LA CHIESA COMUNIONE NELLA TEOLOGIA DI DOM GREA ED I NOSTRI PROGETTI PASTORALI
Relazione di p. Stefano Liberti, 10 gennaio
2017
I PARTE
«C’è del mistero in
questo, e i ragionamenti tratti dalle analogie umane non possono arrivarci; i
governi umani (…) non offrono nulla di simile, ma bisogna elevarsi più in alto
e cercare nell’augusta Trinità la ragione e il tipo di tutta la vita della
Chiesa» (dom Gréa)
Premessa
A metà del 2005 (più di 11 anni fa!), presentavo la
tesina di licenza in teologia dogmatica presso l’università Gregoriana sul tema:
“Dom Adrien Gréa (1828-1917) e
l’ecclesiologia trinitaria: una voce profetica?”, diretta dal prof. Mario Farugia,
s.i. E’ un lavoro piccolo e scopiazzato[1], ma
che mi ha entusiasmato e mi ha permesso di entrare più in profondità nel
pensiero del nostro fondatore.
Il titolo scelto da p. Riccardo per questa
relazione è molto impegnativo: chiede di attualizzare il pensiero del Gréa nei
“nostri progetti pastorali”. Non credo di poterlo fare io, ma, eventualmente,
possiamo cercare insieme una doverosa attualizzazione del carisma del Gréa. Mi
limito ad offrire alcuni spunti che, spero, possano stimolare un
approfondimento.
Il contesto
storico-ecclesiologico del Gréa
Ciò che oggi appare scontato (parlare di
ecclesiologia trinitaria e di comunione), ai tempi del Grea era inusitato e
guardato con sospetto. Ne è consapevole lui stesso, tanto che nella prefazione
all’Eglise esprime l’esplicita volontà di distaccarsi dalla manualistica
ecclesiologica del suo tempo, vista come risposta (univoca) alle eresie degli
ultimi secoli. A questa ecclesiologia apologetica predilige una ecclesiologia
misterica, vista dall’alto, con gli occhi di Dio. Da tali altezze egli scorge
una realtà prima di tutto spirituale e solo in conseguenza istituzionale[2];
una realtà misterica, divina che trova la sua “origine teologica” nella Trinità
stessa e la sua origine storica in Cristo Gesù, capo della Chiesa.
Anton[3]
individua cinque caratteristiche dell’ecclesiologia di questo periodo: il tema
centrale dell’autorità; il suo indirizzo prevalentemente orizzontale;
l’orientamento papalista con l’immagine piramidale della Chiesa; il suo
carattere gerarchico, clericale e apologetico[4].
Tutto ciò comportò l’imporsi di una ecclesiologia non certo erronea, ma privata
di molti elementi che oggi siamo abituati a considerare come indispensabili e
fondamentali, con l’emarginazione quasi completa degli elementi comunitari e
laicali.
Accanto
ad una ecclesiologia “ufficiale” di stampo apologetico e giuridico non mancò
mai però una ecclesiologia diversa, minoritaria e spesso vista con sospetto, ma
destinata, in tempi più opportuni, ad imporsi con forza. T. Federici
indica quattro fiaccole che risplendono
nel buio panorama ecclesiologico del tempo: J. A. Möhler in Germania, J. H.
Newman in Inghilterra, A. Rosmini in Italia e A. Gréa in Francia[5].
Sono nomi che torneranno alla ribalta solo successivamente, alla vigilia del
Concilio Vaticano II, grazie ad un lavoro di riappropriazione ed
approfondimento portato avanti da illustri teologi tra i quali spiccano i nomi
di de Lubac e Congar.
Oggi
è usuale cominciare a parlare del Concilio Vaticano II proprio a partire dai
“movimenti preconciliari” che hanno fatto da substrato ai padri conciliari
nell’elaborare i loro documenti. Si parla del movimento biblico, di quello
patristico, liturgico, laicale, ecumenico e missionario. Difficile catalogarli
od offrire in modo esaustivo e lineare, le tappe del cammino storico percorso
da ciascuno di essi. Non stiamo parlando infatti di movimenti istituzionali, ma
di sensibilità comuni, di movimenti di pensiero e opinione. Una sensibilità
minoritaria che si sviluppa per decenni in maniera silente e spesso ostacolata
se non osteggiata da quella maggioritaria fino ad esplodere in maniera plateale
e divenire a sua volta maggioritaria e ufficiale col Concilio Vaticano II.
