Silvia Romano, la giovane rapita in Kenia, e il cinismo dei cattivisti


Il "buonismo" non è più di moda e il rapimento di una giovane missionaria in Kenia, Silvia Romano, ha scatenato il "cattivismo" di coloro che non sopportano la solidarietà e l'idealismo e hanno definito la Romano una «frustrata», una«oca giuliva» e  una «disturbata mentale» (alcuni ci sono andati ancora più pesanti).

Questo è un articolo su Famiglia Cristiana:
Non si ferma la rabbia sul web, nemmeno di fronte a una giovane 23enne, Silvia Romano, la volontaria sequestrata in Kenya in seguito a un attacco armato a 80 chilometri da Malindi. Da «Ennesima oca giuliva, poteva stare a casa e aiutare gli italiani» a «Speriamo che tutti i buonisti pro clandestini facciano la stessa fine», «Ma che brava. Una in meno in Italia», «Nessuno vuole pagare un riscatto per una come te». Attacchi feroci e spietati, senza senso di cui chiediamo il perché a Gianfranco Cattai, presidente Focsiv.
«La domanda è giusta, ma è fatta alla persona sbagliata perché il 29 novembre prossimo consegniamo il premio del volontariato come da 25 anni a questa parte perché siamo convinti di dover dare più opportunità ai giovani di fare queste esperienze affinché costruiscano relazioni di reciprocità. I ragazzi non devono stare a casa nostra, ma partire con tutta la preparazione, prudenza e l’accompagnamento del caso. Se c’è una cosa a  cui stiamo attenti come organismi Focsiv (84 in 80 Paesi nel mondo) è a non lasciare sole le persone soprattutto se sono giovani e non solo per questioni di sicurezza. A maggior ragione nelle aree calde».
Lei che guida una Federazione di 4500 persone impegnate per gli altri come fa a non scaldarsi di fronte a tanto imbarbarimento?
«Più che non arrabbiarmi non mi stupisco perché questi insulti sono il risultato di ciò che è stato seminato per sfiduciare il lavoro degli organismi di volontariato in Africa e nel Mediterraneo. Questa è la conseguenza di un investimento denigratorioEd è tragico. Ecco perché capisco che qualcuno superficialmente dica “poteva stare a casa”. Non è loro la responsabilità, ma della mancanza di cultura. Quello che non capisco è da dove dobbiamo ricominciare se anche la viceministro della Cooperazione, Emanuela del Re dice: “guai a noi smettere di investire sul volontariato”. Questi giovani sono i nostri ambasciatori, il meglio della nostra società che dice “non mi arrendo di fronte al fatto che si investe sul ricco perché sia più ricco e il povero sia più povero”. Ecco perché come Focsiv stiamo pensando a una campagna per rilanciare il volontariato in Africa. Con lo stesso impegno che l’Europa ha profuso per sostenere e portare avanti l’esperienza Erasmus: in quel caso uno scambio tra studenti perché si conoscano meglio. Così faremo noi tra volontari e Africa».
Gramellini ha dedicato a questa vicenda la sua rubrica ("il caffè" del Corriere della Sera) di giovedì scorso scrivendo:
Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto.Ci sono però una cosa che non riesco ad accettare e un’altra che non riesco a comprendere. Non riesco ad accettare gli attacchi feroci a qualcuno che si trova nelle grinfie dei banditi: se tuo figlio è in pericolo di vita, il primo pensiero è di riportarlo a casa, ci sarà tempo dopo per fargli la ramanzina. E non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni. L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a illuderti ancora di poterlo cambiare. Le delusioni arrivano poi, quando si diventa adulti e si comincia a sbagliare da professionisti, come canta Paolo Conte. Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza.
