SULLA GENERAZIONE DEI FIGLI
Ventottesima puntata delle mie riflessioni sulla "vita sessuale tra Chiesa e società"
“I cattolici non sono conigli”
Un’altra
espressione di papa Francesco che ha fatto scalpore è quella relativa alla
generazione dei figli e all’uso dei metodi contraccettivi: durante il volo di ritorno dalle Filippine (19 gennaio 2015) Bergoglio, citando
Paolo VI, ha ribadito che la parola-chiave è sempre la “paternità
responsabile”. “Alcuni” – ha detto il pontefice rivolgendosi ai giornalisti – “credono
che – scusatemi la parola – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come
conigli. No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa
ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti, i pastori, e si cerca. E io
conosco tante e tante soluzioni lecite che hanno aiutato”[1]. Richiama quanto, nel 1968, Paolo VI scriveva nella contestatissima enciclica
Humanae Vitae in cui condannava l’uso
degli anticoncezionali raccomandando i metodi naturali.
Papa Francesco non
ha voluto offendere le famiglie numerose, che guarda con ammirazione, né
legittimare la contraccezione, piuttosto invitare ad una genitorialità
responsabile, fatta con discernimento e progettualità.
Se una famiglia
generosa di figli viene
guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va! (…) Non avere figli è una
scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si
arricchisce, non si impoverisce![2]
Anche quando ha
parlato di “tre figli” per famiglia, non ha posto un numero ideale, ma ha fatto
riferimento a studi demografici: “Io
credo che, come dicono i tecnici, il numero di tre figli per coppia sia
necessario per mantenere la popolazione” cioè per fare in modo che non
decresca. Rispondeva così ad un altro giornalista che poneva la questione della
crescita enorme della popolazione filippina e della convinzione che questa sia
una delle ragioni più importanti per la povertà diffusa nel paese. Lì ogni
donna partorisce in media più di tre bambini e sembra che la posizione della Chiesa
sulla contraccezione non trovi più d’accordo molte persone. Papa Francesco rispondeva
citando ancora Paolo VI e definendolo “un profeta” che ci ha invitato a
guardarci dal “neo-malthusianismo in arrivo”[3]. Questo pensiero ha contribuito alla decrescita che
affligge l’occidente e in particolare la Spagna e l’Italia (che ha una media di 1,39 figli per donna) “dove –
prosegue il papa - ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno
i soldi per pagare i pensionati”. Avere una genitorialità “responsabile” significa
dunque discernere, per il bene dei figli e della società, prima ancora del
nostro benessere, quanti figli avere e quando averli.
Meglio un gattino di un
bambino?
“Chi
non ama gli animali, non ama neanche le persone”; “Possiamo giudicare il cuore di un uomo dal
modo in cui tratta gli animali” (E. Kant); “Chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato”(A.Schopenhauer)… Sono
solo alcune delle decine di citazioni raccolte da un sito veterinario che
giustifica e “ingentilisce” la moda di vivere e amare “animali da compagnia” (i
“pets” a cui il cinema ha dedicato tanti film e, nel 2016, un cartone animato
di successo). Ora, poiché – stando alle statistiche - nelle case
italiane ci sono più cani e gatti che bambini, papa Francesco, in una messa in
Santa Marta del giugno 2014, riferendosi a quelli che preferiscono i pets ai figli, ha detto, tra l’altro,
che queste persone “forse trovano sia meglio, più comodo, avere un cagnolino e
due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino”. Anche nell’udienza giubilare del maggio 2016 era
tornato sull’argomento è ha detto (scatenando le solite ire degli animalisti):
La
pietà non va confusa neppure con la compassione che proviamo per gli animali
che vivono con noi; accade, infatti, che a volte si provi questo sentimento
verso gli animali, e si rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei
fratelli. Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani, e poi
lasciano senza aiutare il vicino, la vicina che ha bisogno… Così non va.
