IL COMANDAMENTO DELL’AMORE


Un estratto dal mio libro, "Il Vangelo dell'amore" pubblicato nel 2015, per prepararci al Vangelo di domenica (Matteo 22,34-40: "Qual'è il grande comandamento?).

IL PRIMO DEI COMANDAMENTI
(Mc 12,28-34; Lc 10,25-28; Mt 22,34-40)
L’episodio è noto ed è riportato dai sinottici in maniera simile: un dottore della legge (o “uno degli scribi”, secondo Marco), esperto della Scrittura, “per mettere alla prova” Gesù, gli pone uno dei quesiti allora in voga: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”.
Nelle Scritture si calcolavano 613 precetti a cui il pio israelita era tenuto ad osservare: 365 proibizioni, una per ogni giorno dell’anno, a cui si associavano i precetti che prescrivevano cose da fare. Era normale, di fronte a questo ginepraio di obblighi e divieti, cercare una gerarchia, il precetto più grande. Cosa vuole, in modo speciale, Dio da noi? Che desiderio ha su di noi e per noi? L’amore! Gesù non ha dubbi: “Tu amerai Dio e il prossimo!”. Prima ancora della modalità di tale amore (“con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” per Dio e “come te stesso” per il prossimo) a Gesù interessa porre il centro, il cuore di tutta la Scrittura costituita da Legge e Profeti.
Amerai” dice Gesù: usa l’indicativo futuro, una forma verbale che si usa per indicare eventi futuri situati a notevole distanza di tempo nell’avvenire. Amerai allora non è solo un comando, ma è soprattutto la meta, l’ideale sempre lontano dalla concretezza della nostra vita quotidiana, ma posto davanti a noi come un faro, come la stella polare, per indicare il cammino da compiere.
Ermes Ronchi lo mette bene in evidenza scrivendo:
Amerai, dice Gesù: un verbo al futuro, non all'imperativo, perché si tratta di una azione mai conclusa. Non un obbligo, ma una necessità per vivere, come respirare. Cosa devo fare domani per essere vivo? Tu amerai. Cosa farò l'anno che verrà, e poi dopo? Tu amerai. E l'umanità, il suo destino, la sua storia? Solo questo: l'uomo amerà. (…) Qui gettiamo uno sguardo sulla fede ultima di Gesù: lui crede nell'amore come nella cosa più grande. Come lui, i cristiani sono quelli che credono non a una serie di nozioni, verità, dottrine, comandamenti, ma quelli che credono all'amore come forza determinante della storia[1].
Amare, dice Gesù, è il comando, il bisogno, la meta comune a tutta l’umanità. Dio che ha creato ogni cosa vi ha impresso il suo timbro d’origine (e di fine/finalità): Dio è Amore e ogni realtà vive per amore e per amare. Tutto ciò che muove l’uomo e lo caratterizza in quanto uomo è l’amore. La sintesi di tutto ciò che Gesù ha comunicato e ha fatto, la sintesi di tutto il Vangelo è costituita dalla realtà dell’amore. Da questa realtà, dice Gesù, “dipende tutta la legge e i profeti”, cioè tutta la Scrittura. Il Nuovo Testamento viene ad illuminare proprio questa realtà e la vita di Gesù viene a rivelare questa origine e questo fine (dell’uomo e del cosmo intero), la strada da percorrere per giungere a tale orizzonte di vita eterna, gli strumenti per superare le fragilità e le per-versioni  - cioè i sentieri diversi che rischiamo di prendere – i blocchi e le paure.
Tutti i comandamenti, in qualsiasi ordine considerati, vanno sempre osservati e praticati tenendo come prospettiva fondamentale quella dell’amore. (…) Cristo non propone ai suoi fedeli una legge composta da tanti commi, propone invece un atteggiamento fondamentale, radicale, totale, assoluto di donazione, che è quello dell’amore[2].
Il Vangelo è la buona notizia di un Dio che ci ama immensamente, che ci vuole bene, che vuole il nostro bene. E questo unico e vero bene è l’amore – da ricevere e da donare – ed è espresso da quel bisogno fondamentale, universale, innato e profondo, di amare e di essere amati. La buona notizia è che, amati da Dio, anche per noi, nonostante le mille paure e contraddizioni, amare è possibile. “E noi abbiamo creduto all’amore” (1 Gv 4,16), abbiamo scoperto l’amore, stiamo imparando ad amare: è questa la divina avventura che deve essere al cuore dell’uomo, per cui spendere tutte le nostre energie.
Gesù riprende dalla Scrittura il duplice comando dell’amore: un amore a Dio totale (con tutta la tua vita: cuore, anima, mente e forza) e un amore al prossimo relativo: ama il prossimo come ami te. Ne conseguiva però che ogni qualvolta ci si trovava in conflitto tra l’amore per Dio e l’amore per l’uomo, l’amore per Dio (assoluto) venisse prima del bene dell'uomo (relativo): si doveva rispettare la legge di Dio anche a discapito dell’uomo che potrebbe soffrirne (vedi le polemiche sul sabato). Gesù è venuto per correggere questa deformazione: Dio ci ama e vuole il nostro bene, non il nostro sacrificio o la nostra sofferenza, tanto meno il sacrificio fatto fare – nel nome di Dio! – agli altri, la sofferenza imposta agli altri. Con il comandamento “nuovo” Gesù ci inviterà ad accogliere l’amore di Dio per amarci reciprocamente. Ci chiederà di fare come ha fatto lui: lasciarci amare da Dio per amare ogni persona.
Fa questo e vivrai” (Lc 10,28), risponde Gesù al dottore della Legge che gli aveva chiesto cosa fare per ereditare la vita eterna.
Se amerai il Signore e il prossimo, percorrerai il cammino della vita, vivrai in pienezza, cioè darai alla tua esistenza la dimensione dell’eternità, di un’esistenza non contraddetta né vinta dalla morte. Gesù non fa balenare a quest’uomo un premio, un’altra vita, una ricompensa per un merito acquisito qui sulla terra, ma dice semplicemente: “Se amerai, vivrai”. É straordinario questo vivere in pienezza a portata di mano pure per noi, anche se non facile e né a basso prezzo: “Se amerai, vivrai già ora della vita vera, in pienezza”. Eppure ci preoccupiamo dell’aldilà, della vita eterna, e non pensiamo che innanzitutto dovremmo domandare se la vita che facciamo, qui e ora, è conforme alla vita eterna[3].

