? Anche quando ho fatto gli stessi peccati? Perché mi accorgo che sono sempre quelli.
Direi due cose: la prima, naturalmente, è che non devi confessarti sempre prima della Comunione, se non hai fatto peccati così gravi che sarebbe necessario confessarsi. Quindi, non è necessario confessarsi prima di ogni Comunione eucaristica. Questo è il primo punto. Necessario è soltanto nel caso che hai commesso un peccato realmente grave, che hai offeso profondamente Gesù, così che l’amicizia è distrutta e devi ricominciare di nuovo. Solo in questo caso, quando si è in peccato "mortale", cioè grave, è necessario confessarsi prima della Comunione. Questo è il primo punto. Il secondo: anche se, come ho detto, non è necessario confessarsi prima di ogni Comunione, è molto utile confessarsi con una certa regolarità. È vero, di solito, i nostri peccati sono sempre gli stessi, ma facciamo pulizia delle nostre abitazioni, delle nostre camere, almeno ogni settimana, anche se la sporcizia è sempre la stessa. Per vivere nel pulito, per ricominciare; altrimenti, forse la sporcizia non si vede, ma si accumula. Una cosa simile vale anche per l'anima, per me stesso, se non mi confesso mai, l'anima rimane trascurata e, alla fine, sono sempre contento di me e non capisco più che devo anche lavorare per essere migliore, che devo andare avanti.
Andrea: «La mia catechista, preparandomi al giorno della mia Prima Comunione, mi ha detto che Gesù è presente nell'Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!»
Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione, tuttavia abbiamo la ragione. Non vediamo la nostra intelligenza e l'abbiamo. Non vediamo, in una parola, la nostra anima e tuttavia esiste e ne vediamo gli effetti, perché possiamo parlare, pensare, decidere ecc... Così pure non vediamo, per esempio, la corrente elettrica, e tuttavia vediamo che esiste, vediamo questo microfono come funziona; vediamo le luci. In una parola, proprio le cose più profonde, che sostengono realmente la vita e il mondo, non le vediamo, ma possiamo vedere, sentire gli effetti. L'elettricità, la corrente non le vediamo, ma la luce la vediamo. E così via. E così anche il Signore risorto non lo vediamo con i nostri occhi, ma vediamo che dove è Gesù, gli uomini cambiano, diventano migliori. Si crea una maggiore capacità di pace, di riconciliazione, ecc... Quindi, non vediamo il Signore stesso, ma vediamo gli effetti: così possiamo capire che Gesù è presente.
Papa Francesco:
Dio mai si stanca di perdonarci, mai! “Eh, padre, qual è il problema?”. Eh, il problema è che noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. Invochiamo l’intercessione della Madonna che ha avuto tra le sue braccia la Misericordia di Dio fatta uomo.

IL SACRAMENTO DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI

Non si parla più di “estrema unzione”, perché non è il sacramento per i moribondi che non hanno già più consapevolezza della propria condizione, ma unzione dei malati in pericolo di morte.
1500 La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l'uomo fa l'esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può farci intravvedere la morte.1501 La malattia può condurre all'angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.
Il Cristo è venuto come medico per sanare i peccatori e chiede la fede/fiducia per operare guarigioni che sono sempre prima spirituali e poi anche fisiche.
E’ un sacramento che dona CONFORTO per coloro che si trovano ad affrontare una condizione di grave malattia.
San Giacomo: “Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.
La Liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza.
Viene conferito da un sacerdote ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto - olio degli infermi - dicendo: 
Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo, e liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi”.
La grazia fondamentale di questo sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte.
Può essere ricevuto più volte.

[1] Gc 1,13-14

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