L’obiettivo del papa non è negare
valore all’amore per gli animali
domestici, ma evidenziare come questo amore non può essere maggiore di quello
che si prova per gli esseri umani e non può essere un sostitutivo dei figli. Il
rischio è evidente: mentre i figli richiedono molte cure, molte spese e,
crescendo, diventano problematici, pretendono molto e offrono in cambio quasi
nulla, gli animali domestici obbediscono, sono fedeli e affettuosi nei
confronti dei loro padroni. Se ci fermiamo ad un livello di convenienza la
scelta è ovvia e del resto confermata da tante persone che non hanno figli, ma
uno o più animali domestici con cui cercare di compensare il proprio bisogno di
affetto.
Avere
un figlio è un diritto?
Dall’altra
parte c’è chi un figlio non può averlo, ma non si vuole arrendere di fronte
alla realtà. Oggi diverse tecniche permettono di superare limiti un tempo
invalicabili e si pone la questione: ciò che la tecnica rende possibile è
lecito farlo?
Massimo
Fini, giornalista certo non confessionale, argomenta:
L’adozione
da parte di coppie omosessuali, che è il nodo cruciale di tutta la faccenda,
suscita parecchie perplessità, non solo da parte cattolica e confessionale ma
anche laica. E’ fuori discussione che ognuno ha diritto di agire la propria
sessualità come meglio crede o istinto e desiderio gli detta. Ma questo
indiscutibile diritto nel caso di adozione si scontra col diritto di un terzo
soggetto, l’adottando. In linea di principio, o se si preferisce per legge di
natura, un bambino ha diritto di avere, almeno sulla linea di partenza, un
padre e una madre.
E prosegue:
Nel caso di “utero in affitto” siamo di fronte a una
doppia distorsione o se si vuole aberrazione. Non solo il bambino nasce senza
un padre e una madre naturali perché quella naturale, la sua vera madre, è esclusa
dalla coppia. Ma siamo di fronte alla mercificazione totale del corpo della
donna usato solo come recipiente e alla negazione della sua affettività ed
emotività perché lei quel bambino, che ha portato in grembo per nove mesi, non
lo vedrà mai o se lo vedrà sarà solo per gentile concessione della coppia
adottante, etero od omo che sia. Né sono d’accordo con chi giubila perché in
questi casi è comunque “nato un bel bambino”. Un “bel bambino” può nascere
anche da uno stupro ma ciò non sana la violenza che gli sta a monte[4].
“I
desideri non sono diritti” - ricorda il cardinal Vallini - e
soprattutto, “non è compito dello Stato” far diventare diritti delle aspirazioni.
Ancor più quando si tratta di bambini, il cui interesse “deve essere in primo
piano”, e di donne “costrette dalla povertà alla turpe pratica dell’utero in
affitto”. Il bambino, ha scritto su Facebook Vannino Chiti, “è soggetto
di diritti, non un mero oggetto di desideri”.
Secondo Carlo Maria Martini si deve seguire il
criterio del “di più” (magis):
occorre cioè “assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente
possibili. Quando è data la possibilità di scegliere, occorre scegliere il
meglio”. E il meglio, per quanto riguarda l’adozione, consiste in “una famiglia
composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità”[5].
Così
anche papa Francesco, riallargando il discorso:
«la rivoluzione biotecnologica nel campo della
procreazione umana ha introdotto la possibilità di manipolare l’atto
generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna.
In questo modo, la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà
componibili e scomponibili, soggette prevalentemente ai desideri di singoli o
di coppie» (RF 33). (…) Non cadiamo nel peccato di pretendere di
sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci
precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a
custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla
come è stata creata[6].
Elton John contro Dolce & Gabbana e il caso Gammy
Ha fatto scalpore la diatriba scoppiata nel marzo
2016 tra Dolce & Gabbana, stilisti gay dichiarati, e Elton John che oltre
ad essere gay, è anche “sposato” con un uomo con cui condivide due figli nati da
una madre surrogata grazie alla fecondazione artificiale. Questa è la dichiarazione di Domenico Dolce che ha fatto infuriare sir
Elton John che ha subito invocato il boicottaggio dei loro prodotti:
Non
l’abbiamo inventata mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma
non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e
una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli
che io chiamo figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi
scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre.
Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti
ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni.
La replica della star inglese non si è
fatta attendere: “Ma come si permettono di definire i miei figli “bambini
sintetici”. Il loro è un pensiero antico, per nulla al passo coi tempi, proprio
come la loro moda. Non indosserò mai più un vestito di Dolce& Gabbana”. Il
post ha ricevuto in poco tempo oltre 3mila like e migliaia di commenti solidali[7].
Altro
caso, senza uguale scalpore: nell’agosto del 2014 una coppia di australiani che si è recata in Thailandia per avere un
figlio con l’utero in affitto si è poi rifiutata di prendere entrambi i gemelli
concepiti perché uno, Gammy, era affetto da sindrome di Down. La madre
surrogata ha dichiarato di aver accettato il “lavoro” per guadagnare i circa 12
mila euro promessi: con questi – ha affermato - avrebbe potuto mantenere i suoi
due figli e pagare i debiti. Al settimo mese, però, è stata contattata
dall’agenzia che ha organizzato la maternità surrogata: «Mi hanno chiamata e mi
hanno detto che i genitori volevano che abortissi perché il bambino aveva la
sindrome di Down. Io non lo sapevo ma ho detto loro che non l’avrei fatto».
Secondo la donna, una giovane di 21 anni, la coppia australiana è stata un mese
in Thailandia dopo la nascita dei gemelli ma si è rifiutata di prendere con sé
Gammy, tenendo solo la gemellina sana.
Il caso ha aperto molti interrogativi sulla
pratica della maternità surrogata. La madre, che ha deciso di tenere il
bambino, ha dichiarato: «Mi sento in colpa per Gammy. Non è colpa sua. Perché
lui deve essere abbandonato mentre sua sorella no?»[8].
Il figlio
conteso
Un altro caso emblematico si sta ancora consumando
in Inghilterra dove una madre di cinque figli acconsente di fare da madre
surrogata per una coppia gay, con il seme di uno dei due e l’ovocita di
un’altra donna. Il bambino nasce nel 2016, ma la donna cambia idea e decide di
tenersi il bambino. La coppia gay, forte di un accordo tra le parti, fa ricorso
al tribunale per avere il bambino che nel frattempo, fra ricorsi e appelli,
cresce con la madre che lo ha fatto nascere. Dopo 18 mesi la corte di appello
decide che il bambino sia affidato al “genitore biologico” e quindi alla coppia
omosessuale, consentendo alla donna che lo ha portato in grembo e a suo marito
(“genitori legali”) di vederlo sei volte all’anno. Il criterio di valutazione è
stato che, per il bambino, la cosa migliore (il “best interest”) era crescere con almeno un genitore biologico. Un
giudizio “salomonico” lo definisce il giornalista Scandroglio nella Nuova
Bussola Quotidiana[9], richiamando quanto narrato nel Libro dei Re, quando due donne si
presentano al cospetto del re Salomone rivendicando la maternità dello stesso
bambino. Per risolvere la questione il re decide di far tagliare a metà il
bambino per darne metà a ciascuno. Come previsto la vera madre lo supplica di
consegnare il bambino all’altra donna pur di lasciarlo vivere e il re può così
fare giustizia. Cosa potrebbe inventarsi oggi il saggio re Salomone per
districare situazioni così ingarbugliate?
[3] Thomas Malthus, è lo studioso che già alla fine del
XVIII secolo sosteneva la necessità di limitare le nascite per non far crescere
la povertà. Teorizzò a partire dagli anni 60 la diffusione di massa delle
pratiche anticoncezionali per disinnescare quella che veniva chiamata la «bomba
demografica».
[5] Cit. in A. Fumagalli, La questione gender, Queriniana 2015, p.89.
[6] Papa Francesco, AL, n.56