SULL'INFEDELTA'
Diciassettesima puntata delle mie riflessioni sulla "vita sessuale tra Chiesa e società"
La
Bibbia prende tremendamente sul serio la promessa di fedeltà che lega gli
sposi. Secondo la Torah
l’attentato al matrimonio è un attentato all’alleanza con Dio, di cui il
matrimonio è figura nella storia. “Non commettere adulterio”
– afferma il sesto comandamento - per non svilire l’immagine stessa di Dio e
per non cadere in preda delle tue passioni che arrivano a stringerti in spirali
di male.
Pensiamo al caso
di Davide e Betsabea[1]. Davide è il grande re voluto da Dio, uomo
carismatico e potente, uomo dalla profonda sensibilità religiosa, capace di commettere
peccati gravissimi ma anche di pentirvisi amaramente. Uno di questi peccati avviene
dopo aver scorto una bella donna che fa il bagno nuda: si invaghisce di lei, la
desidera e inizia a tramare per averla. Probabilmente si illude di non fare
nulla di male: il marito della donna è lontano, sta combattendo in guerra per
lui, e non lo sarebbe venuto a sapere. Si sarebbe solo preso una pausa dal
terribile peso di essere re, preoccupato per la guerra in corso. Magari
l’indomani avrebbe potuto gestire meglio le cose perché sarebbe stato più
contento e soddisfatto. Quando Davide realizza il suo desiderio, si ritrova a
mettere incinta la donna e, per cavarsi dai guai, cerca di attribuire il figlio
al marito della donna. Richiama Uria dal campo di battaglia e lo invita a
rilassarsi nella sua casa, con sua moglie. Non riesce nell’intento in quanto,
in modo beffardo, Uria si mostra zelante e fedele al suo re che invece decide
di farlo morire in battaglia (tra l’altro in modo infame, perché è Uria stesso
a portare, inconsapevolmente, l’ordine della sua uccisione). Tutto è cominciato
con la voglia di passare una notte in compagnia di una bella donna, ma finisce
con un omicidio. Perché quando tu entri nella spirale del peccato, perdi il
controllo delle tue decisioni. Allora o riesci ad interrompere la spirale
confessando la tua colpa, oppure sei costretto a fare altro male per coprire il
male che hai già fatto.
Emblematica
è anche la storia di Paolo e Francesca raccontata da Dante nel V canto dell’Inferno.
Essi sono finiti nel girone dei lussuriosi, ovvero di coloro che la “ragione sottomettono al talento”. Paolo
Malatesta di Rimini e Francesca da Polenta di Ravenna sono
cognati. Paolo venne inviato come
procuratore del matrimonio tra il brutto fratello Gianciotto e la bella e
affascinante Francesca. In quell’incontro, probabilmente, la donna si ingannò
credendo che Paolo sarebbe stato il suo sposo. Chissà quale delusione e quale
risentimento provò quando si rese conto che avrebbe sposato il fratello brutto
e zoppo. Il matrimonio, che avrebbe sancito la definitiva conclusione delle
guerre e dei contrasti tra Ravenna e Rimini, venne comunque celebrato.
Francesca non dimenticò, però, Paolo: i due si amarono finché non vennero colti
di sorpresa da Gianciotto e uccisi.
Di
questa storia Dante racconta solo la parte iniziale. Francesca è cosciente che l’amore può risiedere solo in un cuore
“gentile” , cioè buono (“Amor, ch'al
cor gentil ratto s'apprende”), e che all’amore si dovrebbe rispondere con
l’amore (“Amor, ch'a nullo amato amar perdona”), ma è altrettanto
cosciente che fu la bellezza dei loro
corpi ad accendere la passione tra loro. Dante allora vuole sapere come sia possibile che un sentimento così
nobile, così alto, così bello come quello amoroso possa tradursi in peccato.
Qual è stato il momento in cui i due cognati hanno svelato i loro reciproci
sentimenti? Francesca risponde:
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli
eravamo e sanza alcun sospetto.[…] ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi,
che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l
libro e chi lo scrisse.