In
tutti questi movimenti, di comune troviamo il bisogno di tornare alle fonti
scritturistiche e patristiche. E’ la stessa sensibilità romantica, che pervade
la cultura del tempo, a spingere in questa direzione. Fatto questo passo diviene
quasi automatico fare il successivo, quello cioè del recupero dei concetti di
mistero e di sacramento.
E’
ciò che accade anche al Gréa: autodidatta che si forma sui fondamenti biblici e
patristici, influenzato dalla sensibilità romantica è affascinato dalla storia
ecclesiale, in particolare medioevale. Diocesano preoccupato dalla deriva
individualista e mondana del clero, trova nell’antico istituto dei Canonici
Regolari la forma religiosa che più si adatta alla riforma del clero diocesano
che vuole unito a Dio, al vescovo e al presbiterio[6].
L’obiettivo è quello di reintrodurre «la vita comune e religiosa nel clero
ordinario delle chiese particolari, creando dei preti che siano i religiosi del
vescovo»[7].
Inoltre è un contemplativo, un uomo di preghiera, un amante della liturgia:
anche queste sono fonti che lo rendono un
“hapax dans la théologie de l’époque” (Y. Congar)[8],
“un caso unico nel panorama teologico del suo tempo”.
Tutti coloro che, da
vicino o da lontano, hanno conosciuto dom Gréa, amici e avversari, biografi e
critici, riportano una testimonianza unanime: fu un grande contemplativo della
Chiesa. Su questo punto, i suoi libri resteranno, come disse il cardinale Louis
Billot, «una miniera inesauribile di ricchezze teologiche». E’ questo carisma
che gli assicura un posto eminente tra gli spirituali del suo tempo[9].
L’importanza
del pensiero teologico del Gréa è stata negli ultimi decenni evidenziata da
alcuni studiosi che hanno, giustamente, mostrato il suo contributo ante
litteram nell’elaborare una teologia della Chiesa particolare[10].
Ben pochi, tra l’esigua schiera di persone che hanno studiato il Gréa, hanno
però anche messo in evidenza il suo ruolo nella attuale riscoperta trinitaria
dell’ecclesiologia[11].
L’Eglise
Paul
Benoit, biografo e compagno fedele del Gréa, ci informa come egli iniziò a
lavorare al suo capolavoro, Della Chiesa e della sua divina costituzione
già da quando era giovane studente a Parigi (1845-1855) e che per tutta la vita
continuò a rielaborarlo[12].
T. Battisti, parafrasando Vernet, descrive Dom Gréa come «l’uomo di un libro,
quello sulla Chiesa, intorno al quale lavorò per trent’anni, che solo al
termine della sua vita ristampò e completò; l’uomo di una sola idea, che questo
libro inserisce in una luce al tempo stesso mistica e dogmatica; l’uomo della
Chiesa, un grande contemplativo della Chiesa»[13].
L’opera
venne pubblicata per la prima volta nel 1885 a Parigi dall’editore Palmé
(tremila esemplari a proprie spese di cui sembra che ne rimasero molte
invendute[14]).
Nel 1904 il libro apparve anche in traduzione italiana ad opera di Mons.
Lancia, arcivescovo di Monreale e amico personale del Gréa[15].
Nel 1907 ne usciva una seconda edizione (ed. Maison de la Bonne Presse,
Parigi), aumentata da una appendice di 82 pagine sull’origine e la natura dello
Stato e le sue relazioni con la Chiesa. Nel 1965 Gaston Fontaine (CRIC) curò
una nuova edizione presso Casterman (Belgio) in cui ripresenta, in una veste
tipografica più attraente, il pensiero del Gréa, dopo che gli anni del Concilio
Vaticano II l’avevano rivelato di una sorprendente attualità; tenta inoltre di
facilitarne la lettura offrendo un’edizione critica, attenta anche alla
verifica delle tante citazioni bibliche e patristiche.
