La vita consacrata: echi dalla giornata dedicata ai religiosi
Echi della giornata per la vita consacrata, 2 febbraio. Innanzitutto dall'omelia pronunciata da papa Francesco:
...voi, cari fratelli e sorelle consacrati, siete uomini e donne semplici che avete visto il tesoro che vale più di tutti gli averi del mondo. Per esso avete lasciato cose preziose, come i beni, come crearvi una famiglia vostra. Perché l’avete fatto? Perché vi siete innamorati di Gesù, avete visto tutto in Lui e, rapiti dal suo sguardo, avete lasciato il resto. La vita consacrata è questa visione. È vedere quel che conta nella vita. È accogliere il dono del Signore a braccia aperte, come fece Simeone. Ecco che cosa vedono gli occhi dei consacrati: la grazia di Dio riversata nelle loro mani. Il consacrato è colui che ogni giorno si guarda e dice: “Tutto è dono, tutto è grazia”. Cari fratelli e sorelle, non ci siamo meritati la vita religiosa, è un dono di amore che abbiamo ricevuto.
... Saper vedere la grazia è il punto di partenza. Guardare indietro, rileggere la propria storia e vedervi il dono fedele di Dio: non solo nei grandi momenti della vita, ma anche nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie...
... sulla vita religiosa incombe questa tentazione: avere uno sguardo mondano. È lo sguardo che non vede più la grazia di Dio come protagonista della vita e va in cerca di qualche surrogato: un po’ di successo, una consolazione affettiva, fare finalmente quello che voglio. Ma la vita consacrata, quando non ruota più attorno alla grazia di Dio, si ripiega sull’io. Perde slancio, si adagia, ristagna. E sappiamo che cosa succede: si reclamano i propri spazi e i propri diritti, ci si lascia trascinare da pettegolezzi e malignità, ci si sdegna per ogni piccola cosa che non va e si intonano le litanie del lamento – le lamentele, “padre lamentele”, “suor lamentele” -: sui fratelli, sulle sorelle, sulla comunità, sulla Chiesa, sulla società. Non si vede più il Signore in ogni cosa, ma solo il mondo con le sue dinamiche, e il cuore si rattrappisce. Così si diventa abitudinari e pragmatici, mentre dentro aumentano tristezza e sfiducia, che degenerano in rassegnazione. Ecco a che cosa porta lo sguardo mondano. La grande Teresa diceva alle sue suore: “Guai la suora che ripete ‘mi hanno fatto un’ingiustizia’, guai!”...
La vita consacrata, se resta salda nell’amore del Signore, vede la bellezza. Vede che la povertà non è uno sforzo titanico, ma una libertà superiore, che ci regala Dio e gli altri come le vere ricchezze. Vede che la castità non è una sterilità austera, ma la via per amare senza possedere. Vede che l’obbedienza non è disciplina, ma la vittoria sulla nostra anarchia nello stile di Gesù...
