Provocazioni pubblicitarie: tutto, ma non contro l'aborto


In questi ultimi anni abbiamo assistito (silenti) ad ogni tipo di provocazione pubblicitaria. I manifesti contro l'aborto sono l'unica pubblicità che non viene tollerata e per la quale ci si indigna. E la libertà di espressione? Non si può neanche esprimere un parere diverso? 
Così la CitizenGo Italia continua a provocare: dopo il mega poster rimosso a Roma rilanciano affiggendolo a Genova e portando avanti una nuova campagna pubblicitaria. Ecco alcune riflessioni in merito:

Avvenire: "Manifesto anti-aborto a Roma, chiesta la rimozione":
«L’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo. #stopaborto». È volutamente provocatorio il manifesto affisso a Roma da CitizenGo, realtà attiva nella mobilitazione su grandi temi temi etici attraverso gli strumenti della comunicazione e in particolare i social network, dove è presente e nota come piattaforma per la raccolta di firme su petizioni popolari.
«È in atto il tentativo di censurare e silenziare chi afferma la verità sull'aborto, che sopprime la vita di un bambino e ferisce gravemente quella della donna – spiega una nota di CitizenGo –. Rivendichiamo il diritto di opinione ed espressione tutelato dalla Costituzione». Parole nelle quali traspare la certezza che il manifesto avrebbe suscitato reazioni censorie, come puntualmente è accaduto.
«Chiediamo alla sindaca Virginia Raggi di intervenire immediatamente per far rimuovere questo vergognoso manifesto» tuona infatti su Facebook la rete femminista Rebel Network, che di CitizenGo parla come di «uno dei gruppi a nostro parere pro-odio e contrari alla libertà di scelta delle donne».
Il manifesto in realtà si limita a mostrare la pancia di una mamma in gravidanza avanzata, con la forza comunicativa del bianco e nero, associando l’aborto al femminicidio per l’evidente motivo che almeno la metà delle vittime di interruzione di gravidanza sono femmine. Un fenomeno che in Paesi come la Cina o l’India, dove si pratica l’aborto selettivo sulle bambine, assume proporzioni numericamente e umanamente drammatiche. Se si considera che in Italia gli aborti sono poco meno di 90mila il calcolo delle donne che mancano all’appello perché abortite prima di nascere è presto fatto.
Ovvio che dissenta da questo giudizio molto netto chi sostiene che l’aborto è un diritto, avvertendo questa campagna – che CitizenGo ha già annunciato di voler estendere ad altre città italiane – come una minaccia contro quelle che considera conquiste acquisite dopo 40 anni di legge 194 (l’anniversario cade il 22 maggio).
I toni del commento di Monica Cirinnà, al centro di una delle mobilitazioni di CitizenGo quando la piattaforma si batté contro la legge sulle unioni civili, esprimono bene questo approccio. Riferendosi al manifesto comparso a Roma la senatrice Pd parla di «orribile campagna di disinformazione contro le donne da parte di organizzazioni estremiste» chiedendo «un immediato intervento delle istituzioni, a partire dall’Autorità delle Comunicazioni», per «rimuovere subito i manifesti». A parere di Cirinnà infatti la campagna sarebbe basata su «assunti completamente infondati» perché «le interruzioni di gravidanza in Italia sono tra le più basse in Europa» (e comunque sono pur sempre ancora quasi 90mila l’anno, secondo statistiche che non possono tener conto dell’azione delle varie pillole catalogate come contraccettivi d’emergenza e tuttavia dal potenziale abortivo). L’esponente pd va oltre definendo addirittura «disgustoso» che si pensi di «accostare un diritto delle donne a una violenza come il femminicidio», affermazione che tuttavia non tiene conto del fatto che la stessa legge 194 non definisce l’aborto come un diritto limitandosi a depenalizzarlo a determinate condizioni e che l’aborto è una forma di violenza sulla vita umana più indifesa.
