LA CHIESA COMUNIONE ED I NOSTRI PROGETTI PASTORALI (II parte)
II PARTE
Da
quanto è emerso ritengo che non si possa parlare compiutamente di “Chiesa
comunione” nella teologia di dom Gréa, ma di germi fecondi, di profezia appena
accennata, ma che conduce in quella direzione.
Sulla ECCLESIOLOGIA e SPIRITUALITA’ DI
COMUNIONE
Nella relazione conclusiva del
Sinodo dei vescovi del 1985 si è detto che «l’idea centrale e fondamentale nei documenti
del Concilio Vaticano II deve essere individuata nella ecclesiologia di
comunione»[1].
Si tratta perciò, dice Giovanni
Paolo II, di far nascere e crescere una capacità di sentire il fratello nella
fede (anche il fratello con il quale la comunione non è piena) come un
appartenente al corpo di Cristo, un mio fratello, con cui deve esserci conoscenza
reciproca e condivisione. Nello spazio cristiano, infatti, l’altro non è “l’inferno”
(come affermava Sartre), ma è “dono di Dio”, “dono per me”; è ciò che mi manca
e che mi rivela la mia insufficienza.
Non è possibile essere
cristiani e non solo non volere l’unità, ma non fare tutto ciò che è possibile
per la comunione. Chi agisce e vive per la comunione con Cristo non può,
simultaneamente, non agire e non vivere per la riconciliazione e la comunione
con i suoi fratelli, membra del suo stesso corpo.
La comunione
è ricerca di unità nel rispetto delle differenze (unità nella distinzione), in
una pluralità di forme che si vanno armonizzando in una comune ricerca di bene
e in una condivisione che mi fa sentire l’altro parte di me. La condizione più importante della diversità è che essa non
distrugga l’unità, che prevalga la carità, che si cerchi, su tutti e su tutto,
la regalità di Cristo. Si riconoscono carismi differenti a condizione che siano
finalizzati al bene comune, a costruire e non a distruggere.
Nel
convegno di Loreto della Chiesa italiana del 1985 si disse:
Una comunità che non
si incontra non è comunità. Da qui l'istanza di ridare slancio e consistenza
alle strutture di partecipazione: consigli pastorali diocesani e parrocchiali,
consigli per l'economia, organi di coordinamento della pastorale di settore e
dell'apostolato dei laici, ecc.; l'urgenza di coltivare con grande impegno
spirituale e pastorale i rapporti tra Vescovo e Presbiterio, fra presbiteri e
religiosi, fra presbiteri e laici, fra religiosi e laici, fra i singoli, le
famiglie e le varie comunità perché attraverso questo incontrarsi ed amarsi
reciproco si stabiliscano più profondi legami di unità (Nota pastorale La Chiesa in Italia dopo Loreto, n. 49).
Giovanni Paolo II ha parlato della “spiritualità della
comunione” come del fattore caratterizzante il nuovo millennio: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida
che ci sta davanti nel millennio che inizia(…). Prima di programmare iniziative
concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione”[2].
Secondo Benedetto XVI “La ‘comunione’ è il rimedio donatoci dal Signore contro la solitudine
che oggi minaccia tutti, è la luce che fa risplendere la Chiesa come segno
innalzato fra i popoli”[3]. Karl
Rahner afferma:
Noi
anziani siamo stati spiritualmente degli individualisti, data la nostra
provenienza e la nostra formazione(…). Io penso che in una spiritualità del
futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità
vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma
decisamente si debba proseguire lungo questa strada[4].
La spiritualità di comunione ci apre ad una santità di
popolo in cui ciascuno desidera la santità dell’altro come la propria e ci si
aiuta reciprocamente ad essere sempre nella carità che è il vincolo della
perfezione. Nota
Tillard: “Nuove forme di “comunità cristiane”, nate
ordinariamente non da iniziative gerarchiche, ma dalla creatività “della base”,
germinano un po’ dappertutto”[5].
Nei primi secoli del cristianesimo si pensava che per
arrivare all’unione con Dio si dovessero dire preghiere, fare penitenze,
digiuni, rinunzie, fuggire dai fratelli; tutte cose che la singola persona
compiva da sola come se il fratello non esistesse. Poi, il fratello, è
diventato oggetto di carità, di opere
di misericordia, di elemosina. Lo Spirito ci spinge oggi verso la comunione: il
fratello non è più un ostacolo, o solo oggetto di carità, ma diviene la strada
privilegiata per trovare Dio, per vivere l’unione con Dio.
Già nell’antico testamento i profeti alzavano la loro voce
perché il popolo non riducesse il rapporto con Dio alle pratiche liturgiche.
Esse sarebbero diventate una scusa per credersi a posto, mentre l'essenza della
religione doveva portare all'amore del prossimo: "Voglio l'amore e non il sacrificio" (Os. 6.6) diceva Dio
per bocca di Osea.
Il Concilio, i Papi, i teologi, tutti
spingono ormai ad approfondire la dimensione del rapporto con i fratelli, con
tutti gli uomini, per divenire sempre di più una famiglia, una comunità. Dunque la conversione che dobbiamo fare è rovesciare la
visione del fratello: da oggetto di attenzioni, di atti di carità, diviene il
primo benefattore perché ci permette di entrare subito nella carità, nel regno dei cieli. Scrive s.