Gli risponde, piccato, Bonacina con un editoriale su Vita:
(...) “Smania di altruismo”, Silvia Romano? “Entusiasta e sognatrice”, “l’ingenuità un po’ folle dei vent’anni” e via con tante corbellerie e banalità di questo tipo. Significativo il titolo della rubrica di ieri “Cappuccetto Rosso”.Praticamente un benservito ai quasi 16mila italiani impegnati in ogni parte del mondo in progetti di cooperazione e di partnership per la promozione di sviluppo e di lavoro nelle regioni più povere. Tanti giovani, ma anche medici, ingegneri, religiosi, persino pensionati. Un avamposto di umanità espressione di altri centinaia di migliaia di italiani che li sostengono don l’amicizia e le donazioni. Un’Italia che dice “Prima la dignità dell’uomo”, “Prima la giustizia”, “Prima la relazione con gli altri” e non il gretto e stupido, questo sì “Prima gli italiani”, “Prima pensa a te e poi agli altri”.I cooperanti sono l’avamposto di tutti coloro che hanno capito che è proprio nella relazione con gli altri sta l’originalità dell’essere umano, sta l’inizio dell’autocoscienza personale che non appare, non sboccia se non nella relazione. Che migliaia e migliaia di italiani abbiano questa coscienza è un bene per tutti, anche per Gramellini.Come dice la poesia di Pär Lagerqvist: “Uno sconosciuto è mio amico/ uno che io non conosco, uno sconosciuto lontano lontano. / Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia…”.Non riconoscere e addirittura sbeffeggiare questa dimensione col cinismo degli adulti e dei benpensanti è non solo l’anticamera del nichilismo ma anche la fine di ogni ipotesi di umanità. La certificazione di una cattiva vita, l'invito a vivere piegati su se stessi e sul proprio ombelico. Che tristezza. Scriveva don Giussani: “È la nostra natura che ci spiinge a interessarci degli altri. Quando c’è qualcosa di bello in noi, noi ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri. Quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro. Tale esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti”Ciò che dice la vicenda di Silvia Romano (splendidi alcuni suoi pensieri sulla pagina Facebook) è che se non sei un ameba sai che ogni decisione è un rischio (ovunque, in Italia come in Africa) e che ogni ipotesi di vita piena ha questo assunto: «Mai senza l’Altro, mai senza gli altri». Come scriveva Michel De Certaud. 
Vedi la replica di Gramellini. Famiglia Cristiana ci offre un ritratto di questa ragazza:
 Sul suo profilo Facebook aveva scritto: «Si sopravvive di ciò che si riceve ma si vive di ciò che si dona». Questa è Silvia Costanza Romano, la volontaria milanese di 23 anni, rapita nella serata di martedì 20 novembre in un villaggio in Kenya da un gruppo di uomini armati. Il sito dell'associazione di Fano per cui lavorava, Africa Milele, che sostiene progetti legati all'infanzia, riporta solo queste frasi: "Non ci sono parole per commentare quello che sta accadendo. Silvia, siamo tutti con te». Nessun riferimento a possibili contatti ed è comprensibile: in queste ore così delicate, il riserbo è d'obbligo. Anche perché ancora non si sa nulla su chi ha rapito la ragazza e sul perché: potrebbero essere delinquenti comuni a caccia di un riscatto, o terroristi islamici legati al gruppo al-Shabab. 
