San Giovanni Evangelista e il "discepolo amato"
IL DISCEPOLO AMATO
(Gv 13,23; 18,15-18; 19,25-27; 21,7.22)
L’evangelista Giovanni fa più volte
riferimento a un discepolo misterioso che chiama “il discepolo che Gesù amava”. Alla fine del Vangelo – nelle
conclusioni che sono attribuite ad altro autore – si afferma che tale discepolo
sia Giovanni stesso che sta scrivendo (Cfr. 21,24).
Questa formula «il discepolo che Gesù amava» compare
solo nell’ultima parte del Vangelo e ricorre in quattro momenti precisi e
fondamentali: quelli della passione, morte e resurrezione di Gesù. Lo troviamo
nell’ultima cena (13,23), nella passione (18,15-18) e fin sotto la croce
(19,25-27). All’annuncio della risurrezione è il primo a giungere al sepolcro
(20,2-9), e poi a guidare la fede di Pietro nel riconoscere Gesù nell’ultima sua
apparizione sul lago (21,7).
Mi piace pensare che anche il discepolo amato sia
ciascuno di noi: anche noi invitati a sentirci amati in modo particolare e
personale anche se non esclusivo, avendo egli dato, consapevolmente, la vita
per tutti (e non solo per i discepoli).
L’amicizia è fatta di preferenze, di scelte che non
necessariamente escludono o discriminano gli altri: così non stupisce che Gesù
abbia scelto alcuni e non altri, un gruppo di apostoli nel nutrito gruppo di
discepoli, e fra gli apostoli tre in particolare (Pietro, Giovanni e Giacomo) a
condividere con lui i momenti più significativi.
Gesù è riconosciuto come Maestro, ma a differenza
dei maestri del tempo non sono gli alunni a sceglierlo, ma è lui a scegliere i
suoi discepoli, testimoniando come il discepolato sia innanzitutto una chiamata
all’amicizia, ad un rapporto d’amore reciproco che ha in lui la sorgente.
Le risposte degli uomini vanno dal rifiuto
all’accoglienza, con la possibilità, anche in quest’ultimo caso, del
rinnegamento o addirittura del tradimento. L’accoglienza, e quindi l’amore per
Gesù, può essere di diversa misura: piena, tiepida, crescente o decrescente: c’è
in gioco l’amore divino e la libertà umana.
L’unicità del
discepolo amato (“quel discepolo che”)
è caratterizzata dalla relazione d’amore con Gesù: un amore non occasionale, ma
continuo e stabile (“amava”, all’imperfetto).
Egli è allora il modello esemplare del discepolo, come Gesù sembra dire
nell’ultima cena: discepolo perfetto è colui che osserva i suoi comandamenti e
rimane nel suo amore (cfr. 15,8-10).
Nella mensa
dell’ultima cena, il discepolo che Gesù amava è descritto seduto a fianco a
Gesù con il capo piegato e la testa appoggiata sul petto di Gesù. È un gesto
tenerissimo che esprime affetto e comunione e che descrive il vero discepolo:
colui che ha un rapporto intimo, personale, affettuoso e fiducioso con il
Maestro.
p. Stefano Liberti, Il Vangelo dell'amore