Inevitabile comunque che Cirinnà si appelli a «tutto l’arco parlamentare, a iniziare dalle forze che intendono costituire il prossimo governo», e a «tutte le donne presenti in Parlamento e nelle istituzioni» per «difendere una legge dello Stato che garantisce libertà delle donne, indipendentemente dalla propria morale». Di «ennesimo attacco contro la libertà di scelta delle donne» parla la Cgil, che si batte da tempo perché venga limitata l’obiezione di coscienza dei medici (questo sì un diritto riconosciuto dalla legge 194) chiedendo con la voce della segretaria territoriale di Roma e Lazio Tina Balì il «tempestivo intervento perché il manifesto venga rimosso al più presto».
Dal canto suo Filippo Savarese, direttore delle campagne di CitizenGo, spiega che «negli ultimi anni le istituzioni hanno denunciato con sempre maggior forza il fenomeno dei femminicidi e della violenza sulle donne, ma ci si dimentica di dire che la prima causa di morte per milioni di bambine (così come di bambini) nel mondo è l'aborto, che provoca anche gravissime conseguenze psicologiche e fisiche per le donne che lo praticano. Si rivendica sempre la "libertà di scelta" per sostenere l'aborto, ma oggi siamo noi a rivendicare la libertà di scelta per le donne che hanno diritto a essere informate correttamente sulle conseguenze sempre drammatiche dell'aborto. Oggi è discriminata la donna che vuole portare avanti una gravidanza e diventare madre», un’allusione alla prima parte della legge 194 – quella sulla «tutela sociale della maternità» – che dopo 40 anni è rimasta ancora sostanzialmente sulla carta. Quanto alla richiesta di far sparire i manifesti, Savarese ricorda che «è di poche settimane fa il gravissimo episodio che ha visto la rimozione di un manifesto di ProVita a Roma che semplicemente elencava delle verità scientifiche inoppugnabili sull'aborto».
Si tratta secondo Savarese di «verità scientifiche che evidentemente hanno dato molto fastidio», prendendosela polemicamente con quelli che definisce gli «intolleranti del politicamente corretto, con in testa Monica Cirinnà, che evidentemente non sopporta che le donne siano informate. Rimuovere un manifesto non costringerà al silenzio chi crede nella vita e che, proprio in nome delle donne, vuole che sull'aborto non si taccia».
Il leader di CitizenGo Italia reclama la «libertà di essere informati sulla realtà dell'aborto, sull'uccisione di migliaia di innocenti. Una strage di cui non si deve parlare, delle verità tanto scomode da ritenere anche un solo manifesto "pericoloso". Ora abbiamo una ampia campagna in tutta Italia, perché per ogni manifesto strappato si alzeranno migliaia di nuovi manifesti, iniziative, marce». CitizenGo è tra i promotori della Marcia per la Vita in programma sabato 19 maggio a Roma e che da alcuni anni vede convergere nelle strade della capitare migliaia di persone da tutta Italia, espressioni di varie anime del variegato associazionismo a diverso titolo impegnato nella difesa e nella promozione della vita umana, insieme a numerose famiglie.
Se dunque nella campagna di comunicazione sull’aborto alla vigilia della Marcia e del quarantesimo della 194 si punta sull’obiettivo di scuotere le coscienze, ormai diffusamente abituate a quella che resta una piaga sociale e una ferita per chi deve affrontarla spesso in solitudine e costretta da pressioni economiche e ambientali, resta da tutelare un doppio interesse pubblico, comunque la si pensi sul contenuto del manifesto esposto e contestato: quello alla verità, non potendo alcuna affermazione critica rimuovere la tragedia globale degli aborti che si accaniscono sulle bambine, e quello al rispetto della libertà di pensiero, che va rispettata anche se non se ne condividono i contenuti. Questioni entrambe da maneggiare con grande cura e rispetto in una società libera, pluralista e democratica. È bene che nessuno lo dimentichi.
Il Giornale: "Manifesto contro l'aborto a Roma: scoppia la bufera"

Corriere della Sera: "Roma, manifesto choc sull’aborto di CitizenGo: «È la prima causa di femminicidio»"

Tempi: "Aborto, nuova “campagna choc”. Intervenga l’Agcom (ma per zittire la Cirinnà)"

Il Fatto Quotidiano: "Roma, il manifesto: “L’aborto è la prima causa di femminicidio”. Commissione Commercio: “A breve sarà rimosso”

Wired: "L’aborto è la prima causa di femminicidio? Decisamente no"

Tempi: "Rassegniamoci: l’aborto è la prima causa di femminicidio al mondo"

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