La Messa è finita (in parodia) ?
Ho casualmente scoperto una rubrica ecclesiale ("Sacro & profano") curata da un fantomatico "Eugenio Episcopo" che scrive sul sito "Lo Spiffero". Discutibile la sua rilettura critica e antipapista, risulta comunque una lettura interessante per la cronaca ecclesiale che presenta.
L'ultimo post si intitola "La Messa è finita (in parodia)". Il punto interrogativo finale l'ho aggiunto io per indicare la perplessità sulle sue posizioni. Accurata è la cronaca ecclesiale piemontese che evito di riportare. Ecco il resto:
Rompendo gli indugi, il vescovo di Aosta, monsignor Franco Lovignana, ha annunciato il drastico ridimensionamento delle parrocchie della Valle che passano da 93 a 32. Con una lettera pastorale in cui, ad ogni piè sospinto, si parla ovviamente di sinodalità, ha spiegato che si tratta di «un accorpamento di parrocchie insieme, con un unico parroco che convergeranno su un centro che sarà anche fisico: una casa parrocchiale, una chiesa parrocchiale che diventerà quella principale nella quale si concentreranno alcune celebrazioni importanti dell’anno e le iniziative di formazione e di incontro». Un cambio sostanziale che anticipa in scala minore quanto avverrà a Torino nei prossimi mesi. Per presentare la decisione e addolcire la pillola, monsignor Lovignana ha usato la consueta immagine della Chiesa come perenne cantiere, alla quale si potrebbe replicare con Joseph Ratzinger il quale, nel lontano 1985, notava come nel post-concilio la Chiesa fosse sì diventata un cantiere ma del quale si era però smarrito il progetto. Piccolo inciso, in tutte queste operazioni, le parrocchie non vengono mai canonicamente soppresse ma solo accorpate per non perdere il contributo dell’8 per mille. Procul negotiis, apud pecuniam.
A Bose, la nuova gestione del priore Sabino Chialà ha ripreso, pur in tono minore, dopo una sospensione di tre anni – «che ha messo a dura prova anche questa Comunità» – la tradizione dei convegni ecumenici di spiritualità ortodossa, dedicato quest’anno a Isacco di Ninive. Da segnalare positivamente, fra gli altri, la presenza del metropolita Athenagoras del Belgio in rappresentanza del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e del vescovo Amvrosij di Bogorodsk del patriarcato di Mosca. Speriamo si parlino e si riprenda il dialogo spezzato.
Intanto, Enzo Bianchi diventato – in attesa che nasca ad Albiano la nuova Bose – una specie di clericus vagus – ha tenuto venerdì scorso a Mappano una conferenza sul tema: “Il futuro delle parrocchie. Dove stiamo andando?”. Com’è noto, il cardinale segretario di stato Pietro Parolin, aveva scritto mesi fa ai vescovi chiedendo loro di non invitare Bianchi a parlare in pubblico nelle loro diocesi. Forse avrebbe dovuto però anche specificarne il motivo, in mancanza del quale, tale misura appare non solo assurda, ma anche ingiusta. Ancora oggi, infatti, non è dato conoscere quali siano le colpe dell’ex priore. Certo, se si fosse trattato di qualche chierico o laico fuori dal mainstream non sarebbe tardata una telefonata di uno dei vicari episcopali al parroco…
Mentre le osservazioni critiche degli intellettuali cattolici progressisti sul mancato dialogo al Concistoro lo hanno lasciato completamento indifferente, sembra che il Santo Padre si sia invece irritato moltissimo per le sarcastiche esternazioni dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che ha dovuto correre ai ripari con una precisazione. E lo si può ben capire, perché per Bergoglio, attentissimo ai media, mentre i primi non contano nulla – questo vale anche da tempo per gli intellettuali laici – il video ha raggiunto tutte le curie del mondo e i giornaloni fan di Bergoglio hanno faticato non poco a contenerne gli effetti. Adesso, Delpini dovrà munirsi di elmetto. Qualcuno però ha osservato come sia ormai invalso fra i vescovi la tendenza a svilire sempre di più il loro ufficio parlando a ruota libera in qualsiasi occasione con la tendenza a cancellare la linea che separa il Magistero dalle opinioni da bar, via questa imboccata fin da subito da Bergoglio. Chi semina vento…
Nell’omelia per la beatificazione di Giovanni Paolo I, il pontefice ha esaltato l’amabile figura di papa Luciani che con il suo sorriso «è riuscito a trasmettere la bontà del Signore» incarnando una Chiesa «che non chiude mai le porte e non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo». Giovanni Paolo I fu sicuramente tutto questo ma in quanto alle aperture, alcune porte le ha chiuse anche lui. Tali chiusure non offuscano la sua santità, anzi, se mai la rendono più autentica, perché la carità che non si coniughi con la Verità non ha fondamento. Bastino due episodi – ma se ne potrebbero citare molti altri – che smentiscono la recente vulgata tendente a fare di papa Luciani un santino progressista. In un tardo pomeriggio di settembre del 1967, l’allora vescovo di Vittorio Veneto, accompagnato dal questore e dalla polizia si recò a Montaner, paese di 1.200 abitanti, dove i fedeli della parrocchia avevano impedito l’ingresso al nuovo parroco da lui nominato, in quanto gli preferivano un giovane cappellano. Sceso dall’auto, il vescovo si portava senza indugio in chiesa dove, rivestito di piviale e velo omerale, prendeva dal tabernacolo il Santissimo e ripartiva lasciando la comunità ribelle senza Eucaristia. Era quella che un tempo si definiva interdizione canonica e rivedere oggi quel filmato desta ancora una certa impressione. I fedeli di Montaner decisero allora di trasmigrare in massa alla chiesa ortodossa russa dove ancora oggi si trovano. Particolare interessante, mentre adesso i cattolici si scandalizzano, il pope ortodosso ha detto che Luciani fece benissimo. Il quale, diventato patriarca di Venezia, nel 1974 sciolse la Fuci veneziana che si era espressa per il No al referendum abrogativo del divorzio, per non parlare dei preti operai che lo contestarono e ai quali chiese di non iscriversi alla Cgil ribadendo l’inconciliabilità tra cattolicesimo e marxismo, in cui scorgeva un programma di radicale scristianizzazione.