Con tutto…
“Al cuor non si comanda” recita un detto popolare.  Del resto è possibile obbligare qualcuno ad amare? Se per amore si intende solo il sentimento spontaneo, c’è poco da comandare. Ma l’amore non coinvolge solo i sentimenti: l’amore è la realtà prima dell’uomo che ci coinvolge in maniera completa, dunque anche la ragione e la volontà. Del resto ogni amore umano se si regge solo sui sentimenti (come spesso avviene) è un amore effimero (“liquido” dicono i sociologi), che oggi c’è e domani chissà. Ma se io non solo sento di amare una persona, ma ho motivi validi per amarla e dunque voglio amarla, costruisco un rapporto che, se c’è reciprocità, diventa solido e profondo, che dura nel tempo senza lasciarsi usurare.
Ma si può veramente amare Dio con tutto il cuore, l’anima e la mente? Il rischio opposto è quello di amare Dio a parole o di amarlo in maniera superficiale e tiepida o soprattutto di amarlo in maniera parziale:
-          con i soli sentimenti (di un amore solo sentimentale ed emotivo) e così amarlo solo quando lo sento presente e me la sento, quando ne ho voglia o ne sento il bisogno;
-          con la sola ragione (di un amore cerebrale) e così amarlo in maniera distaccata, asettica, come i teologi che rischiano di amare più il sapere (su Dio), la conoscenza (di Dio) che Dio stesso;
-          con la sola volontà (di un amore imposto) e così imporsi di amarlo, come una catena che ci lega o un peso che ci opprime.
Una bella sintesi di tutto ciò ce la offre Enzo Bianchi:
Amerai il Signore” (Dt 6,5), un futuro che ha la forza di un imperativo e, nel contempo, indica un cammino da compiersi, una dinamica e non semplicemente un comando. “Tu amerai” diventa dunque un compito, una strada da percorrere, accrescendo la conoscenza di Dio attraverso il suo ascolto assiduo. Come “camminando si apre il cammino”, così “amando si ama”.
Si potrebbe parafrasare: “Tu amerai sempre di più perché, rinnovando costantemente l’ascolto di Dio, lo conoscerai in modo sempre più vero e profondo, e così nascerà in te l’amore per lui”. Allora lo amerai “con tutto il tuo cuore”, cioè con la volontà, l’intelligenza e i sentimenti; “con tutta la tua anima” o “vita”, cioè con la tua intera vitalità, con la tua esperienza; “con tutta la tua forza”, cioè con tutte le energie o anche tutte le sostanze, i beni, come interpreta una parte della tradizione rabbinica. L’essere, il fare e l’avere devono esprimere l’amore per Dio. Colpisce che il comandamento insista sulla totalità del cuore, della vita, della forza, sull’interezza e l’unificazione di tutta la persona che ama. Si comprenda però con intelligenza: l’amore che Dio vuole è un amore intero, totale, ma non totalitario, come pretendono certi che si dicono “spirituali”. No, l’amore di Dio non è totalitario, cioè non esclude altri amori! Noi abbiamo la possibilità di amare Dio e contemporaneamente di amare un uomo, una donna, un amico, una amica, senza che l’amore di Dio patisca concorrenza. Non è vero che “solo Dio basta”, perché per essere persone autentiche abbiamo bisogno di amare anche altri, sapendo però che l’amore per Dio è totale, intero, e che gli altri nostri amori non devono essere preferiti a quello che abbiamo per lui. “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37), ha detto Gesù, ma non ha detto che, se si ama Dio, si deve amare solo lui: Dio non vuole un amore totalitario, ma autentico, vissuto dalla persona nella sua interezza e unità[4].




[1] E. Ronchi, Amare con tutti noi stessi è necessario a vivere, in Avvenire, 23.10.14
[2] G. Ravasi, Teologia dell’amore, p.102
[3] E. Bianchi, Raccontare l’amore, p.28
[4] E. Bianchi, Raccontare l’amore, p.25

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