Per i 50 anni di ordinazione sacerdotale di papa Francesco
La sua Diocesi di Roma ha invitato tutte le Parrocchie a pregare per lui già domenica scorsa con questa intenzione:
«Per papa Francesco che il 13 dicembre celebra il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale: il Signore che lo ha chiamato a essere amministratore dei Santi Misteri e vescovo di Roma lo guidi e lo sostenga con la grazia del suo Spirito e gli doni la consolazione che deriva dalla preghiera di tutta la Chiesa. Preghiamo».L'Osservatore Romano: Jorge Mario Bergoglio racconta la sua vocazione sacerdotale in un’intervista radiofonica rilasciata il 1° novembre 2012:
Vatican news: Papa Francesco, 50 anni di sacerdozio: al servizio di Dio e del suo popolo"Io stavo frequentando il collegio industriale, studiavo chimica, e un 21 di settembre, per questo me lo ricordo sempre, sono uscito per andare a passeggiare con i miei compagni e sono passato per la chiesa di Flores. Io andavo alla chiesa di Flores, a San José. Sono entrato, sentivo che dovevo entrare: quelle cose che senti dentro e non sai cosa sono. E ho guardato, era un po’ buio, era un mattino di settembre, forse le 9, e ho visto un sacerdote che camminava, non lo conoscevo, non era di quella chiesa. E si siede in uno dei confessionali, l’ultimo sulla sinistra guardando l’altare. Non so cosa sia successo poi. Ho avuto la sensazione che qualcuno mi afferrava dentro e mi portava nel confessionale. Certo, gli ho raccontato le mie cose, mi sono confessato... ma non so cosa sia successo... Là, ho sentito che dovevo essere sacerdote. Ne ero certo, ne ero certo. Invece di andare a passeggiare con gli altri, sono tornato a casa, perché ero come emozionato. Dopo, ho proseguito i miei studi e tutto il resto, ma deciso a seguire quel cammino"
Sono passati 50 anni. Era il 13 dicembre del 1969: Jorge Mario Bergoglio, 4 giorni prima del suo 33.mo compleanno, viene ordinato sacerdote. La sua vocazione risale al 21 settembre 1953, memoria di San Matteo, il pubblicano convertito da Gesù: durante una confessione fa un’esperienza profonda della misericordia di Dio. È una gioia immensa che lo spinge a prendere una decisione “per sempre”: farsi prete.
È tempo di misericordia
È proprio la Divina misericordia che caratterizza tutta la sua vita sacerdotale. I preti - afferma - senza fare rumore lasciano tutto per impegnarsi nella vita quotidiana delle comunità, dando agli altri la propria vita, “si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore”. Così, “a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti … Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto … C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite”. Questo - ricorda spesso - è il tempo della misericordia (Discorso ai parroci di Roma, 6 marzo 2014).
Uomo dell’Eucaristia: al centro c’è Gesù
Il sacerdote - dice Francesco - è un uomo decentrato, perché al centro della sua vita non c’è lui ma Cristo. Per questo ringrazia i sacerdoti per la celebrazione quotidiana dell'Eucaristia: “Nella Celebrazione eucaristica ritroviamo ogni giorno questa nostra identità di pastori. Ogni volta possiamo fare veramente nostre le sue parole: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». È il senso della nostra vita, sono le parole con cui … possiamo rinnovare quotidianamente le promesse della nostra Ordinazione. Vi ringrazio per il vostro ‘sì’, e per tanti ‘sì’ nascosti di tutti i giorni, che solo il Signore conosce. Vi ringrazio per il vostro ‘sì’ a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia” (Omelia per il Giubileo dei sacerdoti, 3 giugno 2016). E invita i sacerdoti ad essere prudenti e audaci nello stesso tempo, perché l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (Evangelii gaudium, 47).
La vita sacerdotale nel confessionale
Al servizio di Dio e del suo popolo, il sacerdote svolge una parte importante della sua missione nel confessionale, dove può dispensare l’eccesso della misericordia di Dio. Esorta i preti a non essere rigoristi né lassisti: “Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido”. Anche il lassista “si lava le mani: solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo!” (Discorso ai parroci di Roma, 6 marzo 2014).
La preghiera, Maria e la lotta contro il diavolo
Il sacerdote – sottolinea il Papa – è innanzitutto uomo di preghiera. È dall’intimità con Gesù che sgorga la vera carità. È l’unione con Dio che fa vincere le innumerevoli tentazioni del male. Il diavolo esiste, non è un mito - ricorda spesso - è astuto, menzognero, ingannatore. Francesco invita a guardare Maria, a pregare il Rosario ogni giorno, è la sua preghiera del cuore, soprattutto in questo periodo, per proteggere la Chiesa dagli attacchi del diavolo che vuole portare la divisione. “Guardare Maria è tornare a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”, Lei è “l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita” e come “una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio” (Lettera ai sacerdoti nel 160.mo anniversario della morte del Curato d’Ars).
