La storia natalizia buona è rimbalzata alla cronaca nazionale grazie a Gramellini che la racconta nella sua rubrica quotidiana per il Corriere della Sera: "La Messa non è finita" (15 dicembre 2018):
Se cercate una storia di Natale, questa non la batte nessuno. C’è una famiglia braccata, ci sono i pastori e, al posto della capanna, direttamente una chiesa. La famiglia braccata si chiama Tamrazyan, marito, moglie e tre bambinelli piuttosto cresciuti: il più giovane va al liceo. Sono scappati dall’Armenia per salvare la pelle, ma dopo nove anni di protezione il governo olandese ha esaurito la quota prevista di rifugiati e ha invitato i Tamrazyan a tornarsene in patria. E qui entra in scena il primo pastore, Axel Wick, ministro di culto protestante all’Aia. Padre Wick ne sa una più del diavolo e si ricorda di una norma che vieta alla polizia di entrare «nei luoghi destinati a riunioni religiose, o riflessive di natura filosofica, durante le cerimonie o le riflessioni». Una legge che mette sullo stesso piano una funzione religiosa e un simposio di liberi pensatori spiega perché il Nord Europa rimane il lembo più evoluto del pianeta. Ma non divaghiamo. Il pastore dell’Aia recupera le liturgie degli ultimi dieci anni, le rilega in un unico gigantesco papiro e, alle 13 e 30 del 26 ottobre, davanti alla famiglia Tamrazyan al completo, si mette a dire messa. Dopo cinquanta giorni non ha ancora smesso un minuto. Preti e laici di tutte le fedi e di tutte le lingue si danno il cambio sull’altare.
Fuori dalla chiesa, la polizia aspetta che smettano. Dentro la chiesa, i pastori aspettano il miracolo. Forse non si rendono conto di averlo già fatto.
La storia cattiva, che si ripete ciclicamente, è avvenuta in una scuola di Viterbo e ci parla ancora del laicismo stupido di chi teme di offendere le altre culture annullando la propria:
Maestra toglie Gesù da canzone di Natale: diocesi di Viterbo, “questione di rispetto della nostra identità e prima ancora di buon senso” (Agenzia Sir)
“Come comunità ecclesiale condividiamo lo stupore e la meraviglia delle famiglie, delle istituzioni civili e di quanti faticano a capire la logica di una scelta didattica che contraddice il ruolo stesso della scuola, chiamata ad offrire un’educazione aperta ed inclusiva e non esclusiva soprattutto di ciò che costituisce la nostra identità e le nostre radici più profonde”. Lo afferma don Luigi Fabbri, vicario generale della diocesi di Viterbo, in merito a quanto accaduto in una classe della scuola elementare dell’Istituto comprensivo “Ildovaldo Rodolfi” di Tuscania dove una insegnante ha tolto dalla canzone di Natale la parola “Gesù” sostituendola con “laggiù”. Il vicario ricorda che “l’integrazione è un dovere, ma, come ha affermato recentemente Papa Francesco, ‘nella misura in cui non sia una minaccia contro la propria identità’.
Scelte di questo genere riteniamo siano offensive proprio di coloro che si vorrebbe rispettare, in quanto considerati, in pratica, incapaci e non all’altezza di discernere e accogliere con serenità la ricchezza della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni”. “Ci chiediamo – conclude don Fabbri – se, in base a certi criteri, a scuola si potranno più insegnare la Divina Commedia e i Promessi Sposi. Se i testi di storia dell’arte dovranno essere censurati. Se bisognerà riscrivere la storia. Se certi capolavori della musica si potranno più ascoltare. Se dovrà essere rivisto il calendario, dal momento che contiamo gli anni dalla nascita di Cristo. Ci auguriamo che il testo venga cantato nella versione originale, senza censure e, soprattutto, senza paure. È questione di rispetto della nostra identità, e, prima ancora, è buon senso”.