Il 50° dei Neocatecumenali e papa Francesco


Sabato 5 maggio, sulla spianata di Tor Vergata di Roma, papa Francesco ha incontrato circa 100.000 membri di questo importante e controverso movimento ecclesiale nato in Spagna 50 anni fa, fondato da un pittore convertito,  Kiko Arguello e una donna scomparsa recentemente, Carmen Hernández.
Come spesso capita i mezzi di comunicazione hanno quasi ignorato questo evento, preferendo evidenziare avvenimenti che richiamano centinaia di persone a loro più affini.

Ma chi sono i Neocatecumenali e cosa ha detto loro papa Francesco (vedi anche in fondo al post)? La fonte, autorevole, da cui attingo è Vatican News che racconta: 
“Cinquant’anni senza un attimo di sosta: viaggi, scrutini, visite a tante comunità a Madrid, Zamora, Barcellona, Parigi, Roma, Firenze, Ivrea… Ascoltando e ascoltando ogni fratello sulla sua vita, le sue sofferenze e la sua storia, illuminandola alla luce della fede, della croce gloriosa di Nostro Signore Gesù”. Forse non ci sono parole più dirette e più dense per raccontare questi 50 anni di Cammino Neocatecumenale di questo pensiero di Kiko Argüello posto come introduzione al libro di Carmen Hernández: “Diari”, pubblicato nel 2017.
 Cinquant’anni per dare inizio e consolidare una realtà ecclesiale, una modalità diocesana di iniziazione cristiana (cfr. Statuto, art. 1,2), il Cammino Neocatecumenale, presente oggi in 134 Paesi dei 5 Continenti, con oltre 21.000 comunità. Cinquant’anni per vedere sigillato questo particolare dono dal magistero della Chiesa: “La Chiesa ha riconosciuto nel Cammino un particolare dono che lo Spirito Santo ha dato ai nostri tempi e l’approvazione degli Statuti e del “Direttorio Catechetico” ne sono un segno. Vi incoraggio ad offrire il vostro originale contributo alla causa del Vangelo (Benedetto XVI, 2012).
Il Cammino Neocatecumenale
Si può cogliere appieno il significato di questo “particolare dono suscitato dallo Spirito Santo” (Benedetto XVI, 2011) ponendolo nel suo contesto storico. Kiko lo descrive così: “Due guerre mondiali, che hanno seminato nella società un profondo nihilismo, lo sviluppo tecnologico e l’industrializzazione, che hanno accelerato il passaggio nella società da una cultura rurale a una cultura urbana; i movimenti sociali di ispirazione atea e anticristiana..., sono alcuni fatti che hanno preparato, e che annunziavano già, il cambio epocale in cui ci troviamo oggi. Questi fatti, sviluppandosi durante la seconda metà del XX secolo, hanno prodotto nella società una realtà di scristianizzazione, secolarizzazione e di crisi di fede, con delle enormi conseguenze, come la decomposizione della famiglia, l’uscita dalla Chiesa di milioni di uomini, la caduta dei valori cristiani... Oggi, la globalizzazione dell’economia di mercato, con l’irrompere dei popoli asiatici, africani e dell’Islam, l’apparizione di una società, nella sua maggior parte composta da ‘singles’, il monopolio dei ‘media’, attraverso i grandi canali televisivi in mano ai trusts internazionali che professano antropologie anticristiane, sono le sfide che si presentano davanti alla Chiesa e alla sua missione di evangelizzazione di fronte al 3° Millennio”.
Davanti a questa “summa mutatio”, alla svolta di un’era nuova, come ebbe a dire San Giovanni XXIII (Humanae salutis, 1961), Dio ha suscitato il Concilio Vaticano II, sia per ridire, “com’è possibile all’umano linguaggio”, cosa sia la Chiesa e la sua missione, sia con il “principalissimo scopo... del rinnovamento della santa Chiesa”, in modo da renderla capace di affrontare le nuove sfide. E il 4 dicembre 1963, il Beato Papa Paolo VI promulgava la costituzione Sacrosanctum concilium: insieme a tutto il rinnovamento della liturgia, si ordinava il ristabilimento del catecumenato degli adulti: “Si ristabilisca il catecumenato degli adulti, diviso in più gradi... ” (SC 54).
