Su Blade Runner 2049: molti cattolici consigliano di vederlo
Lo sguardo rivolto al cielo di Villeneuve
“Oggi è nato per voi un Salvatore”. Anno del Signore 2049, in una regione solitaria un replicante uccide un Nexus ribelle di vecchia generazione. Nei pressi della sua abitazione viene rinvenuta una cassa contenenti resti di un replicante femminile, deceduta trenta anni prima a causa di un parto.
Nel film di Villeneuve riecheggia più volte la frase tratta dal vangelo di Luca. Coniugata alla trama, rivisitata e corretta, si tratta di una citazione come molte altre tratte dalla Scrittura. E’ una modalità piuttosto diffusa con la quale il cinema vuole celebrare un evento quotidiano eppure magnifico: la nascita della vita.Molto positiva è anche la recensione di Avvenire:
Tra qualche decade, ci dicono, la vita continuerà a nascere. E si tratterà ancora di un miracolo. Occorre però crederci ai miracoli, come quelli che faceva Gesù, sempre orientati a recuperare la vita, posizionarla al giusto posto, consacrarla. I replicanti di Blade Runner 2049 sono riusciti a entrare in questa dinamica riproduttiva. Le vicende che il film ci racconta ci introducono in un mondo tanto lontano e distopico quanto reale, proprio perché la nascita di una nuova vita è un evento che colpisce e converte. Non si tratta solo dell’esclusività del parto di un replicante, ma della consapevolezza che la procreazione è un dono di Dio, è partecipazione alla sua opera creatrice.
Ma dov’è Dio nell’inferno raccontato da Villeneuve? Tutto sembra annunciarne la morte. Solitudine, distruzione, scomparsa quasi totale della natura – siamo davvero sicuri che si tratti di un film di fantascienza? – la creatura ora è abbandonata, orfana del suo Creatore. Va aggiunto che questa è un’apocalisse davvero assoluta, i famosi schermi futuristici del primo Blade Runner (1982) ora non invitano semplicemente a dissetarsi della bevanda americana più conosciuta ma svendono donne nude e disponibili con lo slogan “everything you want to see”, le relazioni sono robotizzate, ci si innamora di ologrammi, illusioni che sembrano persone vere e che cambiano aspetto a seconda della promozione acquistata. Blade Runner 2049è il cimitero dell’umano. Ma il rischio è quello di assuefarsi a tale finzione, credere alla menzogna piuttosto che alla verità, illudersi di vivere quando in realtà si tira a campare in un avveniristico baratro. “Non avete mai visto un miracolo”, sono le ultime parole di un replicante al suo carnefice, sottendendo che la vita è il vero miracolo. Il protagonista, l’agente K, un grandioso Ryan Gosling, parte alla ricerca della vita reale, della perla preziosa che è l’umanità, con queste parole che gli riecheggiano dentro. E’ lui stesso un replicante, non sa cosa significhi essere umani, ma se una speranza abita il suo cuore è che quel bambino nato trenta anni prima sia proprio lui. Desidera avere la vita, averla in abbondanza, spera di non essere la copia di nessuno. I prodotti di laboratorio, per quanto siano “più umani degli umani”, non possono sperare di avere il superpotere più imbattibile, cioè la libertà di essere veri, creare relazioni autentiche e fare della propria vita un capolavoro.
“Stiamo tutti cercando qualcosa di reale”, una magra consolazione che viene rivolta a K come incentivo alla sua ricerca, un impulso a non darsi per vinto. Nel primo film di Ridley Scott, un unicorno ha scatenato una valanga di interpretazioni, posizionava il futuro del film in una dimensione di sogno e di irrealtà. Ora invece, nel film di Villeneuve, la presenza di un cavallino di legno – materiale preziosissimo e raro nel 2049 – è invece simbolo del nostro attaccamento alla terra ma con lo sguardo rivolto al cielo (come accade all’agente K nell’ispiratissima scena finale), verso un oltre che grida la sacralità di ogni gesto quotidiano, col cuore rivolto verso Dio, non sempre percepibile, ma che instilla nel cuore di ogni uomo la sete di infinito. Il passaggio alla regia di Villeneuve opera proprio questa conversione al reale, presente in tutto il film, in cui il protagonista appare come un mendicante di senso, un cercatore di umanità. Le domande esistenziali che emergono scena per scena sono il valore più bello di una pellicola che riesce a stare in equilibrio perfetto tra l’onere di un sequel ambizioso e l’onore di aver scritto una sceneggiatura sciolta e creativa.
