L’IDENTITA’ SESSUALE TRA BIBBIA E SOCIETA’
Il peccato originale
Chi ha l’autorità e la credibilità per dirci cosa è bene e cosa è
male? Dio? Ma, ammesso che si creda nella sua esistenza, chi ci assicura che
Dio vuole il nostro bene? O che la Chiesa non abbia falsificato le sue
indicazioni per avere il controllo sulla gente? Di tutto questo ci parla già il
peccato originale raccontato nel libro della Genesi.
Il primo peccato, quello “originale”, è un peccato di superbia e
di orgoglio: quello di volersi sostituire a Dio, di rinnegare la nostra
creaturalità e di sentire Dio come un antagonista alla nostra libertà e alla
nostra ricerca di felicità: “Dio sa – insinua il
tentatore - che il giorno in cui voi mangiaste (il frutto proibito dell’albero
della conoscenza del bene e del male, n.d.a) si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e
il male”[1].
La prospettiva di poter divenire “come Dio”, di “conoscere il bene e il male”
senza dover far più riferimento a quanto Dio ci indica come buono o cattivo per
noi, è il sogno della nostra società: siamo persone mature, “illuminate”,
dunque non abbiamo più bisogno di Dio. Siamo noi a decidere autonomamente e
liberamente cosa fare o non fare, siamo solo noi a poter decidere cosa è bene e cosa è male: la morale è
divenuta soggettiva, relativa al soggetto che fa le sue scelte senza doverne
rendere conto a nessuno, alla sola condizione che non intacchino la libertà di
altri individui.
Quello
che Dio teme per il bene dell’umanità è presentato dal serpente come il bene
supremo: prendere il posto di Dio, divenire come Lui. A cos’altro potrei
aspirare? Il serpente usa un’astuzia menzognera e mistificante, sfruttando il
desiderio e la suggestione per rendere più ambigue e complicate le cose. Così ciò
che è bene per alcuni, può sembrare male per altri e viceversa; ciò che è male
appare spesso “buono da mangiare,
gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”[2].
E’ il gioco della seduzione che, partendo dal cervello, arriva ai sensi e muove
la volontà. Le cose proibite diventano spesso
belle e desiderabili: la tentazione nasce dal riconoscere che il male
sia in fondo anche portatore di un bene (immediato, di facile accesso,
seducente); che quello che è male lo sia in generale, non per me (che presumo
di saperlo gestire, di essere capace di coglierne il bene evitando il male). In
fondo tutto è giustificabile.
Un
esempio è offerto dagli adolescenti di oggi i quali presumono spesso di essere
forti (e furbi) e dimenticano le loro fragilità. Sono loro - e con loro gli
adulti che sognano di essere eternamente adolescenti – a rimettere in
discussione ciò che, da piccoli, consideravano pacificamente proibito,
pericoloso, negativo. E’ come se dicessero in cuor loro: “Può anche darsi che
effettivamente questo sia male, però in questa situazione particolare mi aiuta
farlo, desidero farlo. Perché allora non dovrei farlo? Che male c’è?” E lo fanno.
Come aveva promesso il serpente, “si aprirono gli occhi di tutti e due”,
ma non per conoscere tutto (“il bene e il male”): scoprono solo di essere nudi,
di essere esposti, indifesi… e si nascondono. Ma non per pudore: hanno vergogna perché – secondo il linguaggio
biblico – sono stati smascherati, si riconoscono colpevoli. Essere nudi vuol
dire essere esposti all’altro, essere senza difese e senza segreti,
perché l’altro ti vede come realmente sei, ti conosce per quello che sei.
Il peccato – ci dice ancora l’episodio della Genesi - è
“contagioso”: coinvolge chi ci sta vicino, ci chiude in noi stessi, ci separa
da Dio (da cui ci nascondiamo) e ci divide dagli altri che riteniamo
responsabili, colpevoli del male che abbiamo compiuto. Quale bambino non impara
presto a giustificarsi e a dare la colpa agli altri? “Non sono stato io… è lui
che…”.
Più
che essere allontanati da Lui – Dio continua a prendersi cura di noi[3]–
siamo noi ad allontanarci, a sentirlo distante, indifferente, inesistente. E
lontano da Lui sperimentiamo il dolore e la fatica, la finitezza della nostra
natura umana, la paura della morte, il predominio
dell’uomo sulla donna, cose che fanno parte del peccato dell’uomo, non del
progetto di Dio.