Alex Zanardi: testimone di vita autentica e coraggiosa
Alex Zanardi, proprio lui? Quando abbiamo sentito la notizia da Pienza in molti abbiamo provato un tonfo al cuore. Il campione paralimpico che corre senza le gambe, l’uomo che vince l’oro spingendo una handbike con le sue poderose instancabili braccia. No, non lui, non doveva accadere a lui un nuovo disastroso incidente, non a un uomo già così messo alla prova dalla vita e capace di una tanto coraggiosa reazione, che a molti altri ha insegnato a non arrendersi.
Non Zanardi, non è giusto, mi sono detta con dolore, entrando nell’ombra del risentimento con Dio - quasi Lui si fosse distratto nell’istante dello sbandamento, mentre un Tir arrivava esattamente in quel secondo, con atroce precisione, dalla direzione opposta.
Fino a quanto può reggere un uomo? Questo bolognese di 53 anni, già campione di Formula Uno, nel 2001 su un circuito tedesco venne estratto moribondo dalla vettura, le gambe tranciate di netto. Mesi e mesi di ospedale. Mesi, forse, di disperazione. Poi, il ferito si mise a litigare con Dio. «Adesso hai veramente rotto! Se era una prova, io mollo!», raccontò di avergli detto. E, fatta salva la "modernità" del linguaggio, viene in mente Giobbe. Giobbe che dapprima maledice, ma non si arrende. E infine accetta il mistero di Dio, e il mistero del dolore.
Nemmeno Zanardi è uno che si arrende. Riprende a correre, su auto modificate. Torna a Lausitzring, la pista maledetta, e completa i 13 giri che gli mancavano, quel giorno. Poi scopre la handbike, e diventa il numero uno al mondo. Ogni giro di ruota fatto con quelle sue braccia di acciaio ci dice che anche una disgrazia annichilente può generare una nuova vita. Ce lo diceva Zanardi fino a ieri, con la sua bella faccia che compariva in uno spot in tv. Tratti forti, padani, terragni, eppure, veniva da pensare, anche una faccia da marinaio. Così almeno mi immagino quei marinai con la pelle spaccata dal sole che s’ imbarcavano sulle caravelle di Colombo o di Magellano. Sfidando non solo l’oceano e le tempeste, ma andando in cerca di mondi che forse non esistevano. Protesi a un oltre, che magari non c’era.
Questo pensavo guardando quell’uomo. E perciò saperlo sfracellato da un camion, e ora intubato e in prognosi riservata, mi ha fatto, a caldo, arrabbiare con Dio. Non si può chiedere così tanto a nessuno, gli ho contestato.
Poi ho riflettuto su un così singolare destino. Su un campione che ha ritrovato la fede litigando col Padreterno, da un letto di ospedale. Misterioso destino davvero, quello di un testardo figlio di un idraulico bolognese, e misterioso ancora più il disegno di Dio su di lui. Noi non possiamo capire. E quindi, occorre tacere.
Mi colpisce però che Zanardi poco prima dell’incidente di ieri venerdì abbia detto, è stato riferito, di essere felice. Felice su quella sua bicicletta per "diversamente abili" nella fatica di una gara estiva, felice della sua famiglia e della sua vita, che tanti altri avrebbero giudicato distrutta.
E su quella felicità, improvvisa, piomba l’ombra della morte. Zanardi, da pilota, era noto per la capacità di recuperare posizioni e arrivare sul podio, anche se partiva svantaggiato. Nel gusto di sfidare le circostanze avverse. È questa, cominciata in una curva nei pressi di Pienza, ancora una sfida? Cosa si staranno dicendo, il campione e Dio, nel silenzio di una stanza di terapia intensiva? Zanardi è uno che non si arrende mai. Che ha superato, nei giorni in coma nel 2001, ben sette infarti. Un irriducibile: e gli auguriamo di cuore di vincere questa estrema battaglia.
