Il discernimento e l’accompagnamento e le Conclusioni del mio libro "Al centro l'amore. La vita sessuale tra chiesa e società"
Trentacinquesima (e ultima) puntata delle mie riflessioni sulla "vita sessuale tra Chiesa e società"
Il discernimento e l’accompagnamento
Un altro elemento fondamentale per la morale sessuale è il
discernimento che la chiesa è chiamata a fare (e ad offrire) di fronte alle situazioni
concrete: “Sappiano i pastori – ammonisce Giovanni Paolo II - che, per amore della verità, sono
obbligati a ben discernere le situazioni”[1]. E
questo in quanto il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e
possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione.
Mentre va
espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono
conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere
attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro
condizione[2].
Papa Francesco, citando una sua omelia, ricorda come
due logiche percorrono
tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. La strada della
Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia
e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare
eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che
la chiedono con cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata,
incondizionata e gratuita!»[3].
Ci
ricorda inoltre che “siamo chiamati a formare le coscienze e non a pretendere
di sostituirle”[4].
Con espressioni che sono già entrate nella memoria collettiva il papa ci
ricorda che a volte “ci comportiamo come controllori della grazia e non come
facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto
per ciascuno con la sua vita faticosa”[5].
Naturalmente bisogna
incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata
dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre
maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che
una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo;
può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la
risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza
morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla
complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale
oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve
restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che
permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno[6].
Tutti,
infine, possono e devono “percorrere la via caritatis” e, attraverso la carità
fraterna che è la prima legge dei cristiani, arrivare a coprire una moltitudine
di peccati[7].
Perché il Signore, alla fine dei tempi,
non ci chiederà conto dei nostri peccati, ma del nostro amore: chiederà se abbiamo
aiutato il bisognoso, se abbiamo condiviso il pane con l’affamato. “Al tramonto
della vita saremo giudicati sull’amore” (Giovanni della Croce).
[3] Papa Francesco, Omelia
durante l’Eucaristia celebrata con i nuovi cardinali, 15.02.2015.
[4] Id. n.37: Prosegue: “Stentiamo anche a dare spazio
alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile
al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale
discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi”.
[5] Papa Francesco, Evangelii
gaudium, 47.
[6] Papa Francesco, Amoris
laetitia, n.303
[7] Cfr. Papa Francesco, Amoris laetitia, n.306
Conclusioni
La Chiesa è intransigente sui
principi, perché crede, è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici
della Chiesa sono invece tolleranti sui principi, perché non credono, ma
intransigenti nella pratica, perché non amano. La Chiesa assolve i
peccatori, i nemici della Chiesa assolvono i peccati[1].
E’
un’affermazione perentoria che ha del suo fascino, ma evidenzia anche il muro
che si è sempre più innalzato tra la Chiesa e il mondo occidentale: si parla di
nemici e si dimentica che il Cristo, come ci ricorda Paolo, è venuto proprio
per “rompere il muro che era frammezzo” (dove?), a renderci sacerdoti, cioè
mediatori tra Dio e l’umanità, a collaborare con Lui per realizzare quel Regno
di fraternità e di pace dove possiamo finalmente vivere quell’armonia
originaria che sogna per noi.
I
cristiani sono chiamati ad offrire un mondo alternativo, a mostrare con il loro
esempio che è possibile vivere in maniera diversa, migliore. Non si limitano a
denunciare il male, ma rispondono al male con il bene possibile, un bene che
passa attraverso le scelte concrete che compiono, attraverso la testimonianza
di una vita altra e coerente con le idee professate.
Proprio
nell’ambito della morale sessuale sono chiamati a mostrare questa differenza:
vedi la lettera a Diogneto e quanto scrive Enzo Bianchi sullo specifico cristiano.
I
cristiani mostrano un ideale affascinante e invitano a non svilire le cose più
preziose che ci caratterizzano come esseri umani: invitiamo ad essere più
umani, non a condannare e angelicizzare.
La
Chiesa è interrogata dalla novità della vita, chiamata a proseguire il suo
cammino senza tradire la sua missione di vita e di verità, ma anche a dare
risposte nuove a domande nuove. Rischiamo, come Chiesa, di rimanere fuori dal
tempo, incompresa, ma anche incomprensibile. I cambiamenti della società chiedono
alla Chiesa di reinterpretarsi.
Lo
aveva capito bene Giovanni XXIII: nel discorso di apertura del Concilio
Vaticano II (“Gaudet madre ecclesia”) cerca di spiegarne lo scopo: non
custodire il tesoro della dottrina, come se ci preoccupassimo solo dell’antichità,
ma presentare questa dottrina immutabile in modo nuovo, in modo che sia
comprensibile e “utile” per la mutata società.
L’uomo
e la donna di oggi desidera amare più di ogni altra cosa, ma ha paura più che
mai di riuscirci. Allora devia il suo desiderio su qualcosa di più sicuro, più
a portata di mano: si accontenta di briciole di piacere, di attimi di estasi.
Si mette sul mercato e, con il valore che sente di avere, acquista ciò che gli
è gradito, e gode di quel piacere di possedere, di acquistare. Un godimento,
anch’esso, che passa velocemente (come quando acquistiamo qualcosa che avevamo
voluto e atteso intensamente).
Abbiamo
sempre più possibilità per procurarci il piacere, ma sembra mancarci sempre più
la gioia.
E’ il paradosso
del’iperedonismo del nostro tempo: la pulsione appare dotata di una
potenzialità infinita, si afferma come finalmente libera, svincolata dai limiti
della Legge, ma questa libertà non è in grado di generare alcuna soddisfazione.
E’ una libertà vuota, triste, infelice, apaticamente frivola[2].
La
Chiesa ha un messaggio prezioso da offrire al mondo: l’amore è ancora
possibile, è possibile amarsi per sempre. Non perdete la speranza di costruire
relazioni che non muoiono nel giro di poco tempo: ciò che costruiamo sulla
roccia, su un fondamento solido, resiste agli assalti delle intemperie.
Non
abbiate paura di vivere secondo regole che non limitano la vostra libertà, ma
come un argine, evitano che la forza dirompente dell’amore non fuoriesca e
perda energia depositandosi con effetti disastrosi su terreni esterni.
Incanalate questa forza perché vi conduca verso il porto sospirato, verso la
meta di una vita autentica e felice.
Non
dimentichiamoci della nostra fragilità e tantomeno di quella dei nostri figli,
che hanno bisogno di regole, ma soprattutto di testimonianze credibili di chi
possa mostrarci che tutto questo è vero e ne vale la pena.
Attenzione
allora a non ancorarci a principi che schiacciano: siamo portatori di una
Parola che libera, di un Dio che ha vinto la morte, che ci apre orizzonti di
vita autentica.