Il
titolo dell’opera doveva essere «Du Mystère de l’Eglise et sa divine
constitution», ma il card. Caverot consigliò il Gréa di eliminare la parola
“mystère” a causa dell’ambiguità del termine che era stato utilizzato da
alcuni teologi criticati dal Vaticano I[16].
Se
dalle lettere gratulatorie tutti, in sostanza, trovavano che la sorprendente
erudizione, unita ad un potente afflato mistico, faceva dell’opera del Gréa
un’opera di «alta teologia e alta pietà»[17],
tuttavia, come diversi studiosi hanno fatto notare[18],
quest’opera rimase sostanzialmente sconosciuta[19]. Nella
presentazione fatta sul retro di copertina della riedizione del 1965 viene
affermato: «Da più di quarant’anni,
l’opera di Dom Gréa, apparsa nel 1884, riedita nel 1907, è esaurita. Molti dei
teologi contemporanei ignorano persino il titolo di quest’opera della fine del
XIX secolo: “La Chiesa e la sua divina costituzione”».
E’ il Gréa
stesso ad enunciare nella prefazione lo schema che seguirà nel testo:
Crediamo necessario esporre, in un’introduzione o discorso preliminare,
la natura della Chiesa e il luogo che essa occupa nei disegni di Dio tra le
altre sue opere; la natura e l’eccellenza della sua gerarchia e dell’ordine che
ne distribuisce tutte le parti, la natura infine delle relazioni e della
dipendenza che hanno verso di lei le altre opere di Dio, gli angeli e le
società umane.
L’insieme dell’opera comprenderà tre libri. Nel primo esporremo i
principi generali della gerarchia della Chiesa, i poteri che le sono confidati
e i mezzi misteriosi della sua attività.
Il secondo libro sarà dedicato alla Chiesa universale nel suo capo Gesù
Cristo e il Vicario che ne tiene il posto quaggiù e nel collegio dei vescovi
associati suo governo.
Nel terzo finalmente tratteremo della Chiesa particolare nel suo capo,
il Vescovo, e nel suo collegio di preti e di ministri[20].
L’idea di base è la seguente: Dio è
il capo di Cristo, il Cristo è il capo della Chiesa e il vescovo è il capo
della sua Chiesa particolare. Colui che accoglie il vescovo, accoglie il
Cristo; e colui che accoglie il Cristo, accoglie, nel Cristo, il Padre che l’ha
inviato.
Nella
società divina troviamo la fonte, il modello e il destino delle altre
gerarchie. Come il Padre e il Figlio formano una unità inseparabile, sigillata
dallo Spirito Santo, così il Cristo e la sua Chiesa sono intimamente e
profondamente unite. Ma la Chiesa non è una moltitudine informe: è il collegio
episcopale, associato a Gesù Cristo, che conferma la moltitudine dei fedeli
nella sua fecondità.
Il Gréa è un profondo conoscitore
della Parola di Dio e dai Padri ha imparato a commentare “la Scrittura con la
Scrittura” stessa. Il testo del Gréa è ricchissimo di citazioni bibliche. Egli
leggeva ogni anno tutta la Sacra Scrittura e la familiarità con la Parola di
Dio, stupefacente per l’epoca in cui il Gréa scrive, è facilmente dimostrata
osservando la «tavola delle citazioni bibliche»[21]
presentata come appendice nell’edizione ultima del capolavoro del Gréa e
analizzata (e corretta) accuratamente da C. Treccani nella sua tesi di licenza
dedicata all’uso che il Gréa fa della Sacra Scrittura[22].
Tra Padre e Figlio vige la
comunione, tutto ciò che possiede il Padre è anche del Figlio. Il Gréa trova in
particolare nel linguaggio giovanneo lo stimolo e l’aiuto per comprendere e
contemplare il mistero contenuto nella realtà, divino-umana, della Chiesa.
Nelle parole «Come il Padre ed io siamo una sola cosa», il Gréa ravvisa il cuore
del “testamento di Gesù”, ripreso più volte come base del suo ragionamento: l’Ecclesia
de Trinitate nasce da questa profonda unità divina che vuol essere
comunicata agli uomini perché siano anch’essi consumati in quest’unità e così
redenti dalla loro situazione di dolore, di peccato e di divisione. Gesù prega
il Padre perché l’unità che scaturisce dal loro amore reciproco sia comunicata
agli uomini, resi partecipi della stessa comunione, consumati in questa.