Cammino e Concilio Vaticano IIIl Cammino applica la disciplina battesimale dell’iniziazione cristiana come “un metodo di evangelizzazione”, formando piccole comunità, sul modello della Sacra Famiglia di Nazaret. Lo strumento della piccola comunità, mentre offre ai singoli un luogo di maturazione, di verifica e di sostegno alla fede, diventa per la parrocchia uno stimolo di rinnovamento, che la fa crescere secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II: ascolto della Parola di Dio (Dei Verbum), vita liturgica più partecipata (Sacrosanctum Concilium), testimonianza della comunione e della carità, aprendo al suo interno una pastorale di evangelizzazione, capace di raggiungere i lontani (Lumen Gentium, Gaudium et Spes).
Kiko e Carmen: iniziatori del CamminoTre sono gli “strumenti” di cui Dio si è servito per dare inizio a questa iniziazione cristiana: Kiko Argüello, Carmen Hernández e l’ambiente di Palomeras Altas (periferia di Madrid) con i poveri lì presenti. Kiko Argüello nasce a León nel 1939, studia Belle Arti alla Reale Accademia di San Fernando di Madrid, e nel 1959 ottiene un premio nazionale straordinario di pittura. Nel 1960 forma, insieme ad altri artisti, un gruppo di ricerca e di sviluppo dell’arto sacra, “Gremio 62”. Dopo una profonda crisi esistenziale, a contatto con la sofferenza degli innocenti scopre il mistero di Cristo crocifisso, presente negli ultimi della terra, diventa professore di “Cursillos de Cristiandad” e poi, seguendo le orme di Charles de Foucauld, va a vivere tra i poveri delle baracche di “Palomeras Altas”, alla periferia di Madrid.
Carmen Hernández, nasce a Olvega, Navarra (Spagna), il 24 novembre 1930. Per desiderio del padre, inizia gli studi di chimica all’Università di Madrid e, dopo la laurea, lavora per un breve periodo nell’industria di famiglia. Entra poi nell’Istituto Misioneras de Cristo Jesús, per rispondere alla sua vocazione missionaria, frequenta la teologia a Valenza ed è in contatto con il rinnovamento del Concilio. Dopo quasi due anni vissuti in Israele, a contatto con la tradizione viva del popolo d’Israele e dei luoghi santi, si reca tra i baraccati di “Palomeras Altas” (Madrid) in attesa di costituire un gruppo missionario. Qui conosce Kiko e incomincia a lavorare con lui.
La sofferenza degli innocenti
Ma non si comprende ancora appieno il Cammino se non lo si colloca nel suo ambiente sociale: le baracche di “Palomeras Altas”, tra i più degradati della società madrilena, costituito da zingari, “quinquilleros” (nomadi), in gran parte analfabeti, barboni, ladri, prostitute. Questa è la piattaforma di lancio del Cammino, come tante volte ha ripetuto Kiko, e non progetti pastorali o lunghe sedute attorno a un tavolo… Il temperamento artistico di Kiko, la sua esperienza esistenziale; lo slancio di evangelizzazione di Carmen, la sua attenzione al rinnovamento liturgico del Concilio, centrato sul Mistero pasquale; l’ambiente dei poveri, illuminato dall’affermazione del Papa Giovanni XXIII, che la salvezza della Chiesa sarebbe venuta attraverso i poveri: hanno costituito quell’”humus”, quel “laboratorio”, che ha dato luogo ad una sintesi kerigmatica teologico-catechetica, colonna vertebrale di tutto il processo di evangelizzazione degli adulti, che è il Cammino neocatecumenale.
