La crisi della famiglia



Venticinquesima puntata delle mie riflessioni sulla "vita sessuale tra Chiesa e società"

“La famiglia – ci ricorda papa Francesco - non è mai problema, ma opportunità, benedizione. E’ scuola di umanità che dobbiamo curare, proteggere, accompagnare”[1]. E dobbiamo farlo non solo perché è una realtà preziosa, ma perché fragile, contrastata dalla cultura in cui viviamo, contraddetta dalla prassi di tante famiglie ferite e in crisi. “Come possiamo pretendere che i giovani vivano la sfida del matrimonio come un dono, se continuamente sentono dire da noi che è un peso?”[2].
Le difficoltà dell’istituto familiare sono evidenti ed evidenziate dalle statistiche che, nei paesi occidentali, parlano di inesorabile calo dei matrimoni[3] e di aumento sostanzioso dei divorzi (con la lieve consolazione che i matrimoni celebrati  in Chiesa tendono a durare di più). Si innalza inoltre l’età media di chi si sposa con ovvio ritardo nel generare il primo, e spesso unico, figlio e conseguente calo della natalità. Secondo il rapporto Censis del 2016 significativamente titolato “Non mi sposo più”, il calo delle nozze religiose in Italia è tale da far prevedere la loro scomparsa per il 2031!
Parlando ai rappresentanti del movimento di Schoenstatt, papa Francesco ha detto: “C’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti” e la “imbastardiscono” riducendola ad una semplice forma di associazione. Parlando delle convivenze ha detto: “le convivenze sono nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio”[4].
In occidente è già divenuta maggioritaria la tendenza a convivere e spesso per lunghi periodi, forse per tutta la vita e con partner che, a volte, cambiano rapidamente: “E’ preoccupante – scrivono i vescovi del Sinodo sulla famiglia - che molti giovani oggi non abbiano fiducia nel matrimonio e convivano rinviando indefinitamente l’impegno coniugale, mentre altri pongono fine all’impegno assunto e immediatamente ne instaurano uno nuovo”[5]. La scelta di rimandare o rifiutare il matrimonio sacramentale “spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti”[6] quali la precarietà lavorativa e l’elevato costo da sostenere per celebrare un matrimonio secondo le aspettative comuni: anche questo è un problema da non sottovalutare.
La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia[7].
Eppure quando parliamo della crisi o addirittura della morte della famiglia, non possiamo dimenticare che il desiderio di famiglia resta vivo nelle giovani generazioni che hanno paura di impegnarsi in relazioni definitive, ma continuano a desiderarle.
Ciò che oggi appare un ostacolo è la crisi di fede-fiducia nella possibilità di una relazione salda nella fedeltà, nell’autenticità dei sentimenti e dell’alleanza nuziale. Il matrimonio è una “storia” d’amore che richiede fede-fiducia, per questo i due partner all’inizio si chiamano “fidanzati”, cioè persone che mettono fede-fiducia nell’altro in vista dell’alleanza, e il segno del legame nuziale, l’anello, si chiama “fede”. Oggi il cammino matrimoniale è minacciato da una mancanza di questa fede-fiducia nell’amore, nella vita, nel futuro[8].
Il giornalista e scrittore Claudio Magris ricorda come Pasolini, durante la campagna referendaria per il divorzio (siamo nel 1974), si era espresso a favore di esso, ma con un importante distinguo:
Pasolini, (…) diceva che il voto per il divorzio era un voto giusto — anche lui aveva votato a favore del divorzio — che tuttavia molti avevano dato per ragioni sbagliate. La maggioranza aveva votato come lui, ma egli non poteva riconoscersi in essa, perché lui aveva votato per il divorzio quale rimedio a situazioni dolorose e bloccate, quale possibilità di ricomporre esistenze inceppate. Rimedio ovvero eccezione che non negava i valori e sentimenti della famiglia né la funzione formatrice della sua unità. Quella maggioranza che aveva votato come lui gli riusciva odiosa, espressione di un relativismo nichilista che riduce tutto, anche sentimenti e valori, a merce di scambio e tende sempre più a dissolvere ogni unità forte di vita e di pensiero[9].
Sul divorzio e sulle nuove unioni tra divorziati
La Chiesa ha sempre previsto che, nel matrimonio, possano subentrare difficoltà tali da giustificare e consigliare una separazione temporanea dei coniugi[10], ma non ha mai accettato la possibilità di un divorzio e di un nuovo matrimonio: il patto nuziale è per sempre, “finché morte non ci separi” e il sacramento non può essere cancellato, casomai può essere riconosciuto “nullo”, cioè mai veramente celebrato perché mancavano le condizioni di libertà e consapevolezza che sono essenziali per la validità del sacramento. “Nonostante la Chiesa ritenga che ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli”[11]. Ci sono casi in cui
La fallibilità di uomini e donne, pur uniti nel sacramento del matrimonio, può giungere sino a costringerli a fare i conti con il fallimento definitivo della loro convivenza coniugale, la cui felice riuscita essi avevano pur desiderato e nella cui durata “per sempre” essi avevano creduto e si erano impegnati. Il crollo definitivo della speranza di riuscita della vita matrimoniale, anche qualora non sia dovuto a mancanze proprie, provoca a livello personale un senso di colpa per il mancato adempimento della promessa d’amore data e ricevuta, e suscita a livello sociale, soprattutto ecclesiale, un senso di esclusione e di proscrizione per aver deluso le aspettative della comunità di appartenenza. A fronte di questo doloroso vissuto, la chiesa è sollecitata ad annunciare che il fallimento, lungi dall’essere alieno all’esperienza cristiana, è un’esperienza decisiva della fede, nella quale uomini e donne sperimentano, come non altrimenti, la misericordia sconfinata di Dio che riapre, inaspettatamente, un nuovo orizzonte di vita[12].
E’ dunque corretto e “misericordioso” escludere i divorziati risposati dai sacramenti? E’ giusto chiedere a chi ha fallito di rinunciare ad una nuova unione, ad un nuovo tentativo? O che questa unione sia vissuta senza intimità sessuale, vivendo come fratello e sorella?
In verità il papa ricorda che la Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione”[13]. In nota pone una motivazione importante e controversa:
In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”[14].
E’ la prima timida apertura presente nel testo: ci sono casi in cui, per il bene primario dei figli, è forse lecito vivere una intimità “coniugale” per “salvare il salvabile”: la fedeltà del coniuge e quindi la stabilità della nuova relazione. Il papa chiede poi di fare un discernimento su ”quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”[15]. Ma – precisa -
Integrare nella Chiesa non significa “fare la comunione”; perché io conosco cattolici risposati che vanno in Chiesa una volta l’anno, due volte: “Ma, io voglio fare la comunione!”, come se la comunione fosse un’onorificenza. E’ un lavoro di integrazione… tutte le porte sono aperte. Ma non si può dire: da ora in poi “possono fare la comunione”. Questo sarebbe una ferita anche ai coniugi, alla coppia, perché non farà compiere loro quella strada di integrazione[16].
Quello che il papa propone è dunque un cammino senza porte chiuse, fatto di accompagnamento, discernimento e integrazione: i divorziati risposati non sono esclusi dalla Chiesa, ma invitati a fare questo percorso, a lasciarsi accompagnare e aiutare, con umiltà e verità, a discernere la loro situazione. Non è irrilevante anche il fatto che, a coloro che fallivano il loro matrimonio, la Chiesa degli inizi proponeva un cammino penitenziale, normalmente di tre anni, al termine del quale venivano riammessi completamente nella comunione ecclesiale, come fa ancora la chiesa ortodossa[17].
Fra le proposte per superare la “chiusura” ecclesiale nei confronti dei divorziati risposati, vale la pena segnalare quella dei coniugi Ruster che suggeriscono di considerare l’idea di matrimoni non sacramentali e tuttavia validi, superando così l’esclusione dai sacramenti: “basterebbe” rimuovere “l’automatismo finora vigente del diritto canonico secondo cui il consenso fa il matrimonio e ogni matrimonio fra battezzati è necessariamente sacramento”[18]. Fumagalli anticipa quanto indicato dal papa nell’Amoris laetitia: ipotizza la riammissione ai sacramenti a seguito di un “dialogo pastorale quale luogo di discernimento autenticamente ecclesiale, ove, cioè, i dettami della coscienza personale vengono sottoposti al vaglio e alla conferma della chiesa”[19]. Si potrebbe così riconoscere la serietà del cammino di riconciliazione intrapreso, offrendo alla Chiesa il modo di apprezzare la sincerità di chi chiede al Signore il perdono per il legame infranto e la grazia di un nuovo inizio. Infine Grillo si chiede se la categoria di “indissolubilità” del matrimonio nella sua attuale concezione giuridico-ontologica non possa essere rielaborata secondo categorie più aderenti al vissuto attuale e parlare non solo della possibile morte di un coniuge – evento che pone fine all’unione sacramentale – ma anche della “morte morale” del vincolo in situazioni divenute irreversibili[20].