L’ultima cena diventa il momento massimo di rivelazione di tale mistero fondato
sull’unità trinitaria che il Padre vuole comunicare all’umanità nel Figlio.
Ricordiamo
come tutti gli autori contemporanei che hanno studiato il Gréa ritengano che la
sua originalità derivi dalle stesse fonti che egli utilizza. In particolare si
sottolinea l’uso e la conoscenza che egli ha dei Padri e, tra questi, la
predilezione che mostra per Ignazio di Antiochia, Cipriano, Leone Magno e
Tommaso d’Aquino, da noi inserito per comodità, anche se illecitamente, tra i
Padri[23].
Sintetizzando
le varie affermazioni che troviamo nel testo, la Chiesa è per il Gréa: (a) opera della Trinità e alla Trinità è
destinata; (b) mistero, cioè realizzazione del piano salvifico; (c) Cristo
stesso; (d) sacramento, cioè mezzo e strumento con cui Cristo rende presente
perpetuamente la sua grazia salvifica; (e) sposa di Cristo e nostra madre; (f)
gerarchicamente costituita secondo una processione che parte dal Padre, capo del
Figlio (prima gerarchia) e dal Figlio, capo della Chiesa discende ai suoi
Apostoli (seconda gerarchia), i cui successori sono i vescovi, capi della
Chiesa particolare (terza e ultima gerarchia), secondo quanto il Cristo stesso
afferma nel vangelo di Giovanni: «Come il Padre mi ha inviato, così anch'io
mando voi» (Gv 17,18).
E’ questo il senso della dottrina della pericoresi (o circumincessio),
più volte presentata dal Gréa: nessuna delle persone divine, e di conseguenza
nessuno dei componenti della gerarchia ecclesiale, può agire da sola
separandosi dalle altre.
Ecclesiologia trinitaria
Riscoprendo
la sua dimensione eminentemente trinitaria, Dom Gréa riuscì ad integrare, in un
sistema unitario, papato ed episcopato, collegialità e primato, istituzione e
carisma[24].
Se questi binomi erano di origine divina, cosa di cui il Gréa, nella sua
contemplazione mistica, è più che convinto, ci doveva infatti essere un
principio teologico che permettesse di salvare ambedue i termini e di combinare
le loro reciproche relazioni in un’armonica visione d’insieme. Questo principio
teologico fondamentale, Dom Gréa lo trova appunto nella vita trinitaria quale
origine e fine della Chiesa, tipo ed esemplare di tutto ciò che in essa avviene[25].
Il mistero della Chiesa è un prolungamento ed una estensione nel tempo del
mistero stesso della vita divina[26].
La vita della Chiesa non è infatti una realtà diversa dalla vita della Trinità,
ma è questa stessa vita che espande nel tempo il flusso delle sue operazioni
per immergervi la vita degli uomini. Nella Trinità vi è molteplicità, numero,
distinzione, ma tutto è armonico, comunione e dono amoroso nell’unità più
totale di un solo essere[27].
Per descrivere la partecipazione della Chiesa alla
società divina, il Gréa presenta l’ultima cena come il momento massimo di
rivelazione di tale mistero fondato sull’unità trinitaria che il Padre vuole
comunicare all’umanità nel Figlio. Inizia così una
lunga e profonda meditazione del capitolo 17 di Giovanni in cui egli ravvisa il
cuore stesso del messaggio cristiano e, parafrasando la “preghiera sacerdotale”
di Gesù, pone l’accento sull’unità. Nell’ultima cena Cristo prega per la Chiesa
con lo stesso amore con cui il Padre lo ha amato ancor prima della creazione
del mondo. Da questo amore e da questa unione scaturisce «la fiamma eterna del
nostro Santo Spirito, che con la sua presenza la sigilla e la porta a
compimento»[28]. E’ necessario, prosegue il Cristo nella
sua preghiera al Padre, che «questo “amore con il quale mi hai amato sia
in essi e io in loro” (Gv. 17,26) affinché siano un oggetto degno di questo
amore, e perché io possa riamarti in loro; e che tutto ciò che io ho sia pure
in loro, perché anch’io sono in essi» [29]. Lo
Spirito Santo, inviato dal Padre e dal Figlio con una unica e medesima
missione, estende nella Chiesa il Mistero di questo amore[30].
