SULLA FAMIGLIA E SUL MATRIMONIO (III parte: le unioni omosessuali)
Ventitreesima puntata delle mie riflessioni sulla "vita sessuale tra Chiesa e società"
Un
discorso innanzitutto sociale
Nonostante le molteplici tipologie
esistenti, in occidente si è presto imposta la famiglia tradizionale unita in
matrimonio (civile o religioso), ovvero unita pubblicamente secondo norme
stabilite dallo Stato e/o dalla religione di appartenenza. La maggior parte di
culture nella storia e nelle varie parti del mondo adotta il modello monogamico
eterosessuale, tanto da poterne parlare come di un dato “naturale”. Secondo il
celebre antropologo Claude Lévi-Strauss "la famiglia, costituita
dall'unione più o meno durevole […] di un uomo, una donna e i loro figli"
è un "fenomeno universale, presente in ogni luogo e qualsiasi tipo di
società"[1].
Lo Stato è chiamato a difendere, sostenere,
ma anche definire e indicare diritti e doveri della famiglia unita in
matrimonio. Riconosce in essa una preziosa alleata in vista del bene comune: la
difesa, assistenza, educazione dei soggetti più deboli, ovvero i figli e i
genitori anziani. Riconosce per il minore che la presenza di un padre e di una
madre è la condizione migliore per crescere un figlio. Lo Stato è chiamato a
regolare le unioni di fatto come quelle tra omosessuali o tra conviventi, ma
non è tenuto a riconoscervi uguaglianza rispetto all’unione stabile e pubblica
di un uomo e di una donna.
Una
parentesi sulle unioni omosessuali
“Ma
se si amano – obiettano molti - perché due omosessuali non possono sposarsi?”. Perché ci sia una famiglia non è sufficiente che ci sia
affetto e coabitazione tra i due soggetti, ma che questo affetto diventi un
patto legato a reciproci e precisi impegni. Il matrimonio è un istituto giuridico: il fatto
che ci sia amore tra i soggetti è un fatto privato e intimo che non può
interessare lo Stato, il quale, fra l’altro, non è in grado di stabilirne
l’autenticità.
La Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, del 1948, afferma che “la famiglia è il nucleo naturale
fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo
Stato” (art. 16). Sulla stessa scia, la nostra Costituzione “riconosce i diritti
della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (art.29)[2].
Per la Costituzione non può
esistere famiglia se questa non è fondata sul matrimonio tra un uomo e una
donna, da cui derivano diritti e doveri reciproci, nei confronti dei figli e per il bene della società[3]. A chi fa notare che
la Costituzione non parli esplicitamente di unione tra un uomo e una donna e
dunque rimanga neutra rispetto alla richiesta di allargare l’istituto familiare
anche alle coppie omosessuali risponde la Corte costituzionale ribadendo che il
divieto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso è conforme alla nostra
Carta Costituzionale[4].
Il
dibattito tra le diverse posizioni è aspro e acuito dalle manifestazioni di
piazza che sono state organizzate dai due schieramenti: quello dei fautori del
matrimonio omosessuale e quello dei “difensori” del matrimonio eterosessuale.
Al di là delle guerre dei numeri dei manifestanti (con i mass-media laici che
hanno mostrato una partigiana lettura dei dati), quello che mi preme sottolineare
è che si deve superare una contrapposizione di parti, quasi che i primi
desiderino distruggere l’istituto familiare e i secondi difenderlo. Entrambe le
parti si appellano a delle intenzioni positive: i sostenitori del
matrimonio omosessuale intendono combattere l’emarginazione e la
discriminazione dei gay, promuovere la cultura dell’uguaglianza, favorire i
legami umani; quelli contrari intendono difendere la famiglia tradizionale e,
in particolare, i figli. Seguiamo il pacato ragionamento di un sociologo
americano:
Se permettere di
sposarsi solo a un uomo e a una donna fosse una forma di discriminazione, che
sulla base di un pregiudizio irrazionale esclude quanti non sono conformi alla
maggioranza sociale, allora non c’è dubbio che ci troveremmo davanti a una
proibizione sbagliata. Parimenti, se lo scopo del matrimonio fosse soltanto
quello di promuovere e di incoraggiare i legami tra le persone, allora anche il
matrimonio omosessuale assolverebbe questo compito e non ci sarebbe nessun
motivo di escludere né gli omosessuali né altre categorie di adulti che
conducano una relazione seria. Se l’intenzione che sta dietro alla richiesta di
introdurre il matrimonio omosessuale fosse di incoraggiare questo tipo di
rapporto amorevole, devoto, duraturo, è chiaro che si tratterebbe di
un’intenzione positiva. Il punto è che ci sono altri, più importanti, aspetti
da tenere in considerazione. In contrasto con la visione di chi lo
considera un patto privato, l’Occidente ha sempre tutelato il matrimonio in
quanto pubblica istituzione sociale, riconosciuta e appoggiata dallo Stato per
i suoi benefici nei confronti dei figli e della società nel suo insieme.
Benefici
che le altre unioni non possono garantire allo stesso modo.
Più che «contraria
al diritto dei gay di sposarsi», la Chiesa è «favorevole a preservare la
specialità del matrimonio tra uomo e donna». Ciò non significa affatto
«discriminare». Riservare il matrimonio a un uomo e a una donna non è più
discriminatorio che riservare l’accesso al trattamento pensionistico a coloro
che ne abbiano i requisiti necessari. Uguaglianza non vuol dire equivalenza.
