Esequie reali e fosse comuni belliche. La morte (non) è una livella
Segnalo un interessante articolo del teologo don Giuseppe Lorizio pubblicato oggi su Avvenire a commento delle esequie della Regina in contrasto con le fosse comuni trovate in Ucraina.
Aggiungo un commento dello stesso teologo apparso su Famiglia Cristiana dello scorso anno sulla "Resurrezione nella morte" secondo la riflessione del teologo Lohfink: "La convinzione della “risurrezione nella morte” è ormai molto diffusa fra i teologi, anche perché ci aiuta a comprendere l’unità della persona umana e a superare l’idea della morte come separazione dell’anima dal corpo, in un tentativo di comprensione del mistero che consente di pensare con maggiore profondità il destino dell’uomo".
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Caro principe de Curtis, o, meglio, caro Totò, ci hai insegnato, in una tua mirabile poesia, che la morte è una livella: « A morte ’o ssaje ched'e?…è una livella. ’Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo, trasenno stu canciello ha fatt’o punto c’ha perzo tutto,’a vita e pure ’o nomme: tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?' (...Un re, un magistrato, un grand’uomo, passando questo cancello, ha fatto il punto che ha perso tutto, la vita e pure il nome: non ti sei fatto ancora questo conto?). Eppure, a cosa stiamo assistendo mentre ci affacciamo sui media? Da un lato un fastoso funerale, preceduto da giorni e giorni di pellegrinaggio per salutare una regina, tanto amata non solo dal suo popolo (è tornata spesso l’orribile parola 'sudditi'), dall’altro le tombe comuni di centinaia di vittime della guerra. Lì i potenti del mondo, qui la fatica di quanti cercano di dare un nome alle vittime.
Certo se restiamo nell’al di qua della storia l’abisso di distanza è più che evidente e dobbiamo archiviare l’idea della «livella», ritenendola una utopia.
Invece, se rovesciamo la prospettiva, forse, ha ragione lui. Così come ci mostra la parabola che leggeremo domenica prossima (XXVI del tempo ordinario), quando il ricco epulone si trova spiazzato dal povero Lazzaro e invoca misericordia. Dobbiamo imparare a leggere la storia a partire dall’oltre, dall’al di là, un po’ come faceva Dante. E se abbiamo fede e pensiero comprendiamo che, mentre i potenti ossequiano giustamente la regina, non possono e non devono dimenticare i derelitti delle fosse comuni.
Abbiamo una tradizione poetica ispirata dal poema I sepolcri di Ugo Foscolo, che ci mette in guardia dall’assuefazione all’anonimato oltre la morte. Chi ha un nome e ne rivendica la dignità non può dimenticare quanti ne sono privi. E non si tratta, come nel poema foscoliano, soltanto delle persone illustri, ma di ognuno di noi, che merita di essere sepolto e ricordato col suo nome proprio. Un filosofo come Jean-Luc Marion, richiamando lo pseudo-Dionigi, riferendosi al nome indicibile di Dio, insegna che: «Colui che non si nomina, ci nomina»«Colui che non si nomina, ci nomina».
Il riferimento che Marion porge, contestato da Derrida e dal suo decostruzionismo, è che siamo stati battezzati nel nome, del Padre e Figlio e Spirito Santo, e in quel momento, l’innominato o l’innominabile ci da un nome, quindi un’identità. Questo gioco paradossale tra il non-nome e il nome ci deve interpellare di fronte all’anonimato delle tante vittime. Aggiunge il filosofo: «Per teologia dell’assenza non intenderemo più ormai la non presenza di Dio, ma il fatto che il nome che si dà a Dio, che dà Dio, che si dà come Dio (tutti questi passaggi vanno tenuti insieme senza essere confusi) ha per funzione di proteggerlo - perché la debolezza designa Dio tanto bene quanto la forza - dalla presenza e donarlo come se ne fosse eccettuato».