I poveri e il giudizio finale
La spiritualità del prete è incarnata nella realtà di tutti i giorni - osserva Francesco - e si fa voce profetica di fronte alle oppressioni che calpestano il povero e il debole: la Chiesa “non può e non deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” relegando la religione, come vorrebbero alcuni, ”alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale e nazionale” (Evangelii Gaudium, 183), perché il regno di Dio inizia qui in terra ed è già qui che incontriamo Gesù: il giudizio finale verterà proprio su ciò che avremo fatto a Cristo nei poveri, nei malati, nei forestieri, nei carcerati (Mt, 25). Saremo giudicati sull’amore: ma non ci può essere amore senza giustizia, come diceva San Giovanni Paolo II.
Sacerdoti che danno la vita e lo scandalo degli abusi
Il Papa non tace la “mostruosità” degli abusi compiuti dai sacerdoti, ripete sempre la vicinanza alle vittime, ma pensa anche ai tantissimi bravi preti che portano il peso di crimini che non hanno commesso: sarebbe “ingiusto non riconoscere tanti sacerdoti che in maniera costante e integra offrono tutto ciò che sono e che hanno per il bene degli altri”. Quei preti “che fanno della loro vita un’opera di misericordia in regioni o situazioni spesso inospitali, lontane o abbandonate, anche a rischio della propria vita”. Il Papa li ringrazia “per il coraggioso e costante esempio” e invita a non scoraggiarsi, perché “il Signore sta purificando la sua Sposa e ci sta convertendo tutti a sé. Ci sta facendo sperimentare la prova perché comprendiamo che senza di Lui siamo polvere” (Lettera ai sacerdoti nel 160.mo anniversario della morte del Curato d’Ars).
Nelle prove, ricordare il primo incontro con Gesù
Il Papa pensa ai momenti di difficoltà che possono vivere i sacerdoti, invitandoli a ritornare al primo incontro con Gesù, a quei momenti luminosi in cui si è sperimentata la chiamata del Signore a consacrare tutta la vita al suo servizio: occorre ritornare “a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. È da quella scintilla che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle. Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona e mite” (Omelia nella Veglia Pasquale, 19 aprile 2014).
La stanchezza buona dei sacerdoti
“Sapete - confessa il Papa - quante volte penso a questo: alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io. Prego per voi che lavorate in mezzo al popolo fedele di Dio che vi è stato affidato, e molti in luoghi assai abbandonati e pericolosi. E la nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo. La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre … C’è quella che possiamo chiamare ‘la stanchezza della gente, la stanchezza delle folle’: per il Signore, come per noi, era spossante – lo dice il Vangelo –, ma è una stanchezza buona, una stanchezza piena di frutti e di gioia … È la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore” e “con il sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini … Solo l’amore dà riposo” (Omelia nella Messa del Crisma, 2 aprile 2015).
Omelie brevi che fanno ardere i cuori
L’importanza dell’omelia è stata sottolineata tante volte da Francesco che esorta con forza i sacerdoti a prepararla bene con un tempo prolungato di studio, preghiera e riflessione. Invita a fare omelie brevi che non siano né uno spettacolo né una conferenza o una lezione puramente moralista e indottrinante: bisogna saper dire “parole che fanno ardere i cuori” con un linguaggio positivo: non dicendo tanto quello che non si deve fare ma piuttosto proponendo quello che si può fare meglio: “Una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività” (Evangeli gaudium, 159) esprimendo “vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (Evangelii gaudium, 165). Il Papa sottolinea il ruolo fondamentale del ‘kerygma’ il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (Evangelii gaudium, 164).
L’umorismo dei sacerdoti
“Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo” ricorda il Papa ai sacerdoti citando San Filippo Neri o la preghiera del buonumore di San Tommaso Moro. È una gioia che nasce dall’unione con Gesù e dalla fraternità. “Il senso dell’umorismo è una grazia che io chiedo tutti i giorni” - ha detto nel novembre 2016 in una intervista rilasciata a Tv2000 e InBlu Radio – perché “il senso dell’umorismo ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. È un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio”. È segno di una grande maturità spirituale che nasce dallo Spirito Santo.
