Pandemia e adolescenti: il caso dei ragazzi violenti e soli
Due articoli recenti fotografano come la pandemia abbia effetti deleteri in particolare sugli adolescenti e giovani. Su Vita si presenta un libro di Stefano Vicari (“Bambini, adolescenti e Covid-19. L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico”, appena pubblicato da Erickson) che mostra il moltiplicarsi dei casi di suicidio e autolesionismo:
«Ci siamo illusi, forse, che i più piccoli tra noi non ne avrebbero risentito. Abbiamo scoperto, invece, che anche loro sperimentano paura e incertezza, oltre a soffrire per l’isolamento fisico e sociale determinato dalla iniziale e prolungata chiusura delle scuole».
«Sottovalutare l’impatto del Covid-19 tra i più giovani rischia di trasformare un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo in una crisi dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Inoltre, sebbene sia ancora prematuro tracciare un quadro preciso delle reali conseguenze della pandemia sul benessere mentale dei più piccoli, cominciano ad essere disponibili dati poco rassicuranti».
«Non possiamo attendere inermi, far scorrere il tempo senza immaginare possibili risposte o accorgimenti capaci di ridurre, almeno, le conseguenze che fin da ora si manifestano come negative. Tenere nella debita considerazione queste analisi e riflessioni risulta perciò fondamentale per poter intervenire già nell’immediato, cercando di mitigare il più possibile tutti gli effetti negativi fin qui riscontrati e quelli, ad oggi, solo ipotizzabili».
Su Avvenire si parla dei fenomeni di microminalità giovanile con le maxirisse organizzate su internet:
Baby gang che si fronteggiano nelle piazze, figli che picchiano i genitori (a Trento due gemelli di 13 anni sono finiti in una comunità di recupero perché prendevano a botte la mamma). E gruppi di giovanissimi che in chat divulgavano materiale pedopornografico e inneggiano al nazismo, come nello squallido giro scoperto martedì in mezza Italia dalla polizia postale. Da quando è cominciata la pandemia gli episodi di microcriminalità con protagonisti gli adolescenti sono sempre più diffusi. Dalla maxi-rissa provocata da un centinaio di scalmanati nel centro di Gallarate, nel Varesotto, dove sono volate mazze e catene, agli scontri che spesso si accendono a Centocelle, periferia est della Capitale, dove la movida è trascesa in violente gazzarre sotto gli occhi impauriti dei residenti del quartiere.
A Pinerolo, vicino Torino, cinque ragazzi dai 14 ai 16 anni hanno gettato «per scherzo » da un cavalcavia dell’auto- strada un masso del peso di 8 chili che ha sfondato il cofano di una vettura di passaggio. Il conducente si è salvato per miracolo. Altri sette ragazzi, la scorsa settimana sono stati sorpresi della polizia nel parcheggio del Comune di Benevento mentre sfasciavano «per gioco» un mezzo di servizio.
E a Lucca, tre giorni fa, due bande di minorenni si sono date appuntamento attraverso i social sulla sponda del fiume Serchio per prendersi a bastonate senza un motivo. Durante la zuffa, uno di loro, 16 anni, ha tirato fuori un coltello e per poco non c’è scappato il morto: un quindicenne è stato colpito con un fendente che gli ha reciso l’intestino. È in prognosi riservata. Alla rissa avrebbero partecipato una ventina di ragazzi, tutti studenti delle superiori, senza precedenti.
A Siena, la commissione diocesana per la tutela dei minori ha espresso «viva preoccupazione per un fenomeno di violenza fatta da ragazzi travolti dal clima di anonimato e disagio che li porta a bullizzare coetanei stranieri, o più piccoli, o altri ragazzi isolati ». L’organismo dell’arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino è intervenuto dopo che la procura minorile ha emesso misure cautelari nei confronti dei cinque adolescenti che la scorsa estate avrebbero compiuto atti di violenza in città.
Ma cosa sta succedendo? È davvero tutta colpa del lockdown e della “didattica a distanza” che impedisce ai ragazzi le normali relazioni con gli altri? O esiste, invece, un malessere più profondo, legato alle paure dei grandi e capace di travolgere i giovani più fragili che non hanno punti di riferimento?