“Io so cos’è reale”, Deckard – l’unico umano accreditato della pellicola – è il solo a poter pronunciare una frase che appare come una solida boa a cui aggrapparsi in mezzo a un oceano di insicurezze.
Al termine del film si potrebbero tirare le somme su cosa sia veramente umano, o almeno lasciamo la sala con la consapevolezza che l’uomo può ancora sperare di costruire impalcature di bene in un ecosistema di purulenti strutture di peccato. Si tratta della capacità di sacrificio, dell’alterità, di saper costruire relazioni significative con cui modellare le proprie esistenze, della capacità di amare, che svela definitivamente il reale (Deckard sa distinguere la vera Rachael dalla sua copia: “aveva gli occhi verdi”) mentre vivere nella menzogna, come accade al curioso villain Wallace, non permette di vedere la vita con occhi limpidi ma accecati dalla sopraffazione, dal profitto, dall’interesse.
Guarda la video recensione del film a cura di Filmcronache
«Cosa sognano gli androidi?», si domandava quasi cinquant’anni fa Philip K. Dick nel suo celeberrimo romanzo di fantascienza, da cui Blade runner è stato tratto. La risposta arriva da Denis Villeneuve che, trentacinque anni dopo il capolavoro con cui Ridley Scott ha ridisegnato il futuro, si lancia nella sfida del sequel più atteso della storia del cinema, ambientato tre decenni dopo la fuga del poliziotto Deckard con la replicante Rachel. I replicanti sognano di essere umani, proprio come Pinocchio desiderava essere un bambino vero. In Blade runner 2049, dove Los Angeles, cresciuta come un cancro allo stadio terminale, è uno spaventoso agglomerato urbano, e dove San Diego è diventata un’immersa discarica, il giovane ufficiale di polizia K, replicante di ultimissima generazione (Ryan Gosling), dà la caccia ai vecchi modelli Nexus 8. Durante un’operazione di routine però il poliziotto scopre qualcosa che potrebbe cambiare per sempre le relazioni tra gli umani e gli ormai milioni di essere sintetici ridotti in schiavitù. Il suo capo, Joshi (Robin Wright) gli ordina di distruggere tutte le prove, ma K disobbedisce e comincia una pericolosa indagine che finirà per travolgere la sua stessa vita.Infine la recensione di Settimana news:
Non possiamo dire altro sulla trama, per rispetto dell’esplicita richiesta del regista di non rivelare elementi che rovinerebbero il gusto della visione allo spettatore. Possiamo dire però che ha ragione “Variety” quando sostiene che il film deve molto di più al cinema di Andrej Tarkovskij che alla rivoluzionaria visione cyberpunk di Scott. I tempi sono talmente dilatati e in controtendenza rispetto alla velocità del montaggio di oggi da sfidare lo spettatore con scene lunghissime. Ma la ragion d’essere di Blade runner 2049( sceneggiato sempre da Hampton Fancher, questa volta con Michael Green) sta proprio qua. Al 2019, anno in cui è ambientato il Blade runner, mancano solo quindici mesi e la Los Angeles di Scott è ancora futuristica, insuperata da tutti gli altri film di fantascienza che hanno provato a immaginare la vita su una Terra devastata dai cambiamenti climatici.