Sentimento
e attrazione (“talento”) per l’altro sono importanti, ma non possono sopraffare
la ragione impedendo di usare il cervello. Non solo: un istante può valere una vita, la salvezza o la dannazione. È segno di maggiore libertà vivere istante
per istante, in nome del proprio piacere e della propria soddisfazione, oppure
decidere tenendo conto delle responsabilità assunte, delle conseguenze che
quell’atto può determinare? E’ più libero un padre di famiglia che si lascia
andare all’istinto del momento e tradisce la moglie rompendo così la fedeltà e sfasciando magari
il nucleo familiare oppure un padre che, memore dell’amore che prova e della
promessa fatta, sceglie per il bene proprio e dei suoi cari? Paolo e Francesca
sono solo vittime di una passione nata per caso e che li ha travolti o sono solo
degli imprudenti che giocano con i loro sentimenti mettendosi in situazioni che
poi non sono più in grado di gestire? Ovviamente protendo, con Dante, per la
seconda possibilità e condivido l’assunto di partenza, cioè che non si possono assecondare
i sentimenti rinunciando completamente all’uso della ragione.
Commenta indirettamente Enzo Bianchi:
La sessualità è cosa
buona e bella, ma il suo uso può essere intelligente o stupido, amante o
violento, legato all'amore o alla pulsione. La sessualità ci spinge alla
relazione con l'altro, ma dipende da noi cercare, in questa relazione,
l'incontro o il possesso, la sinfonia o la prepotenza, lo scambio o il
narcisismo. Potremmo dire che la castità è l'arte di non trattare mai l'altro
come un oggetto, perché in questo caso lo si "consuma" e lo si
distrugge. Arte difficile e faticosa, che richiede tempo[2].
Richiede
infatti la conoscenza della nostra interiorità, delle pulsioni e dei desideri
spesso poco distinguibili e di cui siamo poco consapevoli. Siamo deboli, ma la
nostra forza può scaturire dal prendere consapevolezza di ciò che veramente
vogliamo, di ciò che riteniamo buono e giusto.
Afferma
Gesù: “Chiunque guarda una donna per
desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,28).
Guardare una donna con la brama di possederla è vederla non in quanto donna, ma
come oggetto che potrebbe procurarmi piacere. Castità è purificare la mente e
il cuore per vedere gli altri per quello che sono e non per quello che possono
darmi. Non sono le cose esterne a contaminare e rendermi impuro (tantomeno – ci
ricorda Gesù – ciò che entra “nel ventre
e va a finire nella fogna”, Mc 5,19), ma è “ciò che esce dall’uomo” (v.20) che può contaminarlo. Gesù a questo
punto elenca le “intenzioni cattive”
che escono “dal cuore degli uomini”
(v.21)[3]. Quattro su dodici
(teniamo presente il rapporto!) fanno riferimento anche alla sfera sessuale:
fornicazioni, adulteri, cupidigie e impudicizia. Il
male – ci dice Gesù – esce dall’uomo quando usa gli altri e le cose in modo
scorretto, quando cioè se ne serve per fini egoistici e nocivi e non per amare
Dio e il prossimo. Il peccato è, in definitiva, l’atteggiamento opposto
all’amore per gli altri e nasce da desideri, paure e mancanze che vengono
dall’interno di noi stessi.
Così
racconta un Padre della Chiesa:
Un santo monaco si
trova alle porte di Alessandria accompagnato dai suoi discepoli quando vedono
venire una donna molto bella lungo la strada. I discepoli si coprono la testa
con i loro mantelli per non cadere in tentazione. Sfuggono così alla tentazione
della carne, ma non a quella della curiosità; da sotto i loro mantelli spiano
il loro maestro e vedono, con stupore scandalizzato, che egli ad occhi
spalancati guarda sopraggiungere quella donna. Dopo che la donna è entrata in
città, tolti i mantelli, lo interrogano: “Come hai potuto soccombere alla
tentazione di guardare quella donna?”. E lui, triste, risponde loro: “Quanto è
impuro il vostro cuore! Voi non avete visto in lei che una tentazione, io ho
visto in lei una meraviglia di Dio”[4].
[1] Cfr. 2 Sam 11-12
[2] E. Bianchi, Cosa
vuol dire essere casti oggi, La Repubblica, 1 luglio
2015
[3] “fornicazioni,
furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia,
calunnia, superbia, stoltezza” (v.21-22).
[4] Detti dei Padri del deserto in M. Zuppi, Guarire le malattie del cuore, 2015,
p.43.