L’iniziazione cristiana
Dalla morte e risurrezione di Cristo nasce l’uomo nuovo, l’uomo celeste, che ci viene dato nel Battesimo, perché il Battesimo fa di noi “uomini celesti”, “figli di Dio”. E questo si rende visibile nella Chiesa, nella comunità cristiana. Credere questo è la fede cristiana. Ed ecco la sfida propria del nostro tempo, sfida per ogni cristiano, per ogni pastore, per ogni parrocchia, per ogni diocesi, per la Chiesa tutta: come possiamo ritrovare questa fede? Come possiamo ridire all’uomo della nostra generazione tutto il fascino di Dio, tutto l’incanto e la grazia della fede cristiana, tutta la bellezza e l’armonia della vita cristiana? Mediante il Cammino Neocatecumenale, Dio ha suscitato nella Chiesa una risposta a questa sfida: con l’iniziazione cristiana. Il Cammino non si propone di formare nuovi gruppi, nuove aggregazioni nella Parrocchia, ma di avviare in essa un cammino di gestazione alla fede adulta: formando poco a poco piccole comunità cristiane, trasformando la Parrocchia in una “comunione di comunità”, comunità capaci di dare i segni della fede: l’amore e l’unità (cf Gv 13,34-35; 17,21), che diventano missionarie perché mostrano al mondo che amare è possibile, amare l’altro, che è sempre diverso, amarlo anche quando ti fa un torto o ti disprezza, amarlo quando è tuo nemico. Ecco lo specifico del cristiano: ama il suo nemico. È possibile perdonare.
Alcuni dati sul Cammino Neocatecumenale nel mondo
Dopo cinquant’anni di Cammino, e certamente non senza difficoltà e tribolazioni, non senza incomprensioni e sofferenze, è davvero impressionante vedere i frutti di quest’opera del Signore: le migliaia di famiglie ricostruite, grazie ad un cammino di conversione in piccole comunità, la generosa apertura alla vita di esse, che ha fatto sorgere numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, il coinvolgimento diretto di numerosissime famiglie nell’opera di evangelizzazione, sia nelle equipes di catechisti (locali ed itineranti), sia nelle “missio ad gentes”, sia nelle “communitates in missionaem”, il sorgere dei Seminari Diocesani Misisonari “Redemptoris Mater”…
Oggi il Cammino è presente in 134 Paesi dei 5 Continenti, con oltre 21.300 comunità. Sono più di 1.270 le Diocesi e 6.300 le Parrocchie dove, anche con qualche difficoltà, si sta dando un serio contributo alla rievangelizzazione.
120 sono i Seminari “Redemptoris Mater” aperti dai Vescovi in altrettante Diocesi; in questi Seminari Diocesani Missionari vi sono oltre 2.300 seminaristi e 2380 sono già stati ordinati presbiteri.
Impressionante è il numero delle famiglie che, per gratitudine al Signoe, si rendono disponibili alla missione in tutto il mondo: 1668 famiglie, con circa 6.000 figli, operano in 108 paesi; di esse 216 “missio ad gentes” (in Europa, 134, in Asia 46, in America 18, Africa 9, in Oceania 8 e 1 in Medio Oriente).
Tutto questo non per dire quanto siamo bravi noi, ma come ebbe a dire Carmen il giorno della consegna dello Statuto nella sala del Pontificio Consiglio dei Laici: “Sapete come vorrei cominciare davanti a questa Vergine che ci presiede? “Magnificat anima mea Dominum”: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”!
Proprio per questo, Kiko ha voluto che l’atto centrale di questa celebrazione dei cinquant’anni non fosse altro che il canto del “Te Deum”: un canto di benedizione al Signore per la grazia, la misericordia, la sapienza, la benevolenza e tutti gli altri doni con cui ha voluto e accompagnato il Cammino.
La parola dei Papi
Insieme, e come sigillo e garanzia di quest’opera del Signore, la presenza e l’assistenza materna della Chiesa duranti tutti i cinquant’anni.