«A mio parere, tranne gli episodi che avvengono all’interno della famiglia, dovuti alla forzata convivenza in casa, non si tratta di condotte da associare al lockdown o alla pandemia, anche se queste condizioni sono comunque pesanti» sostiene don Claudio Burgio, cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano e fondatore dell’associazione Kayrós che da oltre vent’anni gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti.
«Si tratta piuttosto di un percorso avviato da tempo – spiega – le cui origini vanno ricercate nella cultura individualista, che mette al centro l’“io” e non la comunità o l’appartenenza sociale: è così che si arriva inevitabilmente al conflitto ». «La questione è sempre la stessa: cosa trasmettiamo noi adulti ai ragazzi? Che conta solo l’interesse personale».
È la ragione per cui spesso domina in loro un’immagine narcisistica di se stessi. «Ecco perché – aggiunge don Burgio – a una sfida su Instagram non possono tirarsi indietro: temono che il loro “io” si svilisca. E nessuno li aiuta a capire che non è così. Il bullismo, per esempio, nasce da un sistema perverso che serve per difendersi e non è, di per sé, un attacco: se la prendono con i deboli per tutelare la propria immagine e “rispettabilità” - conclude il sacerdote –, la parola chiave dunque è “comunità”, e non “immunità”». L’unico modo per salvarsi.
Su Vita il parere dell'esperto chiama invece in causa proprio il lockdown:
Ad alzare la voce sono tanti medici, come si vede anche nel ricorso presentato al Tar della Lombardia da parte di decine di firmatari tra professori universitari, medici e ricercatori scientifici, tra cui anche l’epidemiologa Sara Gandini e il chirurgo Paolo Spada, per chiedere di sospendere l’ordinanza con cui Regione Lombardia aveva prolungato la chiusura delle scuole superiori fino al 24 gennaio. Invece spesso si cerca di liquidare la questione dicendo che chi chiede più attenzione e diritti per i ragazzi non capisce che siamo dentro l’emergenza di una pandemia.
Chiedere più attenzione per i ragazzi non vuol dire ignorare l'esigenza di un'attenzione sanitaria: possibile che non c’è una via di uscita? E soprattutto, perché ostinarsi a far finta che la situazione odierna è irrilevante e non avrà una onda lunga di conseguenze? Invece di pensarci quando tutto sarà finito, cominciare a pensarci adesso che significa?
La mia idea è che la prima cosa è parlarne. Il Paese deve avere più consapevolezza che siamo in una situazione particolarmente complessa in cui gli adolescenti sono i dimenticati. Questo in cosa si dovrebbe tradurre? In un aiuto concreto, oggi e domani. Vuol dire supporto psicologico, per i ragazzi e per gli insegnanti. Un supporto psicologico da affiancare già oggi alla didattica a distanza o in presenza, intervenire nelle scuole è qualcosa che volendo si può fare in brevissimo tempo. L’altro aspetto è non trascurare, a scuola, il dialogo con gli studenti, avviando un confronto sui loro vissuti, con tanti strumenti di racconto. Soprattutto la scuola dovrebbe riaprire… I dati ci dicono che i contagi a scuola pesano il 2%. Non serve tornare al 100% di apertura, in questa fase è più prudente questa fare dei turni ma è fodnamentale che i ragazzi tornino a uscire di casa per andare a scuola, tra i loro pari, anche per due o tre ore al giorno, anche a giorni alterni.
" I dati - e sto parlando di prima del Covid - dicono che almeno il 20% adolescenti ha un disturbo mentale, che è stessa percentuale che si ritrova nella della popolazione generale, mentre nell’infanzia siamo al 10%. Sono i disturbi in assoluto più frequenti, ma la cosa paradossale è che in pediatria non si studia psichiatria e quindi la diagnosi è spesso tardiva, oppure i genitori sono lasciati soli e non sapendo dove andare si rivolgono allo psicologo sotto casa".