Ogni legge, di fatto, distingue. Gli Stati hanno sempre imposto delle
ragionevoli restrizioni al matrimonio, per preservare l’essenza e il
significato dell’istituzione: di conseguenza non possono sposarsi gli
omosessuali così come non possono sposarsi i parenti stretti, i minorenni o le
persone incapaci di intendere e di volere. Sempre per legge, chi contrae
matrimonio deve essere in grado di assumersene gli obblighi (motivo per cui, ad
esempio, è considerato impedimento la minore età) e deve farlo di sua spontanea
volontà (per questo i vizi della volontà sono causa di invalidità). I coniugi
devono essere due (e non un numero illimitato di persone) e devono essere un
uomo e una donna. Il che esclude i bigami, le persone dello stesso sesso, la
poliginia e la poliandria. Ma se definiamo discriminatorio impedire di sposarsi
alle persone dello stesso sesso, allora diventa discriminatorio escludere dal
matrimonio tutte le persone che rientrano nelle altre categorie citate. Per
reinquadrare la questione bisogna dunque cambiarne i termini: non parlare di
«uguaglianza dei diritti» ma del concetto di matrimonio, del suo fine e dei motivi
per cui è sempre stato salvaguardato legalmente[5].
Con molta ironia un lettore della
rivista Tempi riflette sulla vita sentimentale del cantante e presentatore TV
Pupo il quale ha pubblicamente dichiarato di essere sempre stato infedele alla
moglie e “dipendente dal sesso”. Ha superato le sue “perversioni” e il suo
“egoismo” grazie all’amore di una amante accolta dalla moglie. Ne consegue che:
Si tratta di tre persone adulte, nel pieno delle loro facoltà
mentali, legate in modo non omogeneo da un rapporto affettivo definito “amore”…
Se l’amore è amore e non deve essere discriminato in alcun modo allora, in
questo caso, si dovrebbe riconoscere il diritto ad una nuova unione civile, ad
una nuova forma di famiglia. L’amante deve poter assistere il protagonista, se
questo va in ospedale. L’amante deve poter aver accesso al 50 per cento della
pensione di reversibilità in caso di morte del protagonista (l’altro 50 per
cento spetterà alla moglie). I figli di Pupo e sua moglie dovrebbero essere
adottabili dall’amante… se i primi due venissero a mancare. E se il caso di
Pupo è solo la triste vicenda di una persona che sostiene di aver curato il
desiderio insaziabile dell’uomo di avere tutto, il desiderio di infinito che
abita in tutti noi, semplicemente avendo due donne anziché una… molto più
legittima è la richiesta di riconoscere le famiglie poligame che nell’islam (e
non solo) hanno un tradizione millenaria[6].
La
posizione della Chiesa
Ha ribadito più volte papa Francesco:
Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e
ogni altro tipo di unione. (…) Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite
due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore
vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il
quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione
reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale (…). La Chiesa con
rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi
elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità,
sacramentalità –, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli
centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia
di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati[7].
Ribadisce
inoltre quanto già scritto nella Relazione finale del Sinodo:
«circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle
unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o
stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di
Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese
locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi
internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri
all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello
stesso sesso» [8].
La Chiesa non solo riconosce la valenza
sociale positiva del matrimonio (e ribadisce come la famiglia sia la cellula
fondamentale della società), ma indica nella sua forma sacramentale la
realizzazione del progetto di Dio di renderla strumento di bene per l’umanità. La famiglia non è infatti solo oggetto di evangelizzazione,
ma soggetto che evangelizza a partire dalla propria realtà: l’amore reciproco,
fedele e per sempre, e l’apertura alla vita offrono un’immagine autentica
dell’unione tra Dio e il suo popolo, tra il Cristo e la Chiesa. La famiglia
risponde ad una chiamata e ha la missione di trasmettere la Buona Notizia di un
Dio che sostiene, guida e sogna la famiglia come il luogo dove educare e
testimoniare l’amore.
Con
realismo il papa ricorda che:
Non
possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma
possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a
vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità[9].
La
famiglia è una “scuola di umanità”[10],
è la “Chiesa domestica”: deve dunque essere “uno spazio in cui il Vangelo è
trasmesso e da cui il Vangelo si irradia”[11].
[2] “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire
ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio” (art.30). “La
Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione
della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo
alle famiglie numerose” (art.31).
[3] In particolare si parla di
obbligo reciproco alla fedeltà, di assistenza morale e materiale, di
coabitazione fissando l’indirizzo della vita famigliare.
[4] Lo ha stabilito con una ordinanza del 22 luglio 2010,
n. 276 con la quale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di
legittimità costituzionale sollevata da alcuni giudici. Chiarisce inoltre che l'art. 29 "si riferisce alla nozione di
matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso,
e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per
via ermeneutica", e dall’altro che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.
Cfr. http://www.altalex.com/documents/news/2010/09/07/il-divieto-ai-matrimoni-tra-persone-omosessuali-e-conforme-alla-costituzione
[7] Papa Francesco, Discorso
alla Sacra Rota, 22 gennaio 2016. In Amoris laetizia (n.52) inoltre scrive:
“Dobbiamo
riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una
certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso,
per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio”.
[8] Id., n.251
[9] Id., 163
[11] Paolo VI, EN, n.71