XXV domenica del tempo ordinario: il mio Dio è umanamente "ingiusto" perchè è divinamente misericordioso
Ancora sul rapporto tra giustizia e misericordia: domenica scorsa Gesù ci ha proposto la parabola del padrone che fa i conti con i suoi servi e condona ogni cosa al servo che gli deve una cifra esorbitante, impossibile da restituire. Questo servo "subito dopo" si appella alla giustizia senza misericordia nei confronti di un suo debitore che gli deve una cifra ben più misera.
Oggi Gesù ci propone la parabola di un proprietario di una vigna che esce a tutte le ore per chiamare a lavorare alla sua vigna.
Oggi Gesù ci propone la parabola di un proprietario di una vigna che esce a tutte le ore per chiamare a lavorare alla sua vigna.
La prima immagine riguarda proprio il padrone-Dio: esce incessantemente per cercare
collaboratori! E non tanto per necessità: anche quando il lavoro giunge al
termine continua ad invitare a raggiungere gli altri lavoranti, per non
lasciare disoccupato nessuno. Sembra uscire con l’intento di non lasciare a
mani vuote nessuno.
Dio chiama. E lo fa instancabilmente. Ci
invita a collaborare al suo Regno, come operai che si mettono con impegno al
lavoro e lo fanno con l’entusiasmo di chi sente di fare qualcosa di grande.
Dio ci chiede di far nostra la sua
impellenza a non lasciare nessuno disoccupato. Invitiamo gli altri a
collaborare? Trasmettiamo questa gioia e questa riconoscenza per il lavoro che,
per grazia di Dio, facciamo?
Conoscete la storiella dei tre
tagliatori di pietre impegnati nella costruzione di una cattedrale medioevale?
A tutti e tre fu rivolta a turno la stessa domanda: “che stai facendo?” “lo
spaccatore di pietre”, rispose il primo con tono arrabbiato e frustrato; il
secondo rispose: “Mi guadagno da vivere”. Il terzo rispose con orgoglio: “Sto
costruendo una grande cattedrale”. Tutti facevano gli stessi atti ma solo uno
scopriva un senso ultimo e non frammentario. Quante volte rischiamo di lavorare per il Regno e di sentirci solo dei frustrati che lavorano per obbligo o per abitudine e non dei collaboratori di un'opera divina e meravigliosa.
L’ultima annotazione della parabola
riguarda le reazioni degli operai della prima ora: mormorano contro il padrone che è stato, ai loro occhi, ingiusto, li ha trattati "come loro", come coloro che sono arrivati alla fine e non si sono impegnati come loro.
Gli
operai mormorano: “non è giusto che la paga di noi, che abbiamo lavorato tutto il
giorno, sia la stessa di coloro che hanno lavorato solo per poche ore”. Non è
giusto essere considerati “come loro”: noi valiamo di più e meritiamo di più!
La giustizia umana è punitiva, retributiva e meritocratica; quella di Dio è
misericordiosa.
Le lamentazioni sono continue:
quelle di noi sacerdoti oppressi dalla mole del lavoro e troppo spesso
insoddisfatti per le difficoltà che si incontrano; quelle dei collaboratori più
stretti spesso insoddisfatti e invidiosi degli altri.
Ma ci ricordiamo che abbiamo ricevuto un
dono grande? Un privilegio unico? Quello di essere collaboratori di Dio, uomini
e donne che hanno ricevuto un senso grande per la loro vita? Ci rendiamo conto
che abbiamo il privilegio di non rimanere inerti e insoddisfatti ad attendere
invano qualcuno che ci chiami a giornata?
Chi di noi non sente un po’ di disagio
per il modo di ragionare di Dio che non accetta di ripagarci secondo il nostro
impegno, ma dona a tutti la stessa ricompensa? Quante volte ci muoviamo secondo
il principio “do ut des”: do qualcosa a Dio per la ricompensa che posso trarne?
Chi non ha, in fondo, la convinzione che pregando tutti i giorni e venendo a
Messa ogni domenica dobbiamo in cambio aver un trattamento di favore? Questa
grande “fatica” non merita di avere un contraccambio adeguato e maggiore di chi
si “gode” la vita? Ma è veramente la nostra una fatica e quella degli altri un
godimento?
“Le vostre vie non sono le mie vie, i
vostri pensieri non sono i miei pensieri”
“In realtà Dio non è ingiusto verso i primi, ma
generoso verso gli ultimi” (E. Ronchi)[1].
[1] Esempio dei genitori che cercano di essere equi e
giusti nei confronti dei loro figli, ma inevitabilmente si ritrovano a dare più
attenzioni (e a volte più aiuti economici) ai figli più disagiati, pur sapendo
che questo comportamento scatenerà il malcontento degli altri che, per “invidia”
si lamentano per l’ingiustizia ricevuta. Ma dimenticano che l’amore è “ingiusto”,
fa preferenze, predilige i più deboli.
Dio non è un Padrone, bensì un Padre;
non cerca il proprio interesse, ma quello dei suoi figli; non cerca la
giustizia umana retributiva (ti do quanto meriti, dare a ciascuno il suo), ma
la generosità di chi ti dona gratuitamente, ben aldilà dei tuoi meriti. Non
toglie nulla ai primi, aggiunge agli altri. Non ti toglie nulla, bensì ti dona
tutto.
“Se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti”[1].
Dio
vuole che tutti gli operai trovino lavoro e che possano portare a casa il
necessario per far mangiare la propria famiglia: la sua giustizia è
misericordiosa perché tiene conto del bisogno dell’altro e non solo dei suoi
meriti. Perché ama l’altro e ha compassione delle sue sofferenze e dei sui
limiti.
La morale cristiana – ci ricorda ancora papa Francesco - è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende[2].