Come non benedire il Signore per il discernimento del Papa Paolo VI che nel 1977 ci diceva: “La rinascita del nome catecumenato non può invalidare né sminuire la importanza della disciplina battesimale vigente, ma la vuole applicare con un metodo di evangelizzazione graduale e intensivo che ricorda e rinnova in certo modo il catecumenato d’altri tempi. Chi è stato battezzato ha bisogno di capire, di ripensare di apprezzare di assecondare l’inestimabile fortuna del sacramento ricevuto”.
O le parole di San Giovanni Paolo II nell’incontro di Castel Gandolfo: “Come non ringraziare il Signore per i frutti portati dal Cammino Neocatecumenale…? in una società secolarizzata come la nostra dove dilaga l’indifferenza religiosa e molte persone vivono come se Dio non ci fosse, sono in tanti ad avere bisogno di una nuova scoperta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana: specialmente di quello del Battesimo. Il Cammino Neocatecumenale è senz’altro una delle risposte provvidenziali a questa urgente necessità”.
O ancora le parole di Papa Benedetto XVI che nell’Udienza del 2009 ci diceva: “La recente approvazione degli Statuti del ‘Cammino’ da parte del Pontificio Consiglio per i Laici è venuta a suggellare la stima e la benevolenza con cui la Santa Sede segue l’opera che il Signore ha suscitato attraverso i vostri Iniziatori. Il Papa, Vescovo di Roma, vi ringrazia per il generoso servizio che rendete all’evangelizzazione di questa Città e per la dedizione con cui vi prodigate per recare l’annuncio cristiano in ogni suo ambiente. Grazie a tutti voi (Benedetto XVI, 2009).
Ed infine Papa Francesco (Udienza del 18 marzo 2016): “Voi avete ricevuto un grande carisma, per il rinnovamento battesimale della vita; infatti si entra nella Chiesa attraverso il Battesimo… Seminate il primo annuncio: ‘ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario’ (Esort. ap. Evangelii gaudium, 35). È la buona notizia che deve sempre tornare, altrimenti la fede rischia di diventare una dottrina fredda e senza vita. Evangelizzare come famiglie, poi, vivendo l’unità e la semplicità, è già un annuncio di vita, una bella testimonianza, di cui vi ringrazio tanto. E vi ringrazio, a nome mio, ma anche a nome di tutta la Chiesa per questo gesto di andare, andare verso l’ignoto e anche soffrire. Perché ci sarà sofferenza, ma ci sarà anche la gioia della gloria di Dio, la gloria che è sulla Croce”.
I frutti più visibili del Cammino
La “comunità cristiana” che dà i segni della fede è missionaria Alla base del CN c’è una parola che Kiko in varie occasioni ci ha ripetuto di aver ricevuto dalla Vergine Maria: “Bisogna fare comunità cristiane come la Sacra Famiglia di Nazareth che vivano in umiltà, semplicità e lode; dove l’altro è Cristo”. Tutto è partito da questo formare comunità cristiane come la Sacra Famiglia di Nazareth. Il catecumenato è stato lo strumento attraverso il quale mettere in atto la modalità: il cammino dell’umiltà (la tappa dell’ascolto del kerigma e del precatecumenato per incominciare a conoscere davvero se stessi), della semplicità (entrata al catecumenato con l’iniziazione alla preghiera e con le consegne del Padre Nostro e del Credo), della lode (tempo dell’elezione). Nel suo ritmo settimanale di celebrazione della Parola di Dio, di celebrazione dell’Eucaristia, e in un giorno di convivenza mensile, sempre sotto la guida di un’équipe di catechisti e la presidenza di un presbitero, la comunità, che così si va formando come cristiana per opera dello Spirito Santo, incomincia a dare “i segni della fede”: l’amore nella dimensione della croce e l’unità. E questo di dare i segni della fede rimane come missione di fondo propria della vita cristiana.
La "missio ad gentes"
Da queste comunità e in queste comunità sono sorti diversi carismi a servizio della evangelizzazione: oltre ai catechisti, diciamo così, locali (che fanno catechesi nella propria parrocchia o in parrocchie vicine) sono sorti itineranti, famiglie in missione, le "missio ad gentes" e le "communitates in missionem".
