I domenica di Avvento, Anno C (2 dicembre 2018)
Per cominciare bene occorre ricordare il fine, la meta. Così l'Avvento inizia ricordandoci che la fine del mondo (del nostro mondo o del mondo intero) è inizio di un mondo nuovo, liberazione:"alzate il capo, perchè la vostra liberazione è vicina". Eppure questo pensiero non ci procura anelito di liberazione, piuttosto angoscia o timore: ci sono uomini che "moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che sta per accadere sulla terra". Dipende da dove è rivolto il nostro sguardo e il nostro cuore: verso la terra o verso Dio? Verso il passato o verso il futuro? Se la nostra vita è solo mondana, rivolta a questo tempo, la prospettiva di questi sconvolgimenti sarà motivo di terrore: "tutto sta per finire"; se siamo rivolti verso Dio, verso ciò che lui compie allora saranno segni di speranza, di una liberazione che finalmente si compie e che ci apre orizzonti di vita.
Gesù ci chiede di alzarci e scrollarci di dosso i pensieri neri, quelli che buttano giù la testa, che abbattono la mente. L’essere umano con la sua postura eretta e la sua spina dorsale diritta supera la forza di gravità e permette a sé stesso di osservare con fierezza l’orizzonte, guardando lontano. L’angoscia non è una buona maestra per capire la storia, è importante sollevare la testa, scrollarsi di dosso la disperazione e prepararsi alla grazia che viene. (Fabio Rosini)Per questo dobbiamo essere "attenti a noi stessi, che i nostri cuori non si appesantiscano". Cosa possiamo fare?
1- lottare contro ciò che ci appesantisce, ci addormenta la coscienza, ci fa perdere il senso delle cose, delle relazioni, delle scelte e progressivamente ci allontana dal Signore e dai fratelli;
2- mettere al centro ciò che ci libera, ci rende leggeri, fiduciosi, accoglienti.
Cosa ci appesantisce i cuori?
1- DISSIPAZIONI: disperdere, sprecare le nostre energie vitali in cose superficiali, vuote, inutili: andare dietro all'apparenza, all'immagine, al look, al ruolo, all'apprezzamento degli altri. Preoccuparsi di piacere (e di avere) più che di essere. Quanto tempo e soldi per l'estetica, per restare giovani, per apparire adeguati, inn. Quanto poco tempo speso per curare la nostra interiorità, per crescere come creature spirituali, per rinsaldare e risanare i nostri rapporti.
2- UBRIACHEZZE: cercare stordimenti artificiali (legati all'alcool, alle droghe, al sesso, ma anche stordimenti davanti a schermi o rumori), per fuggire da noi stessi, per rifugiarci in paradisi artificiali e momentanei.
Intontirsi e assuefarsi al comfort, alle frivolezze, alle curiosità inutili, a messaggi e parole insulse, a cento stupide gratificazioni e al fare troppe cose senza “stare” in nessuna…3- AFFANNI: buttarsi nelle cose da fare per sentirci importanti, essenziali, affermati. Più facciamo e più sentiamo di contare, di vivere. Ma vivere non è fare (con affanno, cioè con ansia), ma essere, amare. Per amare non conta tanto il fare, anzi, a volte i troppi impegni soffocano l'amore.
Cosa ci aiuta e ci libera?
Curare un rapporto quotidiano e intimo, d'amore, con il Signore, nella PREGHIERA: "Vegliate in ogni momento pregando", perchè nella preghiera trovate colui che vi dona la forza di sfuggire al male e di "comparire davanti al Figlio dell'uomo", di vederlo e conoscerlo definitivamente, contemplando il suo volto, la sua gloria, trovando il Lui liberazione, amore e pace.
Desideriamo questo? Attendiamo questo incontro? Forse solo formalmente e solo inconsapevolmente: chi non desidera sentirsi amato, essere libero, vivere in pienezza? E' la PREGHIERA, è una RELAZIONE d'AMORE CURATA, non scontata, che può rendere desiderabile questo incontro e trasformare un evento che si ripete ogni anno come il Natale, in una festa in cui sentirci amati e capaci di amare, forti e sostenuti, pieni di speranza e di gioia profonda.
RICORDIAMOCI CHE IL SIGNORE CI HA TALMENTE AMATI da visitare e trasformare il mondo, e che ci ama talmente da coinvolgerci in un progetto che si rivelerà in pienezza solo alla fine del mondo.
Attendiamo allora non passivamente, ma con impegno e fiducia che il Signore compia in noi le sue promesse di bene e di gioia.
Omelia precedente
Commento (audio) di don Fabio Rosini (+ testo su Famiglia Cristiana)
L.M.Epicoco:
Una sfilza infinita di eventi, terrori, segni riempie il Vangelo di oggi. Si avverte nitidamente che l’anno liturgico sta finendo, e la liturgia ce lo ricorda spostando il nostro sguardo alla fine della storia. Forse la dicitura più corretta non dovrebbe essere “la fine della storia”, bensì “il fine della storia”, perché quando Gesù parla di questi eventi (molti tra l’altro esattamente realizzati come la devastazione di Gerusalemme), non vuole darci riferimenti cronologici ma escatologici. La differenza è semplice: Gesù non vuole fare del gossip, o dello spoileraggio. Non vuole dirci come finisce il film per rovinarcelo, ma vuole ricordarci almeno due cose. La prima è che la scena di questo mondo passa, e che ogni cosa ha un inizio e una fine, compresa la nostra vita, e questo mondo. La seconda cosa è che il nostro destino però non è nel finire, nella fine, ma è la vita eterna che inizia esattamente quando tutto sembra ormai finire. Come reagisce un cristiano davanti a questo annuncio? “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”. Rialzarsi, levare il capo, assumere cioè una posizione eretta, smettere di guardarsi i piedi, alzare lo sguardo, avvertire che proprio tutto questo ci ricorda che la liberazione è vicina. Sentire la libertà avvicinarsi esattamente come alla fine dell’inverno si avverte l’imminente arrivo della primavera. Sentire premere dentro di noi una speranza che non sappiamo dire fino in fondo ma che diventa una motivazione che ci spinge in avanti, ci spinge a un protagonismo insperato. È il tempo in cui si realizzano quelle parole che pronunciamo nella liturgia e che forse non diciamo con tutta la consapevolezza di cui avrebbero bisogno: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In questo modo, morte, resurrezione ed attesa si intrecciano come una trama che attraversa tutta la nostra esistenza, e la trasfigurano riempendola di significato. (Lc 21,20-28)