A noi, gente normale, basterebbe però forse sapere di poter dire, un’ora prima di un tragico incidente, "Sono felice". Già di questo saremmo grati: come se in quella letizia ci fosse il segno di una vita compiuta, di una linea di traguardo raggiunta - di una pace aspramente conquistata.
l giorno stesso in cui tornò a casa senza le gambe, Alex Zanardi volle sfidare suo nipote a nascondino. Prima si infilò nel caminetto. Poi avvicinò due sedie e ci si sdraiò sopra, coprendosi con un plaid. Infine, si mimetizzò dentro il portavivande. La sera, il nipote confidò alla madre: «Da grande voglio guidare una macchina da corsa e non avere le gambe come lo zio». Alex sostiene che, dei tanti complimenti che ha ricevuto, quello rimane per distacco il più bello. Il complimento di un bambino a un uomo che, per rinascere, ha saputo tornare bambino.
Zanardi suscita meraviglia in chiunque, però non hai mai fatto pena a nessuno. Forse perché il primo a non avere mai provato commiserazione per sé stesso è lui. Ogni volta che ci incontriamo, mi interroga sulla sua famosa Regola dei Cinque Secondi, tanto che oramai la conosco a memoria: «Quando in una gara ti accorgi di avere dato tutto, ma proprio tutto, tieni duro ancora cinque secondi, perché è lì che gli altri non ce la fanno più». Lui non si limita a declamarla. La applica nelle corse, contro avversari che ormai hanno la metà dei suoi anni. E la applica nella vita, da quando è nato e da quando è rinato, dopo che un incidente lo ha tagliato in due e in un letto d’ospedale tedesco è stato costretto a decidere se pensare alla metà di corpo che gli era rimasta o a quella che aveva perduto.
Nessuno più di lui avrebbe diritto di passare il tempo a lamentarsi e a maledire il destino, che per Zanardi ha sempre avuto la forma di una striscia d’asfalto: sua sorella morì in un incidente automobilistico, in un altro Alex lasciò una parte di sé, ed è su una strada in leggera discesa che ieri è andata a sbattere contro un camion quella sua adorabile testa dura. Potrebbe lamentarsi, ma non lo fa. Lo considera uno stupido dispendio di energie. Alla tentazione del vittimismo ha sempre opposto lo scudo dell’autoironia: «Sono così emozionato che mi tremano le gambe» è una delle sue battute preferite e la pronuncia rimanendo serissimo, come i comici veri.
Ogni volta che lo si guarda o lo si sente parlare, non si può fare a meno di pensare che tutti, dentro, ci sentiamo simili a come Zanardi è fuori: derubati di qualcosa e costretti a spingere. Solo che lui, dentro, è come noi purtroppo non ci sentiamo quasi mai: completo, sicuro di sé e animato da una passione implacabile per la vita che lo porta a concentrarsi su tutto ciò che fa, e a goderne, come se lo stesse sempre facendo per la prima volta.
Se chiudo gli occhi, lo rivedo alla maratona di Venezia trascinare per oltre quaranta chilometri un amico malato di Sla e scendere dalla carrozzina a un metro dal traguardo per sospingerlo in avanti, saltellando sui moncherini come se fossero delle molle. Ha imparato a giocare con tutto ciò che avrebbe potuto farlo disperare.
Al David Letterman Show arrivò ad appoggiarsi una tazza di tè sulla protesi per illustrare i vantaggi della sua condizione. E il pubblico americano, che per queste cose va pazzo, gli tributò un’ovazione. Una volta ha detto che non vorrebbe riavere indietro le gambe per paura di non riuscire a essere altrettanto felice, ma io non so se credergli. Quelli come lui coltivano la felicità alla stregua di una vocazione e sanno stare bene con sé stessi in qualunque stato. Alex sarebbe Zanardi anche con le gambe. Senza, è semplicemente più utile a noi, che vorremmo avere il suo stesso sguardo meravigliato sul mondo e la sua stessa ostinata allergia per la parola «limite».
Alex Zanardi, detto Zanna, è illimitato: che non significa presuntuoso, ma solo talmente vasto da avere inglobato tutti i confini della natura umana. Roberto Vecchioni gli ha cucito addosso un verso su misura: «Se non posso correre né camminare, imparerò a volare». E anche a giocare a nascondino con la vita, infondendovi la gioiosa serietà di un bambino. La sua canzone preferita è «Don’t stop me now» dei Queen e in chiusura gliela sparo idealmente a pieno volume nelle orecchie. Non fermarti ora, Alex.
20 giugno 2020, 06:57 - modifica il 20 giugno 2020 | 09:23