Come nasce e cos’è la "missio ad gentes" ? Nel Cammino Neocatecumenale sono i fatti a mettere in movimento le cose, non progetti nati a tavolino. Davanti ad agglomerati urbani che nascono in pochi mesi, senza nessuna presenza cristiana, sono stati i Vescovi che, conoscendo la forza e la fede di tante famiglie del Cammino, con i loro numerosi figli, hanno chiesto agli Iniziatori del Cammino di aiutarli in qualche modo, coinvolgendo proprio queste stesse famiglie.
Kiko e Carmen hanno pensato di rispondere a queste richieste inviando proprio una comunità cristiana dentro questi agglomerati: quattro o cinque famiglie, con i loro figli, un presbitero, alcune sorelle in aiuto alle famiglie e qualche fratello che facesse da “socio” al presbitero: una trentina di persone, e si comincia una evangelizzazione non partendo da un “tempio”, ma proprio dalla “comunità cristiana”. Il Vescovo assegna una zona, dà la “missio canonica” al presbitero ed inizia la missione. I frutti, specie nelle zone più scristianizzate o pagane, sono davvero grandi.
Le "Communitates in missionem"
Di cosa si tratta? Semplice. Non va in missione solo qualche famiglia della comunità con i figli o un gruppo di famiglie, come nella missio ad gentes, ma tutta la comunità, cioè tutto quel gruppo di fratelli e sorelle che insieme hanno percorso durante numerosi anni tutte le tappe del cammino di iniziazione cristiana e solennemente hanno rinnovato in cattedrale, durante una veglia di Pasqua, le promesse battesimali. Kiko, nell’Annuncio d’Avvento del 2008, ha precisato il senso di questa missione: “Il Cammino finisce annunziando il Vangelo per il mondo… Non vanno alcuni fratelli, va tutta la comunità. E’ una grazia grandissima, è una cosa meravigliosa che Dio vi manda in missione, affidandovi una missione concreta. Molti di questi quartieri dove vanno queste comunità sono quartieri pieni d’immigrati, soprattutto di musulmani, cinesi e rumeni. E dopo c’è moltissima gente che è lontana dalla Chiesa, lontanissima, che non viene. … E’ fantastico poter partire, che il Signore ti dia una missione, morire in missione, invecchiare in missione”.
I Seminari Diocesani Missionari “Redemptoris Mater”
Il primo “Redemptoris Mater” è stato aperto a Roma, il 4 novembre 1987, con 72 alunni. Il 14 febbraio 1988, Sua Em. il Card. Ugo Poletti, Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, lo erigeva canonicamente, con un proprio Statuto e Regola di vita.
Sono quattro le note che caratterizzano il Seminario “Redemptoris Mater”, che ne dicono bene anche la sua natura specifica:
1) la diocesanità: sono eretti dai Vescovi diocesani, in accordo con l’Équipe Responsabile internazionale del Cammino, e si reggono secondo le norme vigenti per la formazione e l’incardinazione dei chierici diocesani e secondo statuti propri, in attuazione della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis.
2) La missionarietà: i “Redemptoris Mater" sono finalizzati alla formazione presbiterale di giovani e adulti (OT 4) che si rendono disponibili al Vescovo per essere inviati in missione.
3) La internazionalità: l’essere aperti ad accogliere giovani provenienti da tutto il mondo, come segno della “cattolicità” della chiesa.
4) La partecipazione alla vita della comunità neocatecumenale.
Elementi costitutivi del Cammino
Il primo elemento costitutivo del Cammino è la Parola di Dio, a cui si viene educati poco a poco durante tutta l’iniziazione cristiana e che dà/ridà i “criteri cristiani” per leggere e interpretare gli eventi della storia alla luce della presenza di Dio: ”Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105). L’itinerario neocatecumenale, celebrando settimanalmente la Parola di Dio, porta gradualmente il neocatecumeno a un dialogo esistenziale con Dio.