L’ordine divino, comunicato ed esteso alla Chiesa,
fa sì che la gerarchia ecclesiastica sia, ad immagine della Trinità, santa,
divina e immutabile: «tale è il diritto divino della Chiesa e della sua
gerarchia»[31].
Tali conclusioni sono fortemente criticate da G. Canobbio:
Non è difficile
vedere in queste affermazioni una fondazione trinitaria della gerarchia
ecclesiale, tale da non riconoscere alcun spessore storico all’origine e alla
configurazione di questa. Il procedimento fortemente deduttivo non permette a
Gréa di cogliere i processi storici: la sua visione della Chiesa è puramente
sincronica; la Chiesa è il riflesso in terra del mistero trinitario. Se si
ammette sviluppo, processo, è solo fino a Cristo; dopo di che tutto è ormai
fissato, essendo Cristo la rivelazione definitiva ed essendo la Chiesa nella
sua figura una cosa sola con Cristo[32].
Tra di loro c’è piena distinzione (il Padre è il
Principio «che in nulla dipende da colui che egli genera», mentre il Figlio è
«il generato che interamente dipende dal suo principio») e piena uguaglianza:
il Figlio riceve infatti tutto dal Padre «con una pienezza e assoluta
perfezione che gli è uguale in tutto» (cf. Gv 16,15)[33].
Lo Spirito scaturisce dall’amore reciproco ed
eterno del Padre e del Figlio. Appartiene ad entrambi perchè «da entrambi procede, ed è
il testimone e il sigillo sacro della loro eterna alleanza»[34] che
è immutabile e perfetta anche nella creazione[35].
[1] FONTI
PRINCIPALI:
La tesi di p.Bruno Mori Il contributo di Dom Adriano Gréa allo
sviluppo della dottrina teologica sull’episcopato collegiale e la chiesa
particolare, tesi di laurea discussa presso la P.U.Urbaniana, Roma 1971
e di Mario Serenthà (recentemente scomparso): Gli inizi della Teologia della Chiesa locale: “De l’Eglise et sa divine
constitution” (1885) di dom A.Grèa, un “hapax dans la théologie de l’époque”
(Y.Cogar), Estratto della tesi di laurea discussa nella facoltà teologica
interregionale di Milano, 1973. Scrisse anche due articoli: Valutazioni e utilizzo di “De l’Eglise et sa
divine constitution” di dom A.Gréa dall’anno di pubblicazione a oggi, in La
Scuola Cattolica 104(1976)339-359 e Dom
Gréa modernista?, in ScC105(1977)599-610;
Canobbio Giacomo,“Il vescovo
visibile principio e fondamento dell’unità nella Chiesa particolare”, in
AA.VV., Il vescovo e la sua Chiesa,
Quaderni del Seminario di Brescia, Brescia 1993, p.51-82; “Un esempio dimenticato di ecclesiologia trinitaria: Dom A.Gréa
(1828-1917)”, in AA.VV., L’intelletto
cristiano. Studi in onore di Mons.Giuseppe Colombo, Glossa editrice, Milano
2004?
Battisti T., Dom Adriano
Gréa e i Canonici Regolari nella Chiesa Particolare, Montichiari 2001
ID., Dom Adriano Gréa. Una spiritualità nel
solco della tradizione, Montichiari
2002;
C. Treccani, La “Divine Economie” in Dom Adrien Gréa. L’Eglise
et sa divine constitution, tesi di licenza in teologia biblica, P. U.
Urbaniana, Roma 1980.