Chi tiene lo sguardo su Gesù impara a vivere per servire. Non aspetta che comincino gli altri, ma si mette in cerca del prossimo, come Simeone che cercava Gesù nel tempio. Nella vita consacrata dove si trova il prossimo? Questa è la domanda: dove si trova il prossimo? Anzitutto nella propria comunità. Va chiesta la grazia di saper cercare Gesù nei fratelli e nelle sorelle che abbiamo ricevuto. È lì che si inizia a mettere in pratica la carità: nel posto dove vivi, accogliendo i fratelli e le sorelle con le loro povertà, come Simeone accolse Gesù semplice e povero. Oggi, tanti vedono negli altri solo ostacoli e complicazioni. C’è bisogno di sguardi che cerchino il prossimo, che avvicinino chi è distante. I religiosi e le religiose, uomini e donne che vivono per imitare Gesù, sono chiamati a immettere nel mondo il suo stesso sguardo, lo sguardo della compassione, lo sguardo che va in cerca dei lontani; che non condanna, ma incoraggia, libera, consola, lo sguardo della compassione.Al termine della Messa ha preso la parola il cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica:
Seguendo la parola di Gesù, che nel 2015 lei ci ha ricordato, abbiamo cercato di identificare gli otri nuovi necessari oggi alla vita consacrata per contenere il vino nuovo che è Gesù. Li abbiamo identificati in modo particolare nel risignificare la formazione, nel curare con premura la vita fraterna in comunità, tenendo conto dell’importanza delle dimensioni umana e spirituale in modo particolare. In questo senso va rivisto il modo di vivere l’obbedienza e l’autorità, ma anche la necessaria complementarietà tra maschile e femminile anche per la vita consacrata».Nel saluto che il vicario per vita consacrata della diocesi di Bologna (p. Enzo Brena scj, superiore provinciale dei dehoniani dell’Italia settentrionale) ha rivolto al vescovo Zuppi all’inizio della celebrazione della messa in cattedrale coi religiosi, ha affermato:
Vedi anche l'articolo di Mocellin su Avvenire: "Giornata della vita consacrata: in Rete la celebrano tre suore":«Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messi nella società come un pugno di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno» (papa Francesco) nel quale tutti i cristiani possono riconoscere il cammino che rende presente il suo Regno.Crediamo fermamente che la vita consacrata è vita donata che dà gioia al popolo di Dio, è visione profetica che rivela ciò che conta davvero nella vita. Quando è vissuta bene, «la vita consacrata diventa segno di pienezza di vita, richiamo per tutti contro la mediocrità: contro l’accidia nella vita spirituale, contro la tentazione di giocare al ribasso con Dio, contro l’adattamento a una vita comoda e mondana, contro l’insoddisfazione, il lamentarsi sempre e il piangersi addosso»… tutte paure che portano a vivere in modo insensato la propria libertà, ad abdicare alla propria responsabilità di figli.
Ho celebrato in Rete la Giornata della vita consacrata in compagnia di tre suore. Suor Lorena Bonardi, sacramentina, 50 anni, si è raccontata sul blog di don Mauro Leonardi ( bit.ly/37WLFfJ ) esplorando in lungo e in largo una metafora oggettivamente felice, sebbene inconsueta. «Da sempre mi identifico volentieri con il girasole. Perché l'essere donna consacrata è essere donna innamorata, donna dell'incontro e della relazione»: nella «costante ricerca di quella Luce capace di custodire la pienezza della vita che ogni giorno desidero e cerco»; con «i piedi ben piantati in terra, ma con il cuore e la mente ricercatori di Cielo». Suor Naike Monique Borgo, orsolina s.c.m., 38 anni, ha condiviso su Facebook con un discretissimo «Ieri così» (e un emoticon gioioso) la sua presenza come ospite al “Diario di Papa Francesco” di Tv2000 ( bit.ly/36TGoE3 ). Dove ha risposto alla bella domanda di Gennaro Ferrara: «Vi sentite sotto pressione dalla comunità cristiana, meno perdonabili degli altri per le proprie debolezze, come se doveste essere per forza esemplari?» prendendosi, prima, quattro lunghi secondi di tempo e di fiato, poi argomentando le sue convinzioni e infine sintetizzando: «Non mi sento una superdonna». Suor Divya Naduvilathajil, delle Figlie della Divina Provvidenza di don D'Aste, 30 anni, è rimasta seriamente ferita il 31 gennaio mentre pregava il Rosario in una chiesa di Genova. È stato uno squilibrato che, armato di coltello, voleva aggredire l'anziano sacerdote: così suor Divya ha cercato di difenderlo, come hanno raccontato “Avvenire” ( bit.ly/2GTmjTY ) e pochi altri. Ora, dice la sua madre superiora, è ancora scossa da quanto accaduto; ripete: «Non me lo aspettavo» e per il resto non ha molta voglia di parlare. Neppure lei, a quanto pare, si è sentita una superdonna, e chissà se si è mai vista come un girasole. Certo non immaginava che avrebbe così ben celebrato, con qualche giorno d'anticipo, la Giornata della vita consacrata.