Il sabato santo (al tempo della pandemia)
Dal mio libro "La Chiesa italiana al tempo del covid-19"
Gianfranco Brunelli, ha definito questa esperienza di
quaresima in quarantena un lungo sabato santo, l’unico giorno a-liturgico,
quello sospeso tra l’angoscia per ciò che è avvenuto e la speranza per ciò che
avverrà:
Siamo entrati in una lunga vigilia,
un’interminabile veglia notturna. È il Sabato santo della fede, il giorno
a-liturgico per eccellenza, un tempo denso di sofferenza, di smarrimento,
d’attesa e di speranza, che sta tra il dolore della croce e la gioia della
Pasqua. Il giorno del silenzio di Dio[1].
In un successivo articolo riprende
l’immagine:
È il giorno del Triduo
pasquale che più trascuriamo, presi dalla fremente attesa di passare dalla
croce del venerdì all’alleluia della
domenica. Quest’anno, però, avvertiamo più che mai il Sabato santo, il giorno
del grande silenzio. Possiamo specchiarci nei sentimenti delle donne in quel
giorno. Come noi, avevano negli occhi il dramma della sofferenza, di una
tragedia inattesa accaduta troppo in fretta. Avevano visto la morte e avevano
la morte nel cuore. Al dolore si accompagnava la paura: avrebbero fatto anche
loro la stessa fine del Maestro? E poi i timori per il futuro, tutto da
ricostruire. La memoria ferita, la speranza soffocata. Per loro era l’ora più
buia, come per noi[2].
Anche il sociologo Mauro Magatti su Avvenire, ha colto il
valore simbolico del sabato santo:
Questo Sabato per i cristiani è un giorno di veglia. Di silenzio e
attesa. Tra il sepolcro e la resurrezione. Simbolo potente della nostra stessa
condizione umana, questa giornata assume un valore ancora più intenso in questi
mesi di coronavirus. Siamo infatti sospesi. Tra il dolore delle ultime
settimane e la tensione verso un futuro di cui non riusciamo ancora a vedere né
i tempi né i contorni[3].
E conclude con amaro realismo: “Quest’anno il Sabato santo non durerà solo
24 ore. Ma si estenderà per i prossimi mesi. Forse per i prossimi anni. (…) In
attesa di quel domani che deve ancora venire, e che verrà: la Pasqua di
Resurrezione”[4].
In tono simile si è espresso anche
il gesuita p. Gaetano Piccolo:
Sabato santo, il giorno
che precede la Pasqua, è un giorno di silenzio e di attesa. Sembra che tutto si
fermi, persino il respiro della terra. Nelle ore buie dell’umanità, come quella
che stiamo vivendo in questo momento a causa dell’epidemia da Covid-19, ritorniamo
a percepire la tenebra che avvolge il mondo. (…) Il lungo sabato santo che
stiamo vivendo nel 2020 ci ha portato un messaggio inequivocabile: o ci
salviamo insieme o non si salva nessuno! È come se il vero antidoto a questo
virus fosse la solidarietà: ciascuno è chiamato ad autoisolarsi affinché il
male possa morire. Al contrario, quello che fa vivere il virus è l’egoismo: se
ciascuno pensa a sé stesso, al proprio interesse, al proprio piacere, se
ciascuno mette il proprio punto di vista al di sopra dell’interesse di tutti,
il virus si diffonde, diventa sempre più forte e alla fine mangerà tutti, anche
coloro che pensavano di salvarsi da soli! È evidente che chi non ha rinunciato
alle serate al bar o in discoteca, chi si è messo in viaggio pensando di
approfittare della chiusura delle scuole e degli uffici per tornare dai propri
amici, si è fatto complice del virus. L’immagine più triste è la spavalderia di
molti giovani, ormai imbevuti, grazie anche all’educazione dei loro genitori,
della cultura dell’interesse personale: tanto muoiono i vecchi! Sono quei
giovani cresciuti dentro un bagno di fatalismo: non succederà a me! Certo,
anche noi europei, guardando alle drammatiche scene di epidemie e sciagure
avvenute lontano da noi, abbiamo sempre pensato che non sarebbe mai accaduto
nei nostri Paesi. E invece un nemico invisibile ci ha scompigliato l’esistenza.
Forse il fuoco non si riaccenderà presto, forse i nostri programmi subiranno
ulteriori variazioni, ma possiamo essere certi che Cristo ci aiuterà a
risorgere: noi possiamo solo affrettare o allontanare quel momento scegliendo
di vivere da persone solidali o da egoisti[5].
Dimesso dal ricovero per coronavirus, il
cardinal vicario di Roma, Angelo
De Donatis, ha scritto
in una lettera ai fedeli:
Siamo
la Chiesa nel Cenacolo del Sabato Santo. Siamo la Chiesa che, sbigottita di
fronte al dolore della morte improvvisa di tante persone, si è blindata in
casa, spinta anche dalla paura di incontrare gli altri. (…)
Con
i giorni che passano si aggiunge anche la paura del futuro: la pandemia detta
tempi lunghi al ritorno alla normalità della vita sociale e la crisi economica
già sta facendo sentire i suoi effetti devastanti. In questa situazione viviamo
una sorta di paralisi ecclesiale, da cui il Risorto, attraversando le nostre
porte chiuse, ci vuole scuotere. (…)
Il Sabato Santo è infatti il giorno in cui
il Cristo riposa nel cuore della terra, come il seme: muore perché porti
frutto, e nel segreto si sta preparando la vita nuova. All’apparenza è tutto
finito, non ci sono strade che possano aprirsi, se non quella del ritorno alla
vita “senza Gesù”, come nel caso dei discepoli di Emmaus. Ma non è così per il
Signore. Anche noi, in questa situazione di devastazione, custodiamo le fede
che il Cristo è vivo e che l’azione dello Spirito fa germogliare cose inedite e
insperate.
Davanti a questa prova possiamo rimanere
accasciati e disorientati, oppure imparare da quel primo Sabato Santo a
occupare il tempo con gesti di cura e di dedizione. Le donne prepararono i
profumi per il corpo di Gesù e senza saperlo prepararono l’alba del primo
giorno della settimana. La risurrezione fu un’opera di Dio, non un’invenzione
delle donne: ma, come loro, possiamo anche noi fare dei gesti che ci metteranno
– in un futuro che Dio conosce, ma che è certo – nella condizione di essere
raggiunti da quel che Dio farà per noi[6].
[1] www.ilregno.it/attualita/2020/6/chiesa-coronavirus-preparare-la-pasqua-nel-sabato-del-tempo-gianfranco-brunelli
[4] Id.