Accenni al Gréa sono inoltre rintracciabili in alcune opere di CONGAR,
DE LUBACH, A. ANTON…
[2] «La Chiesa non è
soltanto una società di cui Dio ha fatto o ispirato la legislazione (…). Dio
non è soltanto il suo legislatore; ma le da tutto il suo essere fino
all’essenza stessa della sua sostanza; Egli è il principio di lei e la fa
procedere da sé medesimo nel suo Cristo, di cui essa è il corpo, lo sviluppo,
la pienezza. La nuova Gerusalemme discende dal cielo e procede da Dio: porta in
sé i segni della sua divina origine, e la società divina stessa si riproduce in
lei per mezzo di ineffabili comunicazioni» (Idem, XXXIV-XXXV).
[3]
Angel Antón (1926-2011) è un gesuita spagnolo docente di ecclesiologia presso
diverse università.
[4] A. Antòn,
«Lo sviluppo della dottrina sulla Chiesa
nella teologia dal Vaticano I al Vaticano II», in Facoltà Teologica Interregionale di Milano, L’ecclesiologia
dal Vaticano I al Vaticano II, Brescia 1973.
[5] Cf. T. Federici,
Cristo Signore risorto amato e celebrato,
Palermo 2001, 75.
[6] Scopre così che nei primi secoli del cristianesimo la
vita religiosa non era una esclusiva dei monaci, ma era praticata in maniera
abbastanza regolare e diffusa anche dal clero ordinario delle chiese
particolari. Erano questi i Canonici Regolari che, nei secoli IX e X, si
distingueranno dal clero secolare che conservava i propri beni personali. I
primi infatti, pur appartenendo pienamente alla realtà diocesana, ponevano i
loro beni in comune ed erano uniti nella preghiera liturgica e nel servizio
pastorale da una comune regola di vita (da cui l’aggettivo “regolari”). Cf. AA.
VV., La vita comune del clero nei sec. XI
e XII, 2 vol., Milano 1962; C. Egger,
«Canonici Regolari», in Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol.
II, Roma 1975, 46-65; G. Reginald, La vocazione sacerdotale. I Canonici Regolari nel Medioevo, Roma
1982; P. Guglielmi, I Canonici
Regolari Lateranensi. La vita comune del clero, Vercelli 1992.
[7] B. Mori,
«Il contributo», 38. In nota cita un’affermazione del Gréa stesso,
contenuta in una lettera al priore di Mannens, del 14 agosto 1900, conservata
negli archivi Cric, in cui è detto esplicitamente che: «En tous ces cas nous
sommes les religieux des évêques, qu’ils nous placent ou qu’ils nous retirent
les places, nous l’acceptons avec une joie égale».
[8] Y.Congar, L’Eglise,de
S.Augustin à l’èpoque moderne, Paris 1970, p.458 cit. in M.Serenthà, Gli inizi…
[9] P. Broutin – A. Rayez, «Gréa», in Dictionnaire de spiritualité, fascicule
XLI, Paris 1966, 804.
[10] Legrand sottolinea come «dopo il 1870, alla teologia
delle Chiese locali sarà data poca
attenzione, se si eccettua la pubblicazione di Dom Gréa (1884)» (H. Legrand, «La Chiesa», 1996, 149).
«Antesignano della riscoperta dell’episcopato (…) pioniere della teologia della
Chiesa particolare»: così lo definisce G. Canobbio,
(«Il vescovo visibile principio e
fondamento dell’unità nella Chiesa particolare», in AA. VV., Il vescovo e la sua Chiesa, Brescia
1993, 54).
[11] Uno studio specifico è apparso recentemente per opera
di G. Canobbio, «Un esempio dimenticato di ecclesiologia
trinitaria…
[12] Cf. P. Benoit, Vie de Dom Gréa.
[13] T. Battisti,
Dom Adriano Gréa. Una spiritualità nel solco della tradizione,16.
[14] Cf. F. Vernet, «Dom Gréa», 84.
[15] L’edizione, in due volumi, era curata dalla libreria
pontificia F. Pustet, Roma.
[16] Cf. B. Mori,
«Il contributo», 126.
[17] De Rossi, lettera del 5 agosto 1885 (cf. B. Mori, «Il contributo», 131).
[18] Cf. in particolare lo studio di M. Serenthà, «Valutazioni e utilizzo di “De l’Eglise et sa divine constitution” …
[19] Si veda anche il numero speciale del Bullettin des
CRIC, 94 (Nouvelle Série), Mai-Juin 1966, 6-7, dedicato all’edizione
del 1965, in cui si parla delle vicende, durate più di vent’anni, per trovare
un editore disposto a sobbarcarsi l’onere dell’impresa.
