"Squid game": sulla serie tv Netflix (da un punto di vista cattolico)
Ho visto anch'io, come milioni di altre persone nel mondo, la serie-tv evento dell'anno: Squid game. Una serie artisticamente ben fatta, dal ritmo incalzante, in lingua originale (coreano!). Violentissima: un vero e proprio gioco al massacro condotto da 456 disperati reclutati per affrontarsi in giochi da bambini, ma dai risultati agghiaccianti. Solo 1 concorrente rimarrà in vita!
Ne hanno parlato tutte le maggiori testate cattoliche che hanno messo in rilievo il pericolo per i più piccoli e ribadito il dramma di bambini lasciati soli a vedere e scegliere quello che più li attira, anche se nocivo. E' vietato ai minori di 14 anni (ma è ben facile aggirare l'ostacolo), mentre si chiedeva il divieto ai minori di 18 anni.
Ne parla su Romasette lo psichiatra Tonino Cantelmo, insieme al figlio 24enne (quindi con due punti di vista diversi). Ne parla Aleteia con un'ampia riflessione di Annalisa Teggi. Ne parla su Avvenire Andrea Fagioli, mentre su Famiglia Cristiana si rilancia la petizione della Fondazione Carolina per bloccare la visione della serie tv:
Quello di Fondazione Carolina non è un atto censorio, ma risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei parental control e alla crisi della genitorialità. Una debacle messa nudo dai social e, soprattutto, dalle decine di segnalazioni che gli esperti per la sicurezza e il benessere digitale delle nuove generazioni hanno raccolto da tutta Italia. “Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game». “A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell’aula perché ha perso a Squid Game, non vuole più uscire di casa. “I miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game”. Sono solo alcune delle testimonianze arrivate a Fondazione Carolina; un campione allarmante rispetto ad una serie che racconta violenza, alienazione e dipendenze con la semplicità dei giochi d’infanzia.
Anche il prof. Alfredo Altomonte evidenzia i pericoli per i più piccoli e lo fa pubblicando un articolo su Interris.
Perché tutto questo può piacere? Si domanda Cantelmo su Romasette.
A mio parere può piacere solo perché si tratta di una esasperazione grottesca della realtà ma agganciata ad una profonda verità: il mondo è sempre più competitivo, chi perde è fuori. I nostri adolescenti e i nostri giovani lo sanno benissimo: chi è perdente, chi è disadattato, chi è lento, chi è riflessivo, chi non è smart è immediatamente fuori dai social, dai gruppi, dai contesti aggregativi. Il mondo è sempre più competitivo ed è sempre più sganciato da ogni valutazione morale: la vita può valere così poco da essere messa in gioco con una probabilità praticamente vicina allo zero di vincere. Ma da dove nasce tutto questo? Dalla noia. L’organizzatore del gioco afferma che tutto questo è stato creato per puro divertimento, per lo svago dei più ricchi. Quindi, tutto questo cinismo solo e unicamente per colmare un profondo senso di vuoto e noia. Sarà per questo che giovani e giovanissimi si sono appassionati e lo emulano così tanto? Tuttavia anche in questa serie c’è un lampo di umanità. Non voglio spoilerare troppo il finale ma il vincitore, in fondo, è la persona più umana, mentre i perdenti sono tutti profondamente disumanizzati. Nel finale siamo fiduciosi perché c’è il riscatto dell’umano… ma che qualcuno si prenda la briga di spiegarlo anche ai più giovani.