Santi contemporanei italiani
Nella solennità di tutti i Santi vi propongo le conclusioni del mio nuovo libro:
Italiani santa gente: I candidati italiani alla santità vissuti dopo il 1970
Da
anni, come ormai succede in tante parrocchie, proponiamo un piccolo momento di
riflessione e preghiera settimanale per meditare le letture della domenica
successiva. Lo chiamiamo “Lectio divina”, anche se i monaci che la
praticano avrebbero da ridire su questa denominazione. Preparando la solennità
di Pentecoste è emersa una domanda che è spesso presente: ma lo Spirito che ha
dato inizio alla Chiesa e ha trasformato i primi discepoli in testimoni
credibili e coraggiosi, ha smesso di soffiare? Dov’è finita l’azione di Dio
nella realtà della nostra chiesa occidentale ingessata e in crisi? La Chiesa
oggi appare un’istituzione vecchia, obsoleta, gravata da scandali e
compromessi.
Spero
che questo libro abbia mostrato una Chiesa diversa, dove continua l’effusione
dello Spirito che soffia liberamente in chi lo accoglie e vi si lascia guidare.
Uno Spirito che non ha abbandonato il nostro paese, così come ogni altro paese,
ma richiede ancora persone carismatiche capaci di trascinare, con la forza del
loro esempio e della loro vita entusiasmante, altre persone a seguire il
Signore.
Dove
c’è vita si attrae vita: dove ci sono persone veramente vive, capaci di volersi
bene e di voler bene a chi gli passa accanto, lì una forza attrattiva spinge
altre persone a fermarsi, a dissetarsi, a chiedersi cosa abbiano di speciale quelle
persone, perché ci smuovano interiormente e ci spingano ad imitarne la vita, o
comunque a cercare per la nostra vita qualcosa e Qualcuno per cui valga la pena
donarla. Dove non c’è vita (o vitalità) si perde ogni entusiasmo, si diventa
sterili, tristi, vuoti, spinti a cercare altrove rimasugli di vita, anche da
chi la vita la promette, ma non la può donare.
L’Italia
è ricca di carismi, di spinte entusiasmanti e di novità che emergono dalle
radici della tradizione. È ricca di uomini e donne di qualsiasi età e
condizione sociale o istruzione che stanno rinnovando la faccia della terra,
che portano avanti un fuoco che si è forse affievolito, ma sicuramente non si è
spento. Che si fanno lievito o sale, invisibile, ma essenziale. Uomini e donne
sconosciuti ai più, che in genere non appaiono al mondo, ma che sono come il
sangue che scorre nelle vene: invisibile, ma garante di vita.
Ripensando
alla comunità parrocchiale che ho l’onore di guidare da qualche mese, mi capita
di pensare che la prospettiva di un parrocchiano sia, - anche a causa di noi
preti - troppo limitata. Venendo in parrocchia solitamente hanno davanti a loro
il sacerdote o, quando va meglio, una comunità presbiteriale che vive in
sintonia. Difficilmente o solo raramente hanno anche lo sguardo rivolto verso
gli altri. Quando capita vedono soltanto un gruppo di persone che condividono
la Messa o qualche momento di preghiera o qualche iniziativa, ma mai hanno uno
sguardo globale sulla comunità, come dovrebbe averla (ed ha la possibilità di
averla) un sacerdote.
A volte
ancora hanno accanto delle persone di cui hanno una fugace impressione, spesso
centrata sui difetti più che sui pregi. Magari si conoscono già, ma solamente
per via di litigi condominiali o di qualche pettegolezzo.
Un
sacerdote – e ancor più un parroco - ha davanti un popolo (per quanto sia
costituito da una minoranza rispetto agli abitanti del territorio parrocchiale)
e spesso – in particolare nelle confessioni – ha davanti una persona che si
apre, si fida, si mostra nella sua interiorità. Quante splendide persone,
limitate come tutti noi, mi capita di incontrare ogni giorno. Quanta
generosità, quanta ricerca sincera, quanta fede. Quanta bella umanità che cerca
un po' di refrigerio e di alimento spirituale dopo una settimana di intensa
vita lavorativa e familiare.
Osservo
le sporadiche famiglie che si sforzano di frequentare, tutti insieme, la Messa
domenicale: non temono più di tanto che i piccoli disturbino, anche perché
sanno educarli al rispetto dell’ambiente e, quasi magicamente, forse per la
forza dell’abitudine che si crea in poco tempo, i piccoli sono capaci di
giocare quasi in silenzio. Li richiamano magari per fargli osservare qualcosa
che avviene durante la Messa, sussurrandogli agli orecchi parole semplici che
spieghino al bambino cosa sta succedendo. Magari, crescendo, anche quel bambino
si allontanerà dalla Chiesa, ma qualcosa – ne sono sicuro – continuerà a
crescere in lui e, come una pianta, porterà alla sua vita, nella stagione
giusta, dei frutti.
Sicuramente
per una parrocchia avere delle famiglie cristiane, imperfette, ma che
sinceramente si sforzano di fare un cammino di fede, è una ricchezza immensa.
I Gen Rosso,
un complesso musicale nato all’interno del movimento dei Focolari, cantavano
negli anni ‘70 “Un’altra umanità”. Dopo aver elencato i mali della società, ed
essersi chiesti “dove andremo a finire”, rispondevano:
Credo in un’altra
umanità: quella che non grida, quella che non schiaccia per emergere sull’altra
gente (…). Credo in questa umanità che vive nel silenzio, che ancora sa
arrossire, sa abbassare gli occhi e sa scusare. Questa è l’umanità che mi fa
sperare.
Questa
umanità (“che spesso incontro per la strada, che va controcorrente, che sa dare
anche la sua vita per morire per la propria gente”) fa sperare nel futuro della
Chiesa e in quello del mondo intero: finché ci sono delle persone che, più o
meno inconsapevolmente, camminano verso la santità, c’è speranza che qualcuno sia
illuminato dal loro esempio. Attraverso di loro si scopre che Dio è presente, è
con noi e realizza i suoi progetti d’amore nei confronti dell’umanità amata. Ma
ha bisogno del nostro contributo, della nostra disponibilità: essere le braccia
di Dio, ricevere la sua forza per trasformare il deserto arido del mondo in un
luogo fertile, accogliente, vivo.