Paolo Palumbo è un giovane di 22
anni, di Oristano, malato di Sla. Ha provato a partecipare a Sanremo Giovani
con un brano scritto da lui stesso. La canzone è stata scartata ma Amadeus l’ha
ripescata e ha invitato il giovane sul palco di Sanremo 2020 a eseguirla. Io
sono Paolo è
il titolo del brano che al teatro Ariston è stato interpretato dal rapper
Kumalibre.
Al
termine dell’esibizione, Paolo Palumbo ha commosso l’Ariston raccontando la sua
storia attraverso l’uso di un comunicatore vocale che interpreta i movimenti
oculari del giovane traducendoli in parole.
Buonasera a tutti, lasciate che mi presenti, mi chiamo
Paolo Palumbo, ho 22 anni. Sono nato in Sardegna e da 4 anni combatto contro la
Sclerosi Laterale Amiotrofica, conosciuta come SLA. Ringrazio lo staff di
Sanremo e Amadeus per avermi dato l’opportunità di essere qui stasera e di
portare il mio messaggio usando questa voce un po’ particolare.
Chiudete gli occhi: provate a immaginare
che la vostra quotidianità, anche nei gesti più piccoli, venga improvvisamente
stravolta. Immaginate che il corpo che per anni vi ha sostenuti non risponda
più ai vostri comandi, e che non possiate più provare il piacere di dissetarvi
con un sorso d’acqua, di canticchiare la vostra canzone preferita, o di fare un
bel respiro profondo.
In Italia, siamo oltre 6000 ad aver
provato queste sensazioni e ad aver fatto degli accertamenti che ci hanno
catapultato in un mondo ignoto. Sapete chi è la persona che mi sta vicino? Si
chiama Rosario, e non è solo mio fratello. È anche il vero eroe di questa
storia. Pensate che al momento della diagnosi lui ha lasciato tutto per
prendersi cura di me, diventando le mie gambe e le mie braccia. Grazie a lui le
mie incertezze sono scomparse.
Certo, ogni tanto mi fa arrabbiare e lo
rimprovero, ma mi basta la dolcezza con cui lui mi parla a far tornare tutto
come prima. Rosario e la mia splendida
famiglia mi hanno insegnato cosa significa la parola sacrificio, dedicandomi la
loro vita senza chiedermi nulla in cambio, se non di rimanere qui con loro.
Grazie
al loro amore ho scoperto una forza interiore che non sapevo di avere e che
vorrei trasmettervi, perché sono convinto che ce l’abbiamo tutti, anche se non
ce ne rendiamo conto. È stato
grazie a questa forza che la SLA non è riuscita a impedirmi di diventare uno
chef e di realizzare tutto quello che avevo in mente.
Perciò,
la mia non è la storia di un ragazzo sfortunato, ma quella di un ragazzo che
non si è arreso davanti alle difficoltà e ha imparato a farne un punto
d’appoggio su cui costruire qualcosa di nuovo. Quando vi dicono che i vostri
sogni non si possono realizzare, continuate dritti per la vostra strada e
seguendo il cuore, perché i limiti sono solo dentro di noi. La vita non è una
passeggiata e dovremmo fronteggiare le sfide che ci mette davanti con tutto
l’entusiasmo possibile.
Poco più di un mese fa ho affrontato un
momento difficile, una crisi respiratoria. Se non fosse stato per la bravura
dei medici e il sostegno di tutti quelli che sono accanto a me, oggi non ci
sarei. Quando mi sono risvegliato dalla rianimazione ho riflettuto sulla
fortuna di essere vivi.
Vi
faccio una domanda: avete usato il vostro tempo nel migliore dei modi? Avete
detto tutti i “Ti voglio bene” che volevate? Avete cercato di fare il lavoro
che sognavate di fare per svegliarvi col sorriso?
In
questi ultimi anni ho imparato che il tempo che abbiamo a disposizione è poco e
prezioso e dovremmo viverlo intensamente, riempiendolo di amore e di altruismo.
Date al mondo il lato migliore di voi e vedrete che le cose andranno meglio,
perché se abbiamo bisogno di un cambiamento è soprattutto nella mente, dove
stagnano le disabilità più pericolose come la mancanza di empatia e
tolleranza.
Malattie
come la mia ci rendono uguali, colpiscono senza giudicare le nostre storie, la
nostra bontà, il nostro ceto sociale o i nostri progetti. Perciò, nel vostro
piccolo, fate quanto più potete per aiutare il prossimo. Non buttate via la
vostra vita, e quando di fronte a un problema crederete di non farcela,
ascoltate e riascoltate la mia canzone, fatela sentire a chi amate e pensate a
me e a tutti quei guerrieri che ogni minuto lottano per vivere. Grazie a
tutti.
La fede – spiega ad Avvenire – è il mio volo principale, il dono più grande che ho coltivato
al giungere della malattia e nel momento più difficile ha salvato la mia anima. Credo
profondamente e prego tanto, tutti i giorni. Prego perché i miei sforzi abbiano
un senso nell’umanità. Prego ovviamente per i miei cari. Quanto a me, pregare
per chiedere la grazia della guarigione sarebbe egoistico: Dio ha un disegno
per tutti noi, se sono in questa condizione c’è un motivo preciso e questa
consapevolezza mi basta.
Grazie per aver testimoniato a tutti, credenti e non credenti, la forza
che ti giunge dalla recita del Rosario, la preghiera dei poveri, la preghiera
dei semplici, la preghiera di tutti.