Ciò contro cui siamo chiamati a resistere è la tendenza alla rassegnazione dell’anonimato, mentre il messaggio che si orienta a partire dalla persona, rivendica la necessità del 'nome proprio'. Se qualcuno mi chiedesse: dov’è Dio oggi? A Londra nel solenne funerale di una regina o nelle fosse comuni determinate dalla guerra? Non avrei esitazione né dubbio nel rispondere che Dio è qui ed ora.
E se un solenne funerale ci aiuta a pensare, oltre la religione civile, alla fede di Elisabetta II e al tempo stesso a illuminare con questa fede la croce dei derelitti affossati, allora forse dobbiamo continuare a pensare, con Totò, che la morte è una livella perché ci inchioda al pensiero del senso di questa vita e della giustizia e della pace che in essa dobbiamo realizzare, ma al tempo stesso ci apre all’altra vita, che crediamo 'eterna'.
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Vorrei sapere se il libro Alla fine il nulla? di Gerhard Lohfink (Queriniana, Brescia 2020), che mi ha toccato nel profondo, è accettato dalla Chiesa oppure no. In particolare, vorrei sapere quanto sono attendibili queste parole: «Perciò per chi muore la fine del mondo arriva “con” la morte, il ritorno di Cristo avviene “nella” morte, la risurrezione accade “nella” morte e ugualmente anche il giudizio universale» (pag. 218). Se tutto ciò fosse vero sarebbe meraviglioso… Io faticavo a credere in una seconda venuta di Gesù, queste parole sono immensamente liberatorie? - Fabio R.
L’autore del libro, impegnativo e insieme suggestivo, cui fa riferimento il nostro attento lettore è un esegeta cattolico, che per molti anni ha insegnato nella prestigiosa Facoltà teologica di Tubinga. Non ho trovato nulla in questo scritto che si possa ritenere contrario alla fede cattolica. La convinzione della “risurrezione nella morte” è ormai molto diffusa fra i teologi, anche perché ci aiuta a comprendere l’unità della persona umana e a superare l’idea della morte come separazione dell’anima dal corpo, in un tentativo di comprensione del mistero che consente di pensare con maggiore profondità il destino dell’uomo. Particolarmente convincente il discorso del teologo circa l’impossibilità di pensare il futuro e la fine secondo uno schema cronologico di “prima” e “poi”. Di qui l’asserzione riportata dal lettore.
In una trasmissione, andata in onda su Tv2000 il 30 marzo 2020, papa Francesco ci ha offerto degli spunti di riflessione proprio su questo tema e sul nostro rapporto con i defunti: si può «parlare con i defunti, parlare con i nostri antenati: “Ma, dimmi, tu dove stai? Dove sei?”, perché c’è la prima resurrezione e poi sarà universale per tutti, ma loro già sono davanti a Dio». (fonte:Avvenire, Papa Francesco, il "Credo" e la resurrezione della carne). E, proprio perché partecipano dell’eternità, la loro condizione non è soggetta alla temporalità, come invece lo è la nostra. Come si vede, queste parole sono ben lungi dallo smentire la tesi della risurrezione nella morte abbracciata dal Lohfink.
D’altra parte, il teologo tedesco non manca di offrirci riflessioni sul compimento della storia (e quindi la seconda venuta del Signore) a partire dalla p. 178 ss, in dialogo con la posizione di Joseph Ratzinger, che ritiene condivisibili e conciliabili con la tesi della purificazione nella morte. Quest’ultimo pone in termini interrogativi la questione se la vicenda umana del singolo possa ritenersi conclusa, mentre nella storia c’è ancora chi soffre e lotta (p. 182). Impariamo innanzitutto a continuare a porci e porre domande di fronte al mistero insondabile della vita eterna, piuttosto che a formulare convinzioni. Ma apprendiamo anche che la seconda venuta del Signore riguarda il compimento della storia non solo per l’individuo, ma per l’umanità intera, dato il vincolo fraterno che ci accomuna a tutte le donne e gli uomini del passato, del presente e del futuro.