Giovanni: “Siamo passati dalla morte alla
vita perché abbiamo amato i fratelli”.(1Gv 4)
PRINCIPI DI COMUNIONE
L’ecclesiologia
trinitaria e quindi di comunione comporta conseguenze pratiche sul nostro stile
di vita. I “nuovi” principi o caposaldi:
Dal Concilio Vaticano II all'attuale Assemblea, abbiamo sperimentato in
modo via via più intenso la necessità e la bellezza di "camminare
insieme".
Dobbiamo proseguire su questa strada. Il
mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue
contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli
ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla
Chiesa del terzo millennio.
Quello che il Signore ci chiede, in un
certo senso, è già tutto contenuto nella parola "Sinodo". Camminare
insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a
parole, ma non così facile da mettere in pratica.
Una Chiesa sinodale è una Chiesa
dell'ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire». È un
ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Il cammino sinodale inizia ascoltando
il Popolo, che «pure partecipa alla funzione profetica di Cristo».
La sinodalità,
come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa
più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico… al suo interno nessuno può essere
"elevato" al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è
necessario che qualcuno "si abbassi" per mettersi al servizio dei
fratelli lungo il cammino.
Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari.
Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale
Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di
tutta la comunità ecclesiale, il Codice
di diritto canonico dedica
ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli "organismi di
comunione" della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il
Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale. Tali
strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere
valorizzati come occasione di ascolto e condivisione.
- CORRESPONSABILITA’ di tutti i confratelli e dei LAICI
(> AMICI CRIC)
Rimando
a quanto inviato recentemente per i LAVORI DI GRUPPO SUL TEMA “CRIC E
LAICI”-griglia orientativa (mercoledì 22.02.2017) che invita alla condivisione
sulle seguenti tematiche:
A)
Presenza e ruolo dei laici nella
nostra parrocchia: Cons. Past. Parr.
e Cons. Parr. Aff. Economici:
esistono? Come funzionano? Commissioni? Certezze e difficoltà.
B)
Quali cammini di formazione sono seguiti:
solo parrocchiali, anche zonali e diocesani?
·
Catechesi
Adulti; Parola di Dio; Servizio di carità
C)
I Laici sono parte attiva o semplice mano
d’opera: riuscite e difficoltà
D) La programmazione
pastorale : aperta al territorio, di sola conservazione, …
- SUSSIDIARIETA’
- ESSERE “CASA DI COMUNIONE” per divenire “SCUOLA DI
COMUNIONE”:
Cercare
l’unità “interna” per costruire quella esterna: imparare a volerci bene[7],
costruire relazioni fraterne improntate sulla stima reciproca, su un linguaggio
mite e positivo, sul perdono, sul superamento dei conflitti, sulla condivisione
spirituale oltre che materiale (“non solo vita comune, ma comunione di vita”),
magari riscoprendo e attualizzando il “capitolo” come
incontro-confronto-verifica quotidiana (o almeno settimanale) della vita
spirituale e pastorale, imparando a comunicare[8]
e condividere nella fiducia reciproca.
Tutto
il capitolo II delle Costituzioni e del Direttorio (“La vita comune”) potrebbe
essere riletto e fatto oggetto di verifica della comunità locale.
- PROGETTI PASTORALI
Il
titolo della conferenza prevede questo punto di arrivo: abbiamo “progetti
pastorali”? Sono improntati sul modello (e il fine) di una ecclesiologia di
comunione?
[1] Cf. Sinodo straordinario dei
Vescovi, Relatio finalis (8-XII-1985), II.C.1. Cfr.
anche Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 4, 8, 13-15,
18, 21, 24-25; Costit. dogm. Dei
Verbum, n. 10; Costit. past. Gaudium
et spes, n. 32; Decr. Unitatis
redintegratio, nn. 2-4, 14-15, 17-19, 22.
[2] Giovanni Paolo II, Novo
Millennio Ineunte, 43
[4] K. Rahner, Elementi di spiritualità nella Chiesa del
futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi
– B. Secondin, Queriniana, Brescia 1983, pp. 440-441.
[5] J. Tillard, Davanti
a Dio e per il mondo, ed. Paoline, Roma 1975, p.207.
[6] Francesco, Discorso in occasione della COMMEMORAZIONE DEL 50°
ANNIVERSARIO DELL'ISTITUZIONE DEL SINODO DEI VESCOVI, 17 ottobre 2015.
[7] “Noi dobbiamo
amarci come si amano i santi in cielo; noi dobbiamo nutrire gli uni gli altri
lo stesso amore che nutriamo per Cristo, che abita in ciascuno di noi. La
carità che ci unisce deve essere la stessa carità che unisce il Padre e il
Figlio e lo Spirito Santo” (A. Gréa, Conf, del 1894. Cfr. Costituzioni
Cric).
[8] Ecco qualche
consiglio pratico: mantenere il contatto visivo con l’altro quando parla;
non fare altre cose mentre lo si ascolta; cercare di capire i suoi sentimenti;
osservare il linguaggio del corpo, che a volte esprime cose diverse da quelle
dette; infine, evitare di interrompere!