Di certo, almeno in base alle prime testimonianze, i rapitori cercavano proprio lei e sono andati a colpo sicuro. L'hanno schiaffeggiata e legata, prima di portarla via. È quanto afferma un ragazzo che sostiene di essere testimone oculare del rapimento, Ronald Kazungu Ngala, 19 anni. Il giovane è uno dei giovani la cui istruzione è sostenuta dalla onlus per cui lavora la ragazza italiana ed era nell'ufficio dell'organizzazione, quando ha sentito gli spari provenienti dall'esterno, che hanno fatto fuggire o nascondere tutti quelli che si trovavano nell'area commerciale. La banda ha quindi fatto irruzione nell'ufficio con fucili e machete, intimando che fosse loro detto dov'era la donna bianca. «Ho detto loro che se ne era andata - racconta - ma non mi hanno creduto e si sono precipitati nella stanza, dove l'hanno trovata». Ngala dice di averli seguiti e aver sentito uno di loro chiedere a un altro «se fosse lei». Quando gli è stata data una risposta affermativa, l'ha «schiaffeggiata duramente finchè Silvia è caduta». «Ronald, per favore, per favore! Ronald, per favore aiutami», avrebbe detto la giovane, secondo Ngala. «Ho provato a respingere un uomo che la teneva giù per legarle le mani dietro la schiena - dice ancora il ragazzo - ma qualcuno mi ha colpito in testa con un bastone e ho quasi perso i sensi. Lei mi ha detto di mettermi in salvo e sono fuggito». Due degli uomini armati che erano fuori dalla stanza avrebbero quindi sparato a delle persone presenti, tra cui due bambini
Silvia, che si è laureata con una tesi sulla tratta degli esseri umani, era rientrata in Kenya all'inizio di novembre. In precedenza, sempre con Africa Milele onlus, aveva trascorso in precedenza alcuni mesi. Prima di partire, la ragazza ha lavorato in una palestra: «Silvia ha collaborato con noi nell'ultimo anno - raccontano da Zero Gravity, un centro sportivo in via Vavassori Peroni dove si insegna freestyle, parkour e acrobatica - faceva l'istruttrice di acrobatica. Era andata via a luglio e sapevamo che inizialmente sarebbe dovuta rimanere fino a settembre, per poi tornare a tenere i corsi da noi a ottobre. Poi però ci ha chiamato dicendoci che sarebbe ripartita a ottobre e quindi avrebbe lasciato i corsi da noi. Ma era quello che desiderava».
La posta abitualmente sui social foto e iniziative benefiche per i bambini africani. Il suo ultimo post è del 17 novembre e la ritrae sorridente, alle spalle di una capanna di legno in un villaggio, mentre veste degli abiti tipici africani, mentre in altre foto appare mentre sale su un albero di cocco o durante un selfie con i bambini di cui si prendeva cura. «Amo piangere commuovendomi per emozioni forti, sia belle sia brutte - scrive - ma soprattutto amo reagire alle avversità. Amo stringere i denti ed essere una testa più dura della durezza della vita. Amo con profonda gratitudine l'aver avuto l'opportunità di vivere».
Questo è invece un articolo apparso su Avvenire:  Silvia, i cattivisti e i Soloni da salotto. Almeno tacete:
Siamo molti, nell’Italia che va invecchiando, ad avere l’età per essere potenzialmente madre (o padre) e nonno (o nonna) di Silvia Costanza Romano, la giovane volontaria rapita in Kenya. Ma abbiamo anche l’età (e condividiamo la responsabilità) per essere parenti o educatori dei due ragazzi che a Varese hanno sequestrato e torturato un loro coetaneo per un debito di droga contratto da un amico di quest’ultimo. Domande facili: quale sceglieremmo come figlio o nipote? Di chi saremmo giustamente orgogliosi? Eppure, nel Paese al contrario che sempre più spesso sembriamo diventati, in poche ore sono spuntate, come piante carnivore dal fiorire improvviso sull’humus di rancore diffuso, velenose critiche e ingenerose, persino violente accuse alla nostra cooperante, rea di "essersela cercata" e di crearci nuovi grattacapi, facilmente evitabili restando a Milano.
Silvia – ci si permetta di chiamarla per nome (bisognerebbe ricominciare anche dalle buone maniere) – è finita nelle mani di miliziani senza scrupoli che, c’è da sperarlo, potrebbero chiedere un riscatto per la sua liberazione. Domanda sbagliata: ha delle colpe per questo? Chi ha una figlia o nipote che rischia la vita in modo simile non si chiederà perché è andata a sostenere gli orfani africani, ma supplicherà chiunque possa fare qualcosa di aiutarlo a liberarla. E i suoi connazionali, in genere, invece che farsi forsennati spettatori dalle tribune social e di chiederle già conto di un’ipotetica somma versata ai banditi, avrebbero trepidato e magari pregato per la sua salvezza.