[20] A. Gréa, «Della Chiesa», XXXV.
[21] Cf. la «Tables des
citations bibliques», opera del curatore
della nuova edizione, G. Fontaine in A. Gréa,
L’Eglise et sa divine constitution, Paris 1968, 505-507.
[22] C. Treccani,
La “Divine Economie” in Dom Adrien Gréa. L’Eglise et sa divine constitution
[23] Cf. G. Canobbio,
«Il vescovo», 57-58; M. Serenthà,
«Gli inizi», 21: «Le fonti cui il Gréa attinge abbondantemente sono, per
il suo tempo, abbastanza “inusitate”: la Bibbia, S. Tommaso e soprattutto i
Padri (tra questi ultimi i più citati sono Cipriano, Ignazio e Gregorio
Magno)».
[24] «Il ricorso alla Trinità serve soprattutto per fondare
mistericamente le relazioni tra Chiesa universale e Chiesa particolare, più
precisamente papa-collegio episcopale, vescovo-presbiterio, ne deriva quasi una
idealizzazione della gerarchia. In tal senso, Gréa potrebbe essere ritenuto un
fedele seguace della dottrina ecclesiologica tesa a difendere la gerarchia
ecclesiastica di fronte alle contestazioni che non ne coglievano la ragione
ultima. Ci si troverebbe, in ultima analisi, di fronte ad una giustificazione
teo-logica della funzione gerarchica: non più soltanto l’istituzione da parte
di Gesù Cristo, ma la riproposizione della taxis trinitaria» (G. Canobbio, «Un esempio dimenticato»,
328-329).
[25] Cf. A. Gréa, «Della Chiesa»,
55-56.
[26] Cf. Idem, 26-28.
[27] Cf. Idem, 27.
[28] Idem, 30.
[29] Ibidem.
[30] Cf. Idem, 30-31: «Pertanto sarà necessario che il
nostro Santo Spirito venga in essi, poiché il mistero del tuo amore e del mio
cuore si estende fino a loro, perché tu mi ami in loro ed io in loro possa
renderti il mio amore. Manderai loro questo Spirito, ed io pure lo manderò; e
come noi siamo un solo principio dello Spirito Santo, così pure lo manderemo in
una sola e medesima missione, e questa missione sarà una continuazione di
quella con cui mi hai mandato a loro e fai che io sia in loro. Egli è veramente
in loro, perché afferma “nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e nessuno
conosce il Figlio se non il Padre” (Mt.11,27). Quindi dice loro del Padre “voi
lo conoscerete” (Gv.14,7); e del Figlio: “voi avete creduto che io sono venuto
dal Padre” (Gv.16,27), e ancora: «voi mi vedrete perché io vivo e voi pure
vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in
voi” (Gv.14,19-20). Infine chiude tutto questo discorso e porta a compimento
tutto questo ineffabile insegnamento annunziando alla Chiesa che incorpora a sé
la comunicazione della beatitudine divina: “Vi ho detto queste cose perché la
mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta” (Gv.15,11)».
[31] Idem, 36.
[32] G. Canobbio, «Un esempio dimenticato», 319, n.
20.
[33] Ibidem.
[34] Ibidem.
[35] Idem, 62-63: «Dio opera secondo le leggi della sua
vita interiore; ed in tutte le opere le persone divine operano sempre
nell’ordine loro rispettivo e secondo la legge immutabile della loro origine
eterna. Secondo quest’ordine, il Padre ha nel Figlio il suo confidente eterno e
il suo cooperatore: siccome il Figlio è associato al Padre nel mistero della
vita divina, non c’è segreto che il Padre non gli riveli, né opera che faccia
senza di lui. Egli è stato il consigliere del Padre nella creazione degli
angeli e degli uomini (…), e tutte le
opere del Padre “sono state fatte per mezzo di lui e niente di ciò che esiste è
stato fatto senza di lui” (Gv 1,3) e senza lo Spirito che è Spirito del Padre e
del Figlio».