[1] Papa Francesco, Discorso all’incontro con le famiglie nella Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione a Santiago, Cuba, 22 settembre 2015.
[2] Papa Francesco, Discorso al Convegno diocesano di Roma, 16 giugno 2016. Solo la testimonianza dei nostri genitori, vedere che è stato possibile lottare per qualcosa che valeva la pena, li aiuterà ad alzare lo sguardo”. 
[3] Secondo i dati Istat 2014/2015, le famiglie “tradizionali” sono 1 su 3 (il 32,9%).
[4] Papa Francesco, dalle risposte ad alcune domande poste dai rappresentanti del movimento, 25 ottobre 2014: http://it.radiovaticana.va/news/2014/10/25/ papa_a_schoenstatt_famiglia_mai_attaccata_come_oggi/1109449
[5] Papa Francesco, Amoris laetitia, n.293
[6] Relatio Synodi 2015, n.71
[7] Papa Francesco, Evangelii gaudium, n.66.
[9] C. Magris, Il bambino non è un oggetto, ma un soggetto di diritti, in Corriere della Sera, 16 marzo 2016.
[10]ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza”. (Papa Francesco, Catechesi del 24 giugno 2015) Comunque “deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano”. (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 83). Le citazioni sono in Papa Francesco, Amoris laetitia, 241.
[11] Papa Francesco, Amoris laetitia, 291.
[12] A. Fumagalli, Il tesoro e la creta, p.109
[13] Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.84.
[14] Papa Francesco, Amoris laetitia, nota n.329. Con scaltrezza il papa cita la Gaudium et spes, n.51 (tra virgolette) applicando anche per i divorziati risposati una riflessione rivolta agli sposi “regolari”.
[15] Id., 299
[16] Conferenza stampa durante il viaggio di ritorno dal Messico, 17 febbraio 2016.
[17] La chiesa ortodossa “tollera” un nuovo matrimonio che viene celebrato in uno stile penitenziale e ammette così i nuovi coniugi alla comunione ecclesiale.
[18] H. e T. Ruster, Finché morte non vi separi? L’indissolubilità del matrimonio e i divorziati risposati. Una proposta, LDC 2014, p.181.
[19] A. Fumagalli, Il tesoro e la creta. La sfida sul matrimonio dei cristiani, Queriniana 2014.
[20] A. Grillo, Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella, 2014.

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