L’ascolto della Parola è alla base di una liturgia più viva che favorisce quella partecipazione auspicata dal rinnovamento conciliare. Il centro di questa liturgia, “culmine” e “fonte” della vita e della missione della Chiesa, è la celebrazione del mistero pasquale, dell’eucaristia domenicale, all’ingresso del giorno del Signore, il sabato sera. Il Cammino, che avvia nelle parrocchie un processo di iniziazione cristiana, si differenzia per questo essenzialmente da altre realtà ecclesiali e movimenti. La celebrazione dell’eucaristia in piccole comunità si ispira unicamente a criteri inerenti al processo di iniziazione, nel rispetto di quella gradualità che è propria di ogni processo formativo.
Il terzo pilastro è costituito dalla comunione, koinonia, sperimentata e vissuta nella piccola comunità, non su base psicologica o sociologica, ma come dono dello Spirito Santo. Il peccato, lo abbiamo accennato sopra, tagliando la relazione con Dio, chiude l’uomo nel suo “io” e lo pone in una situazione conflittiva con gli altri. Egli sperimenta la sua incapacità di amare, di uscire da sé, per la paura della morte che regna su di lui (cf Eb 2,14-15). Solo Cristo che vince la morte e ci fa dono del Suo Spirito può dare all’uomo la capacità di amare: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
Tutto questo non si dà mediante un processo conoscitivo o di impegno al di dentro di una qualche spiritualità particolare, ma nella dinamica di una crescita, di una “gestazione”, di un cammino appunto, che ripercorre passo passo le tappe del processo neocatecumenale, ispirato a grandi linee al catecumenato antico: una fase kerygmatica e di riscoperta del pre-catecumenato, una fase di riscoperta del catecumenato e dell’elezione. Chi opera in questo processo è lo Spirito Santo mediante il dono della grazia sacramentale che viene fatta “rivivere” dentro di noi.


Qui il testo del discorso del Papa e il video:

Il discorso con le sottolineature di don Andrea Lonardo

«“Andate” è il verbo della missione e ci dice ancora una cosa: che si coniuga al plurale. Il Signore non dice: “vai tu, poi tu, poi tu…”, ma “andate”, insieme! Voi avete nel vostro “DNA” questa vocazione ad annunciare vivendo in famiglia, sull’esempio della santa Famiglia. Tutti chiamate amici e di tutti siate amici». Discorso di papa Francesco per l’incontro con il Cammino Neocatecumenale in occasione del 50° anniversario di fondazione.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono felice di incontrarvi e dire con voi: grazie! Grazie a Dio, e anche a voi, soprattutto a quanti hanno fatto un lungo viaggio per essere qui. Grazie per il “sì” che avete detto, per aver accolto la chiamata del Signore a vivere il Vangelo e ad evangelizzare. E un grande grazie va anche a chi ha iniziato il Cammino neocatecumenale cinquant’anni fa.
Cinquanta è un numero importante nella Scrittura: al cinquantesimo giorno lo Spirito del Risorto discese sugli Apostoli e manifestò al mondo la Chiesa. Prima ancora, Dio aveva benedetto il cinquantesimo anno: «Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo» (Lv 25,11). Un anno santo, nel quale il popolo eletto avrebbe toccato con mano realtà nuove, come la liberazione e il ritorno a casa degli oppressi: «Proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti – aveva detto il Signore –. […] Ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia» (v. 10). Ecco, dopo cinquant’anni di Cammino sarebbe bello che ciascuno di voi dicesse: “Grazie, Signore, perché mi hai davvero liberato; perché nella Chiesa ho trovato la mia famiglia; perché nel tuo Battesimo le cose vecchie sono passate e gusto una vita nuova (cfr 2 Cor 5,17); perché attraverso il Cammino mi hai indicato il sentiero per scoprire il tuo amore tenero di Padre”.
