Cristiani oppressi nel mondo: il rapporto 2018 di Acs
Nel mondo quasi 300 milioni di cristiani – uno su sette – vivono in uno dei 38 paesi dove sono in atto persecuzioni. Per questo i cristiani continuano ad essere il gruppo religioso più sottoposto a violenze, detenzioni, violazioni di diritti umani, come denuncia la XIV edizione del Rapporto sulla libertà religiosa della Fondazione vaticana “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, presentato all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. “Le persecuzioni religiose sono purtroppo al centro delle cronache mondali, un fenomeno preoccupante che si rischia di non collocare correttamente. Occorre invece soffermare l’ attenzione su questa realtà inquietante e inaccettabile”, ha commentato l’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Pietro Sebastiani.
Uno Stato “realmente progredito – ha osservato il cardinale Mauro Piacenza, presidente della Fondazione vaticana Acs – non è quello nel quale viene limitata la libertà religiosa dei cittadini o marginalizzato il fattore religioso”, bensì quello in cui il religioso “trova adeguati spazi di sviluppo”. “Se non si teme la verità, non si può temere la libertà”. “Dobbiamo lavorare congiuntamente – la sua esortazione – perché sempre più ampi spazi di libertà siano riconosciuto in ogni regione e ad ogni uomo riguardo all’aspetto religioso”. Difendere la libertà religiosa, significa difendere tutto l’uomo e difendere ogni uomo”. Ecco perché la Santa Sede prosegue nell’”instancabile tentativo di un dialogo che possa fare qualche passo avanti”.
Dal nazionalismo aggressivo e ostile all’ultra-nazionalismo che ritiene le minoranze confessionali una minaccia per lo Stato: sono queste le radici delle persecuzioni che si verificano soprattutto in India, Cina, Corea del nord, Pakistan, Myanmar.
In India, riferisce lo studio, tra il 2016 e il 2017 gli attacchi anticristiani, principalmente da parte di gruppi estremisti indù, sono quasi raddoppiati, raggiungendo quota 736. Le minoranze sono “una minaccia per l’unità del Paese”, ha di recente dichiarato un membro del Parlamento nazionale.
In Cina l’ultra-nazionalismo si manifesta invece come “generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi”. Di qui le misure restrittive assunte dal regime del presidente Xi Jinping tra cui la proibizione della vendita on line della Bibbia. Tra il 2014 e il 2016 distrutte o danneggiate tra le 1.500 e le 1.700 chiese. Grave minaccia al “culto personale” della dinastia Kim e del regime. Sono percepiti così i gruppi di fede nella Corea del nord, Paese che nega la libertà religiosa e nel quale si stima migliaia di cristiani siano detenuti in campi di prigionia.
In Pakistan gli estremisti determinati a trasformare il Paese in uno Stato islamico si oppongono fermamente alle modifiche alla controversa legge sulla blasfemia, che minaccia in particolar modo le minoranze. Grave la situazione delle minoranze religiose anche in Eritrea, Iran, Tagikistan e Turkmenistan. In Myanmar, dal settembre 2017 quasi 700mila musulmani rohingya sono fuggiti in Bangladesh; una crisi definita dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani come “pulizia etnica da manuale”.
In Turchia l’agenda nazionalista del presidente Recep Tayyip Erdogan mira ad affermare l’Islam sunnita. I musulmani hanno subito minacce di violenze e le loro moschee sono state “riadattate” a templi sunniti.
Il rapporto è stato presentato contestualmente nelle 23 sedi di Acs in tutto il mondo. Nel periodo analizzato dal report – giugno 2016/giugno 2018 – si riscontra un aumento delle violazioni della libertà religiosa in molti Stati.
In totale sono 38 i Paesi identificati come teatro di “gravi o estreme violazioni”. Tra questi, 21 vengono classificati come Paesi di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen. Sono invece luoghi di discriminazione gli altri 17: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam.
La situazione è peggiorata in 17 dei 38 Paesi. Invariata – perché già gravissima – in Corea del nord, Arabia saudita, Nigeria, Afghanistan ed Eritrea dove la persecuzione “manifesta il suo volto più crudele”, scrivono nell’introduzione del Rapporto Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Acs-Italia.
Al contrario, un brusco calo delle violenze commesse dal gruppo islamista al-Shabaab ha fatto sì che Tanzania e Kenya – classificati come “Paesi di persecuzione” nel 2016 – nel 2018 appartengano invece alla categoria dei “non classificati”.
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