Siamo abbastanza sicuri che se Silvia fosse caduta in una buca davanti a casa dei suoi denigratori da salotto, la stragrande maggioranza di essi si sarebbero mobilitati per darle una mano, in senso letterale. Restano però preoccupanti la mancanza di solidarietà, il cinismo e – diciamolo: persino la ferocia – che in Rete viaggiano veloci ormai senza neppure bisogno dell’anonimato, ma solo grazie all’assenza di remore personali e di sanzioni morali. E ancora di più colpiscono, come un schiaffo a freddo, i commenti agrodolci di acclamati opinionisti, desiderosi di non scostarsi troppo dal clima che si vorrebbe prevalente. Quello che mette alla gogna le Ong che salvano i migranti, che invoca sgomberi di senza tetto facendo finta che il problema dei più bisognosi così scompaia, che pretende inflessibile severità per tutti tranne che per se stessi.
Un Paese che coltiva il rispetto e l’altruismo, che apprezza e promuove il volontariato, non può che generare un tessuto sociale generoso e vivibile, persone capaci di slanci coraggiosi, proiettate verso il bene comune.
E qualcuna di esse andrà anche all’estero, ambasciatore di solidarietà, si diceva una volta, con una retorica buonista che sta tornando rapidamente fresca e croccante al confronto della montante muffa cattivista, mascherata da sincerità finalmente senza finzioni. Non ve la sentite di mandare un messaggio in favore di Silvia? Almeno tacete. Non tentate impietosamente di infangarne la figura. Lasciate spazio a chi ancora crede che spendere una piccola parte della propria vita per gli altri sia una scelta da lodare e incoraggiare (evitando, certo, improvvisazioni dettate solo dal cuore e con interventi il più possibile mirati ed efficaci da parte delle organizzazioni che li promuovono).
Non è il fatto peggiore dell’Italia di oggi. Non vogliamo farne una caso più grande di quello che è. Ma quelli emersi in queste ore sono segnali da non sottovalutare, spie di qualcosa che sta avvenendo nel profondo. E che può dare frutti malati nel futuro, se non verrà invertita la tendenza. Quanti penseranno di partire per terre di 'missione', quando ti danno addosso perfino nel momento in cui vieni rapito e sei in pericolo di vita? E, grattando sotto la superficie dei messaggi e dei commenti, sembrano emergere nel dibattito pubblico pure vecchi-nuovi vizi, uno tristemente sdoganato e l’altro ancora troppo superficialmente combattuto. Il primo è legato all’operato di Silvia. Non vorremmo essere maliziosi nel sospettare che dare un’istruzione e una speranza a un pugno di bambini neri di un villaggio sperduto non sia considerato da molti una priorità meritevole di impegno e rischio connesso. Il secondo è legato alla persona stessa di Silvia, un sessismo strisciante e inconfessabile, secondo il quale siamo davanti a una giovinetta incosciente che si mette nei guai per seguire sogni irrealistici. Un riflesso già comparso in passato, quando altre volontarie italiane erano state vittime di bande armate.
Non salva il mondo Silvia. Non è un’eroina. Ma noi ci sentiamo di esserle accanto con gratitudine, e non solo perché è nostra connazionale. Ha 23 anni, si spende per i meno fortunati, non ha chiesto nulla per sé e, a quanto sappiamo, non è stata nemmeno imprudente (ammesso che in questi frangenti conti qualcosa). La aspettiamo con ansia, senza il benché minimo dubbio che il nostro governo farà tutto il possibile per riportarla presto a casa. Come è sempre stato e come sempre dovrà essere.
Vedi anche:

-  Perché dobbiamo pagare il riscatto per Silvia Romano. E smetterla di prendercela coi giovani sognatori (Linkiesta)
-  Silvia Romano, a Natale non siamo tutti più buoni. L’odio contro la cooperante è solo un esempio (Il Fatto Quotidiano)

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