A proposito di «indietristi», i componenti dell’associazione dei professori di liturgia sono stati ricevuti dal papa e fra questi il nostro don Paolo Tomatis che ne ha lasciato la presidenza – forse in vista di un più alto incarico? – a favore della giovane e simpatica suor Elena Massimi. Nel suo discorso, il Santo Padre ha di nuovo paventato come il pericolo più grande per la liturgia non siano gli abusi e le sperimentazioni al limite della profanazione ma l’«indietrismo», che sarebbe «una tentazione nella vita della Chiesa che ti porta a un restaurazionismo mondano, travestito di liturgia e teologia, ma è mondano». La prospettiva di fondo dell’intervento papale rimane quella degli anni 70 e 80 dello scorso millennio, ma presentata stancamente e con meno rigore argomentativo. Si ha come l’impressione che, falliti in egual misura i tentativi di reprimere le sperimentazioni d’Oltralpe ai limiti dell’eresia e di liquidare la diffusione della liturgia preconciliare, questo pontificato si limiti a riciclare le perorazioni di qualche liturgista minore o di qualche frate in carriera, salvo però cadere nell’incongruenza manifesta di voler da una parte spingere i liturgisti ad ascoltare il popolo di Dio, dall’altra di liquidare come una moda il cosiddetto «indietrismo». Per Bergoglio, il popolo di Dio è meritevole di ascolto solamente quando si allinea a ciò che è già deciso, mentre la rimanenza è un ammasso di modaioli da censurare o da guardare con una compassione venata di disprezzo. La perenne negazione della realtà, nonostante a parole essa venga qualificata come «superiore all’idea», è la prova che certe questioni e certe contraddizioni, troppo complesse da risolvere per questo pontefice, se non verranno sciolte con sapienza da suo successore, condurranno ad una implosione della riforma liturgica stessa, fenomeno peraltro già in atto e che è il risultato di una riforma concepita a tavolino in seno ad un gruppo di esperti sulla quale però non è possibile avanzare alcuna critica.
Sbaglierebbe però chi pensasse che i tanto vituperati «indietristi» si ritrovino soltanto fra i preti che celebrano o i fedeli che partecipano alla Messa antica. No, questi sono ormai stati posti in limine Ecclesiae, tollerati malamente per essere poi sottoposti alla rieducazione. Gli «indietristi», nel pensiero del papa, sono quei preti – ce ne sono ancora e sono visti con sospetto – che celebrano pie, attente ac devote, come si dovrebbe, osservando con dignità e decoro tutte le prescrizioni del messale, che non inventano, né si producono in esibizioni o sperimentazioni. Ma mentre i dotti liturgisti venivano messi in guardia dal Santo Padre contro i cattivi «indietristi», nella diocesi di Coira, in Svizzera, due «sacerdotesse», «concelebravano e consacravano», durante quella che non sapremmo come definire, ma comunque nell’«unica espressione della lex orandi del rito romano» (Traditionis Custodes), mentre il diacono sull’altare indossava – ça va sans dire – una po' scolorita stola arcobaleno. Cosa strana, all’«elevazione», trillavano i campanelli, costume questo che a Torino i parroci più liturgofrenici cercano in tutti i modi di fare scomparire.
Nei confronti di tale parodia della Messa, non si si sono presi, né si prenderanno, da parte del vescovo o dalla Santa Sede, provvedimenti di sorta e il motivo è molto semplice: il fine è la protestantizzazione della fede lasciando di cattolico solo le apparenze esteriori. Un po' come fece ai suoi tempi il primo vescovo anglicano Thomas Cranmer (1489-1556) che determinò il mutamento della fede da cattolica a riformata, rivoluzionando abilmente e gradualmente la liturgia. A confronto, comunque, la Missa Acquatica sul materassino gonfiabile, aveva tutti i crismi dell’ortodossia. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa in proposito il nostro ufficio liturgico, anche se possiamo immaginare la risposta in linea con i loro maestro Andrea Grillo – l’ispiratore della repressione contro la Messa antica – e cioè che il pericolo non sono gli sperimentatori ma gli «indietristi». A fronte di tale ideologica cecità come stupirsi se le guerre liturgiche continueranno mentre le chiese si svuoteranno sempre di più?
L’agenzia ultraprogressista Adista accenna ad una prossima enciclica di papa Francesco in cui si arriverebbe a una nuova formulazione dottrinale sulla contraccezione, con una sostanziale revisione dell’Humanae Vitae di Paolo VI. Il nuovo solenne pronunciamento papale – senza dirlo esplicitamente – annullerebbe gli insegnamenti precedenti e su questo fronte è impegnata, oltre alle facoltà teologiche di Milano e del Triveneto, la Pontificia Accademia per la Vita, fortemente voluta da Giovanni Paolo II e oggi presieduta da monsignor Vincenzo Paglia il quale – sistematicamente – mette ormai in discussione tutte le verità di teologia morale sdoganando esplicitamente la contraccezione e la fecondazione eterologa. Del resto, le diocesi non sono più in nessun modo impegnate nella formazione ai metodi naturali.