Cari fratelli e sorelle, alla fine canterete il “Te Deum di ringraziamento per l’amore e la fedeltà di Dio”. È molto bello questo: ringraziare Dio per il suo amore e per la sua fedeltà. Spesso lo ringraziamo per i suoi doni, per quello che ci dà, ed è bene farlo. Ma è ancora meglio ringraziarlo per quello che è, perché è il Dio fedele nell’amore. La sua bontà non dipende da noi. Qualsiasi cosa facciamo, Dio continua ad amarci fedelmente. Questa è la fonte della nostra fiducia, la grande consolazione della vita. Allora coraggio, non contristatevi mai! E quando le nubi dei problemi sembrano addensarsi pesantemente sulle vostre giornate, ricordatevi che l’amore fedele di Dio splende sempre, come sole che non tramonta. Fate memoria del suo bene, più forte di ogni male, e il dolce ricordo dell’amore di Dio vi aiuterà in ogni angustia.
Manca ancora un grazie importante: a quanti state per andare in missione. Sento di dirvi qualcosa dal cuore proprio sulla missione, sull’evangelizzazione, che è la priorità della Chiesa oggi. Perché missione è dare voce all’amore fedele di Dio, è annunciare che il Signore ci vuole bene e che non si stancherà mai di me, di te, di noi e di questo nostro mondo, del quale forse noi ci stanchiamo. Missione è donare ciò che abbiamo ricevuto. Missione è compiere il mandato di Gesù che abbiamo ascoltato e su cui vorrei soffermarmi con voi: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19).
Andate. La missione chiede di partire. Ma nella vita è forte la tentazione di restare, di non prendere rischi, di accontentarsi di avere la situazione sotto controllo. È più facile rimanere a casa, circondati da chi ci vuol bene, ma non è la via di Gesù. Egli invia: “Andate”. Non usa mezze misure. Non autorizza trasferte ridotte o viaggi rimborsati, ma dice ai suoi discepoli, a tutti i suoi discepoli una parola sola: “Andate!”. Andate: una chiamata forte che risuona in ogni anfratto della vita cristiana; un invito chiaro a essere sempre in uscita, pellegrini nel mondo alla ricerca del fratello che ancora non conosce la gioia dell’amore di Dio.
Ma come si fa per andare? Bisogna essere agili, non si possono portar dietro tutte le suppellettili di casa. La Bibbia lo insegna: quando Dio liberò il popolo eletto, lo fece andare nel deserto col solo bagaglio della fiducia in Lui. E fattosi uomo, camminò Egli stesso in povertà, senza avere dove posare il capo (cfr Lc 9,58). Lo stesso stile domanda ai suoi. Per andare bisogna essere leggeri.
Per annunciare bisogna rinunciare. Solo una Chiesa che rinuncia al mondo annuncia bene il Signore. Solo una Chiesa svincolata da potere e denaro, libera da trionfalismi e clericalismi testimonia in modo credibile che Cristo libera l’uomo. E chi, per suo amore, impara a rinunciare alle cose che passano, abbraccia questo grande tesoro: la libertà. Non resta più imbrigliato nei propri attaccamenti, che sempre reclamano qualcosa di più ma non danno mai la pace, e sente che il cuore si dilata, senza inquietudini, disponibile per Dio e per i fratelli.
“Andate” è il verbo della missione e ci dice ancora una cosa: che si coniuga al plurale. Il Signore non dice: “vai tu, poi tu, poi tu…”, ma “andate”, insieme! Pienamente missionario non è chi va da solo, ma chi cammina insieme. Camminare insieme è un’arte da imparare sempre, ogni giorno. Bisogna stare attenti, ad esempio, a non dettare il passo agli altri. Occorre piuttosto accompagnare e attendere, ricordando che il cammino dell’altro non è identico al mio. Come nella vita nessuno ha il passo esattamente uguale a un altro, così anche nella fede e nella missione: si va avanti insieme, senza isolarsi e senza imporre il proprio senso di marcia; si va avanti uniti, come Chiesa, coi Pastori, con tutti i fratelli, senza fughe in avanti e senza lamentarsi di chi ha il passo più lento. Siamo pellegrini che, accompagnati dai fratelli, accompagnano altri fratelli, ed è bene farlo personalmente, con cura e rispetto per il cammino di ciascuno e senza forzare la crescita di nessuno, perché la risposta a Dio matura solo nella libertà autentica e sincera.
