Il Natale sul Corriere (di oggi)
Sul sito compare anche una riflessione più spirituale di Padre Ezio Fortunato: "A Natale bisogna riscoprire il valore dell'attesa":
L’ uomo occidentale, scrivono Giuseppe De Rita e Antonio Galdo nell’illuminante libro Prigionieri del Presente, vive una specie di crisi antropologica. Non governa la modernità, ha smarrito la sua bussola più preziosa: il rapporto con il tempo. Non esiste più l’eterno, l’Alto, l’altro, la prospettiva. Esiste l’ eterno presente, nuova schiavitù. In questo momento quanti di noi stanno guardando il cellulare? Non solo siamo vittime del presente, ma non siamo neanche più presenti a noi stessi e a chi ci sta di fianco.Un senso di caos ci pervade: siamo deboli, fragili, aggrappati all’ inseguimento degli istanti e degli istinti. Rischiamo di vivere un tempo senza memoria, senza slanci, che diventa liquido ed evapora nell’affanno dell’attimo breve, anzi brevissimo, che è il presente. E pensare che la parola fretta, vera diva dell’ eterno presente, deriva dal latino fregare. In un certo senso, segnala la sorte dell’uomo che così rimane fregato. Natale è contrapporre con forza alla fretta il verbo attendere, carico di speranza, oggi più che mai necessaria. In questi momenti giunge un messaggio di pace che ci induce a fermarci e a chiederci: chi attendiamo? È necessario irrobustire la nostra umanità e spingerci a ricominciare. Sempre.Un messaggio, quello del Natale, che illumini le nostre strade e ci renda quelli che non hanno paura del buio, proprio perché dentro la notte, per chi spera, c’è un mondo in stato di febbrile e appassionata attesa: il fornaio col suo lievitare il pane, il camionista nella piazzola dell’ autogrill, il frate nel silenzio claustrale della sua cella, la mamma nell’ angosciante attesa del ritorno del figlio.
*direttore sala stampa Sacro convento di Assisi.Nella riflessione di D'Avenia c'è una lunga citazione di quanto lo scrittore David Foster Wallace, attentissimo al desiderio umano, nel 2005 diceva ai laureati del Kenyon College:
«Ecco una cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza non c’è posto per l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo riguarda che cosa adorare. Forse la ragione più convincente per scegliere un dio o qualcosa di spirituale da adorare è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivi. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Adorate il potere e finirete per sentirvi deboli e impauriti, avrete bisogno di sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. L’insidia di queste forme di adorazione è che rispondono a un bisogno di base, le assecondiamo lentamente, diventando sempre meno aperti riguardo a ciò che vogliamo vedere e a come valutarlo».E così chiosa il suo intervento:
La parola bambino, pais nel testo di Luca, significava anche «servo». Dio si fa bambino e servo. Questo è la via del rinascere: ricevere e servire. La vita «per sempre» è solo la vita «sempre per», ogni giorno. È la cosa più bella che mi sia capitata, perché mi consente di non stancarmi del quotidiano e di trovarvi sempre nuova linfa, gioia e non ansia. Ho trovato un amore che mi libera dall’ansia di pretendere vita a pugni chiusi invece di attendere, con mani aperte, di riceverla. Ho trovato un amore che mi libera dalla fatica di contendere la vita agli altri invece di tendere mani gentili come si fa con un bambino appena nato. «Vita per sempre» è potermi sentire «sempre amato», in ogni istante e circostanza, da un amore ma stufo di me e contagioso, perché mi educa a diventare, con i miei limiti, «sempre per» gli altri.
Il letto da rifare oggi è cercare la via all’albero della vita, di cui quello natalizio è solo un simbolo. Quest’ultimo lo inventò san Bonifacio, vescovo della Germania, nel 724 d.C., quando salvò un bambino che stava per essere sacrificato sotto la quercia sacra a Thor da una tribù in cui s’era imbattuto. Per raccontare loro del Dio, che non vuole morte ma vita e viene tra gli uomini proprio come bambino, indicò loro un piccolo abete come segno: della vita senza fine, perché le foglie sono sempre verdi; di protezione, perché di legno d’abete erano fatte le loro case; della direzione in cui ad-orare perché la sua cima dritta verso l’alto indica il Padre del cielo. Così l’abete venne addobbato in segno di festa per il bambino salvato e d’attesa per il Bambino che salva. Il mio augurio di Natale è che possiate ricevere vita stando dentro la vita. Solo questo fa vivere, per sempre e sempre per, ogni giorno.