Don Patriciello: sulla questione gender (Genitore 1 e 2) e sul dramma della bambina suicida per Tik Tok
Don Maurizio Patriciello è un sacerdote-giornalista casertano che seguo con interesse. Ultimamente è stato vittima dell'intolleranza di coloro che, in nome della tolleranza, non accettano che si possa avere opinioni diverse dalle loro. Come nel commento che ha scritto riguardo alla recente decisione della ministra Lamorgese (la quale, ad onor del vero, recepiva un decreto della Comunità Europea) di sostituire in alcuni moduli la voce "madre" e "padre" con "Genitore 1 e 2".
Il 23 gennaio ha anche pubblicato un commento sulla tragedia avvenuta a Palermo e che ha scosso l'opinione pubblica: quella della bambina suicida per un video su Tik-Tok.
Don Patriciello: “Genitore 1 e Genitore 2 mi ricorda le addizioni in prima elementare” (Aleteia)
Don Maurizio Patriciello nell’occhio del ciclone per avere espresso contrarietà a alla nuova dicitura “Genitore 1” e “Genitore 2” al posto di “madre” e “padre”, da apporre su alcuni documenti per minori. Insorge l’Arcigay Napoli. Lui replica: “Mi preoccupa questo germe di odio contro chi ha idee diverse”.
«Sono nato da un padre e una madre – afferma Patriciello – Mio padre si chiamava Raffaele, mia madre Stefania. Mio padre era maschio, mia madre femmina. Sono loro eternamente grato per il dono immenso della vita. Genitore 1 e genitore 2 mi ricordano le prime addizioni alla scuola elementare. Un obbrobrio. Smettiamola. Facciamo le persone serie. E badiamo ai veri problemi del Paese».
Replica su Famiglia Cristiana:
«Avevo scritto questo post sulla mia pagina Facebook dopo aver letto su Avvenire la bella intervista di Luciano Moia allo psicologo Camillo Regalia dal significativo titolo “Madri e padri irrinunciabili”, differenze anche nominali indispensabili per la costruzione dell’ identità dei figli. In quello precedente ironizzavo sul fatto che gli architetti di sesso femminile hanno – giustamente! -preteso e ottenuto di essere chiamate architette mentre adesso alle mamme (mamma: da sempre genere femminile) viene chiesto di retrocedere a un patetico e retrogrado “genitore” dal sarcastico e becero sapore maschilista. Concludevo con un simpatico appello: “Donne di tutto il mondo, unitevi. Un simpatico abbraccio a tutti e a tutte”. Mai una parola di offesa. Non è il mio stile. Chiunque può guardare la mia produzione pubblicistica (libri, articoli, post) e sa che non ho mai offeso nessuno, perché anche chi si critica merita rispetto».
TikTok. Antonella, figlia di tutti: diciamo ai nostri bimbi che la loro vita è preziosa
Era analfabeta, papà. Non faceva che ripetermi: « Studia, ragazzo mio, è terribile non saper leggere e scrivere». Era analfabeta, ma intelligente e onesto. Sapeva bene che nessuno può dare quello che non ha. A letto lo ricordo solo di sera, quando, sfinito dalla stanchezza, andava a riposare, mai di mattina. « Come posso pretendere dai miei figli che facciano il proprio dovere se non gli dò l’esempio?» diceva. Non fumava, papà. «Si risparmiano denari e salute» rispondeva agli amici fumatori. Non era un santo, papà. Aveva i suoi difetti, ha fatto i suoi errori. Era convinto, però, che agli errori non bisognava dare troppa pubblicità. Ipocrisia? No, cosciente dei propri limiti. Non voleva, però, che pesassero sui suoi figli. Combatté e soffrì la guerra, papà. Partì con suo fratello, ritornò da solo. Anni di fame, fatica, stenti, mai di rassegnazione.
Mi ritrovo a pensare a lui, ai libri che grazie alle sue fatiche ho potuto leggere, alle esperienze fatte, alle persone incontrate, ai bambini. Ecco, i bambini. Il cuore sanguina al ricordo della piccola Antonella morta a dieci anni “giocando” su TikTok, all’interno della propria casa, sotto gli occhi dei genitori, cui va il nostro abbraccio più affettuoso. Una tragedia immane. Un dramma che ci chiama in causa, tutti. Guai a noi se dovessimo, oggi, gettare solo sulle spalle dei genitori la pesantissima croce del processo educativo; guai a noi se tentassimo di lavarcene le mani. È toccato a loro, sarebbe potuto capitare a noi. La piccola Antonella è figlia di tutti.
Allora, senza cedere al pessimismo o, peggio, al suo scanzonato contrario, troviamo il coraggio di guardarci negli occhi. Il problema vero, grande quanto un iceberg, è che ai poveri genitori di questo nostro tempo è stata imposta una vera e propria rapina. È stata tolta loro la possibilità di incidere davvero sull’educazione dei propri figli, dimenticando che, come scriveva Wittgestein, «se pure tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati». I bambini ci pongono domande vere alle quali occorre dare risposte con le parole e con l’esempio. Occorre smetterla di credere alla favola che il nuovo, solo perché nuovo, sia migliore del vecchio. Un dipinto di Leonardo non ha niente da invidiare a quello di Picasso. I versi di Dante non andranno mai in prescrizione. Occorre, invece, fare ricorso all’antica, nobile, difficile, efficacissima arte del discernimento, per indirizzare i nostri bambini verso il bello, il vero, il bene, ricordando che hanno bisogno di modelli.
Perciò, abbia il coraggio di alzare la mano chi, in casa, magari a tavola, non si è “assentato” per catapultarsi sul telefonino che squilla. Si metta in piedi chi non si è ritrovato a telefonare o a chattare mentre era alla guida della propria auto.
Certamente occorrono leggi che regolino tutto, su questo non ci piove. Ma nessuno s’illuda che moltiplicare le leggi basterà a evitare drammi come quello di Antonella. Il mondo ha bisogno di persone serie, responsabili, capaci: se non di amare, almeno di rispettare il prossimo. Il carcere per il reo non riporterà in vita chi la vita perse per la sua stoltezza. Ripetiamolo ai nostri figli che hanno a disposizione una sola vita, bellissima ma anche tanto fragile. Insegniamo loro le antiche virtù della prudenza, della pazienza, del procedere lentamente. I bambini ci guardano, ma cosa vedono? Guardiamoci un attimo con i loro occhi. Abbiamo il dovere di non confonderli, di non lasciarli soli, di custodire la loro innocenza, le loro vite. Emmanuel Mounier: «L’insetto che si mimetizza sul ramo per farsi dimenticare nell’immobilità del vegetale è l’immagine dell’uomo che si rintana nel conformismo per non dover rendere conto di sé, oppure si abbandona alle idee comuni per non affrontare gli uomini e i fatti». Non si tratta di mimetizzarci, di ripetere a pappagallo tesi inventate per interessi economici, politici o altro. Si tratta di amare a dismisura i nostri figli, la nostra gioventù. E se per amarli occorre rinuciare anche al riposo e al pranzo, lo facciamo volentieri: il loro amore ci ripagherà di tutto.