Gesù risorto dice: «Fate discepoli». Ecco la missione. Non dice: conquistate, occupate, ma “fate discepoli”, cioè condividete con gli altri il dono che avete ricevuto, l’incontro d’amore che vi ha cambiato la vita. È il cuore della missione: testimoniare che Dio ci ama e che con Lui è possibile l’amore vero, quello che porta a donare la vita ovunque, in famiglia, al lavoro, da consacrati e da sposati. Missione è tornare discepoli con i nuovi discepoli di Gesù. È riscoprirsi parte di una Chiesa che è discepola. Certo, la Chiesa è maestra, ma non può essere maestra se prima non è discepola, così come non può esser madre se prima non è figlia. Ecco la nostra Madre: una Chiesa umile, figlia del Padre e discepola del Maestro, felice di essere sorella dell’umanità. E questa dinamica del discepolato – il discepolo che fa discepoli – è totalmente diversa dalla dinamica del proselitismo.
Qui sta la forza dell’annuncio, perché il mondo creda. Non contano gli argomenti che convincono, ma la vita che attrae; non la capacità di imporsi, ma il coraggio di servire. E voi avete nel vostro “DNA” questa vocazione ad annunciare vivendo in famiglia, sull’esempio della santa Famiglia: in umiltà, semplicità e lode. Portate quest’atmosfera familiare in tanti luoghi desolati e privi di affetto. Fatevi riconoscere come gli amici di Gesù. Tutti chiamate amici e di tutti siate amici.
«Andate e fate discepoli tutti i popoli». E quando Gesù dice tutti sembra voler sottolineare che nel suo cuore c’è posto per ogni popolo. Nessuno è escluso. Come i figli per un padre e una madre: anche se sono tanti, grandi e piccini, ciascuno è amato con tutto il cuore. Perché l’amore, donandosi, non diminuisce, aumenta. Ed è sempre speranzoso. Come i genitori, che non vedono prima di tutto i difetti e le mancanze dei figli, ma i figli stessi, e in questa luce accolgono i loro problemi e le loro difficoltà, così fanno i missionari con i popoli amati da Dio. Non mettono in prima fila gli aspetti negativi e le cose da cambiare, ma “vedono col cuore”, con uno sguardo che apprezza, un approccio che rispetta, una fiducia che pazienta. Andate così in missione, pensando di “giocare in casa”. Perché il Signore è di casa presso ciascun popolo e il suo Spirito ha già seminato prima del vostro arrivo. E pensando al nostro Padre, che tanto ama il mondo (cfr Gv 3,16), siate appassionati di umanità, collaboratori della gioia di tutti (cfr 2 Cor 1,24), autorevoli perché prossimi, ascoltabili perché vicini. Amate le culture e le tradizioni dei popoli, senza applicare modelli prestabiliti. Non partite dalle teorie e dagli schemi, ma dalle situazioni concrete: sarà così lo Spirito a plasmare l’annuncio secondo i suoi tempi e i suoi modi. E la Chiesa crescerà a sua immagine: unita nella diversità dei popoli, dei doni e dei carismi.
Cari fratelli e sorelle, il vostro carisma è un grande dono di Dio per la Chiesa del nostro tempo. Ringraziamo il Signore per questi cinquant’anni: un applauso ai cinquant’anni! E guardando alla sua paterna, fraterna, e amorevole fedeltà, non perdete mai la fiducia: Egli vi custodirà, spronandovi al tempo stesso ad andare, come discepoli amati, verso tutti i popoli, con umile semplicità. Vi accompagno e vi incoraggio: andate avanti! E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, che rimango qui!

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