Villeneuve dunque rinuncia a competere con la topografia dell’originale e conserva la città così come la conosciamo, ma sposta spesso l’azione negli spazi aperti e sovverte alcuni degli elementi del genere noir immergendo i personaggi in una luce ambrata e fluorescente. Come ha già dimostrato con Arrival, in cui raccontava di un’invasione aliena, Villeneuve usa i generi, anche quello fantascientifico, per riflettere sulla condizione umana. E per farlo si prende tutto il tempo di cui ha bisogno. Chi siamo? Qual è il nostro scopo in questa vita? In cosa crediamo e per cosa lottiamo? Il regista insiste su questo aspetto filosofico e introspettivo, moltiplicando le domande esistenziali e adattandole alla nuova complessità del presente in cui il tema dell’identità non può che essere affrontato in maniera meno schematica rispetto a trentacinque anni fa. In altre parole, qui non basta chiedersi «sono un uomo o un replicante? ».
Il bacio tra un l’androide, una donna e un ologramma ad essa sovrapposta danno un’idea delle stratificate relazioni che legano i personaggi. Mentre un misterioso scienziato, Wallace ( Jared Leto), rilancia la tecnologia della fallita Tyrell Corporation e gioca a fare Dio in una realtà dove ogni dimensione trascendente è negata, una scioccante scoperta potrebbe donare ai replicanti il più temibile e rivoluzionario dei poteri e riscrivere le leggi dell’evoluzione umana. Investito dalla consapevolezza di essere parte di un disegno di più grande, K mantiene salda la propria fede – questa sembra essere la parola chiave del film – in un sogno e in quel genere umano al quale vuole disperatamente appartenere.
Sulle note elettroniche di Benjamin Wallfisch e Hans Zimmer, che solo occasionalmente rievocano la colonna sonora originale firmata da Vangelis, Villeneuve disegna con sofisticata eleganza un mondo post-digitale, dove un gigantesco blackout ha cancellato decenni di memoria, dove incerti fantasmi del passato – Frank Sinatra, Elvis Presley, Merilyn Monroe – sono solo una manciata di dati corrotti e dove il più segreto dei piaceri è ancora quello di versare lacrime nella pioggia. Allo spettatore non servirà un “ripasso” del film del 1982, solo la voglia di abbandonarsi con fiducia a una narrazione estranea al genere fantascientifico o d’azione, ma vicina al cinema di un autore che impastando tragico e romantico prosegue la sua ricerca sull’uomo e il suo misterioso cammino.
Fin dall’uscita del suo misterioso announcement trailer, pubblicato il 19 dicembre scorso, Blade Runner 2049 – sequel dell’iconico Blade Runner (1982) di Ridley Scott, ispirato al romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) – aveva destato enorme perplessità.Blade Runner è stato uno dei film più importanti del cinema di fantascienza e con la sua visione retro-futurista ha condizionato tutto il cinema di genere a lui successivo. Tuttavia Blade Runner 2049 vede alla regia uno dei più interessanti cineasti in circolazione, Denis Villeneuve, il cui approccio alla fantascienza, intimista e poco incline all’effetto speciale, avevamo potuto ammirare nel notevole Arrival (2016).La scelta di Villeneuve lasciava sperare in un sequel capace di mantenere almeno una certa continuità estetica e filosofica con la pellicola originale. E in effetti Blade Runner 2049, dal 5 ottobre scorso al cinema, non è certo un film necessario ma è senza alcun dubbio il miglior sequel possibile, caratterizzato in profondità dalla visione personale di Villeneuve.Replicanti
