Omelia per la XIII domenica del tempo ordinario: "chiamati a libertà".
Nel momento in cui decide questo percorso, Gesù manda avanti a sé dei messaggeri. Informa del suo passaggio, in modo che la gente possa decidere a sua volta quale posizione assumere nei suoi confronti. Cristo passa ancora nella nostra vita e noi non possiamo esimerci dal decidere come vogliamo collocarci rispetto a lui. Vogliamo permettergli di passare attraverso la nostra vita o preferiamo rifiutare la sua presenza nel nostro territorio? Alcuni samaritani infatti decidono di impedirgli di passare attraverso il loro villaggio. Non possiamo certamente illuderci che nella nostra vita tutti saranno disposti ad accoglierci. Ma soprattutto dobbiamo esaminarci sulla modalità in cui noi reagiamo quando ci sentiamo rifiutati. Giacomo e Giovanni sono immagine dell’intolleranza, sono l’esempio, molto frequente, di chi non accetta di non essere apprezzato e osannato. Solo perché stanno camminando con Gesù, Giacomo e Giovanni si sentono autorizzati a bruciare il nemico. (G. Piccolo)
l’amore non pretende niente e non costringe nessuno; l’amore non è un’imposizione e non ci si sorprende di non essere accolti, ma consiste nell’accogliere, anche l’ottusità dell’altro, il suo rifiuto. Chi non sa accogliere un rifiuto non sa amare. Dio si prende quotidianamente i nostri “no” distratti e continua a volerci bene… (F. Rosini)
Dio non si vendica mai. È l'icona della libertà, difende perfino quella di chi non la pensa come lui. Difende quel villaggio per difenderci tutti. Per lui l'uomo viene prima della sua fede, l'uomo conta più delle sue idee. (E. Ronchi)Liberi dal passato e dalle relazioni che ci bloccano. Liberi dal "si stava meglio quando si stava peggio", quando ci lamentiamo che le cose vanno sempre peggio e non si può andare avanti così. Liberi dalle nostalgie del passato.
L’amore non si scoraggia e Gesù continua a camminare. Ma va seguito e così emergono altri problemi. Un tale dice a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada» – sembrerebbe una cosa buona, ma Gesù deve chiarire dove va: la destinazione non è un posto su questa terra. Un atto cristiano non è veramente tale se non ha una dimensione escatologica, un orientamento verso il Regno dei cieli. San Paolo dice: «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19). Tutti coloro che pensano che, seguendo Cristo, su questa terra torneranno i conti, si sbagliano di grosso. Questo mondo o lo relativizzi e lo capisci come il preludio della pienezza, che è il cielo, altrimenti si è nell’inganno e arriveranno molte delusioni. «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Chi pretende di amare per arrivare a una tana o a un nido, è solo un utilitarista. L’amore non fa calcoli... (F. Rosini)Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido non potrà essere suo discepolo. Per decidere occorre saper tagliare e lasciare: liberi per qualcuno e non solo liberi da qualcuno.
Decidere vuol dire anche avere la capacità di separarsi dal proprio passato. Non ci si può rinchiudere nei sepolcri della propria storia. La memoria deve spingerci ad andare avanti. Se ci blocca e ci impedisce di andare avanti, vuol dire che è una memoria malata, di cui siamo diventati prigionieri, proprio come il tale che esita a seguire Gesù perché prima vuole seppellire il proprio padre. Anche le relazioni rischiano di diventare una gabbia quando ci trattengono. Se i legami ci legano allora vuol dire che non sono sani. Un legame fecondo lascia liberi. Il tale che vuole prendere prima congedo dai suoi genitori e poi seguire Gesù, in realtà non è un uomo libero. Dietro quella esitazione, Gesù scorge una mancanza di coraggio. (G. Piccolo)
Gesù invita a non voltarsi indietro, come chi, avendo messo mano all’aratro, si volge ossessivamente a guardare se il solco che ha tracciato è diritto o meno. La vita non è mai lineare, ma è fatta anche di pietre e di buche che rendono più autentico, anche se meno preciso, il tracciato della nostra esistenza. L’aratro è un simbolo presente già nella tradizione di Israele. In particolare è lo strumento con il quale sta arando Eliseo quando viene investito del ministero profetico da parte di Elia (1Re 19,19-21). È significativo che quell’aratro sia bruciato per cuocere la carne che verrà offerta alla gente. È il segno della decisione che è avvenuta nel cuore di Eliseo. Egli è pronto a trasformare la sua vita: l’aratro diventa legna da ardere. Eliseo si congeda dal passato. Per questo Elia non è preoccupato del desiderio di Eliseo di andare a baciare il padre e la madre: si tratta in questo caso solo di un passaggio che non attenta alla sua libertà. (G. Piccolo)