Nel mondo del primo Blade Runner seguivamo le avventure di un gruppo di replicanti in fuga nella piovosa Los Angeles del 2019. I replicanti sono androidi bioingegnerizzati, perfettamente simili a l’uomo, di cui migliorano alcune caratteristiche meccaniche, come la forza. Sono progettati per essere sfruttati come schiavi nella colonizzazione di altri pianeti. In alcuni casi però essi possono sviluppare comportamenti e sentimenti propri e ribellarsi all’uomo.Essendo indistinguibili dagli esseri umani, almeno in apparenza, è stata creata una sezione speciale della polizia capace di riconoscerli e ritirarli, i blade runners. Tra questi, nella pellicola del 1982, troviamo Rick Deckart (Harrison Ford), ingaggiato per scovare e uccidere il gruppo di replicanti ribelli guidati dal carismatico Roy Batty (Rutger Hauer).Lo scopo di quest’ultimo però non è semplicemente quello di liberarsi dalla schiavitù umana, quanto piuttosto quello di incontrare il suo creatore Eldon Tyrell, capo dell’azienda omonima che si occupa di creare replicanti sempre più perfetti. Roy teme infatti la morte e vuole «avere più vita» dal suo creatore, in quanto i replicanti hanno una longevità piuttosto breve.Novità
In Blade Runner 2049 le cose sono cambiate in peggio rispetto al 2019: la pioggia perenne ha ceduto il posto a repentine tempeste di neve e il livello del mare si è alzato, tanto che Los Angeles è circondata da un’enorme diga. Inoltre nel 2020, come scopriamo in uno dei tre cortometraggi apparsi sul web per narrare alcuni eventi accaduti nei trent’anni che separano le due pellicole, un enorme black-out ha causato la perdita di tutti i dati digitali, rendendo ancor più difficile l’identificazione di quei replicanti che ancora vivono in clandestinità.Protagonista del sequel diretto da Villeneuve è l’Agente K (Ryan Gosling), un replicante di ultima generazione che dà la caccia ai vecchi replicanti ribelli, i Nexus-8 (una citazione del protagonista dei romanzi Il processo e Il castello di F. Kafka, l’agrimensore K.). Durante un’indagine K farà una scoperta le cui conseguenze potrebbero abbattere definitivamente il muro che separa gli uomini dai replicanti e che innesca contemporaneamente un profondo cambiamento nello stesso K. Egli inizierà infatti a dubitare della sua stessa natura, cosa che lo porterà a ritrovare Rick Deckart, svanito nel nulla trent’anni prima senza lasciare traccia.Al di là dei molti sviluppi della storia il film ci mostra soprattutto l’evoluzione di K nel momento in cui le sue indagini lo portano a pensare che lui stesso non sia stato creato ma piuttosto generato, frutto dell’unione di un uomo e una donna replicanti. I replicanti non possono però riprodursi e questa eventualità costituirebbe un vero e proprio miracolo. Così K si interroga, da una parte sulle conseguenze della sua possibile natura messianica, dall’altra sugli effetti immediati del suo essere stato concepito e nato, e cioè la possibilità di possedere un anima.Creatore-creatura
In questo senso il sequel riprende il tema centrale del film di Scott – il rapporto tra creatore e creatura – approfondendone però le implicazioni teologiche. Villeneuve sembra chiedersi, infatti, su quale piano può esistere un’analogia tra il creare umano e il creare divino. Centrale in questo senso è la figura dell’inquietante Neither Wallance (Jared Leto), il nuovo creatore di replicanti che ha sostituito Tyrell: Wallance è presentato come un demiurgo frustrato perché incapace di essere come Dio, cioè realmente datore di vita.Creatore di replicanti sempre più perfetti, che lui chiama «angeli», Wallance non riesce però a dotare le sue creature del dono più prezioso: la procreazione. Sotto questo aspetto Villeneuve sembra accostare analogicamente la procreazione umana alla creazione ex-nihilo da parte di Dio. Un figlio, infatti, rappresenta un evento assolutamente nuovo per il mondo e per la storia; da qui la valenza messianica implicita in ogni nuova nascita.Complesso e ricco di riferimenti che spaziano tra la storia del cinema di genere e la letteratura[1], Blade Runner 2049,attraverso la vicenda drammatica di K, ipotizza quale sia la qualità fondamentale che ci definisce come uomini: non la coscienza, non l’amore e nemmeno la compassione, ma l’essere figli.[1] Villeneuve si rifà all’opera di A. Tarkovsky e A. Sokurov dal punto di vista cinematografico mentre traduce visivamente vere e proprie scene tratte da Fuoco Pallido di V. Nabokov. Libro che ci viene mostrato anche nell’appartamento di K.