L’appello del Papa ai fedeli: sostenete i preti
Papa Francesco chiede ai sacerdoti di essere sempre vicini alla gente, ma nello stesso tempo chiede ai fedeli di sostenere i preti: “Cari fedeli, siate vicini ai vostri sacerdoti con l’affetto e con la preghiera perché siano sempre pastori con il cuore di Dio” (Omelia per la Messa del Crisma, 28 marzo 2013).Avvenire: L'anniversario. Bergoglio, 50 anni di servizio. Papa, ma prima di tutto prete
Conserva ancora, su un foglio scolorito dal tempo, la personale professione di fede scritta in un momento di grande intensità spirituale poco prima di essere ordinato sacerdote: «Credo nella mia storia, permeata dallo sguardo benevolo di Dio, che nel primo giorno di primavera, il 21 settembre, mi è venuto incontro e mi ha invitato a seguirlo». È il 13 dicembre 1969, quattro giorni prima del suo trentatreesimo compleanno, quando le mani dell’arcivescovo di Cordoba, Ramon José Castellano, sulla testa di Jorge Mario Bergoglio ungono l’inizio di una storia vissuta di sacerdozio, che ancora continua, «h-24», senza ferie e senza sosta, da cinquant’anni. Perché papa Francesco è prima di tutto un prete, cioè un padre che ha continuato ad esserlo e a farlo. E di fatto, anche da Papa, a partire dalle messe quotidiane a Santa Marta, come parroco del mondo: «Io faccio il prete, e mi piace».Dando questa testimonianza, che forse non potrebbe essere meglio sintetizzata che così: «E questo mettetevelo bene in testa e nel cuore: pastori sì, funzionari no! La vita parla più delle parole. La testimonianza contagia. Si possono fare tante discussioni sul rapporto Chiesa-mondo e Vangelo-storia, ma non serve se il Vangelo non passa prima dalla propria vita. E il Vangelo ci chiede, oggi più che mai, questo: servire nella semplicità, nella testimonianza. Questo significa essere ministri: non svolgere delle funzioni, ma servire lieti, senza dipendere dalle cose che passano e senza legarsi ai poteri del mondo. Così, liberi per testimoniare, si manifesta che la Chiesa è sacramento di salvezza, cioè segno che indica e strumento che offre la salvezza al mondo». E questo papa Francesco lo ha detto il 15 settembre dell’anno scorso a Palermo, davanti alla tomba di don Pino Puglisi, indicando il programma di vita quotidiano che fa l’identità sacerdotale vissuta in prima persona, in persona Christi: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto per voi», lasciandosi letteralmente 'mangiare' dai fratelli, perché «il sacerdote è uomo di Dio 24 ore su 24, non uomo del sacro quando indossa i paramenti», «uomo del dono e del perdono», che «coniuga nella vita il verbo celebrare».E ha spiegato, rivolgendosi ai religiosi, quanto sia «fondamentale pregare Colui di cui parliamo, nutrirci della Parola che predichiamo, adorare il Pane che consacriamo, e farlo ogni giorno: Preghiera, Parola, Pane», come è stato per padre Pino Puglisi, detto «3P». E ha ricordato ancora queste tre P essenziali per ciascun prete ogni giorno, essenziali per tutti i consacrati ogni giorno: «Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che serve per fare carriera, ma una missione, un servizio, secondo il vero potere, il potere secondo Dio».E come continuare a declinare queste tre P di servizio, «richiamando alla memoria una storia di grazia», appare in fondo l’unico interesse della sua vita di sacerdote. Alle quali si aggiunge la P di padre che affonda proprio sul «richiamare alla memoria, quella di cui si parla nel Deuteronomio, la memoria delle opere di Dio che sono alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo». a memoria che invita a recuperare, cioè «una storia di grazia che, data la nostra condizione di peccatori, è sempre fatta di grazie, di misericordia – spiegava Bergoglio già da provinciale dei gesuiti ai suoi confratelli – perché è questa coscienza d’essere fondati sulla paterna misericordia del Signore, che mi fa figlio, che ci rende figli, che ci fonda anche come padri». «Nella Bibbia – affermava allora come oggi – i padri sono coloro che sanno sintetizzare il nuovo con il vecchio e sono portatori di un’eredità inalienabile, senza impadronirsene, perché sia feconda.Un padre è quello che non smette mai di vedere nel germoglio di grano, pur indebolito da tanta zizzania, la speranza della crescita, e per questo scende in strada ad aspettare il figlio che l’ha abbandonato, come riferisce Luca nella sua parabola ». Ed è proprio questa paternità generativa nell’ordine della grazia, questa 'paternità filiale' che si fa prossima e coincide con il proprium del ministero sacerdotale a cui tante volte ha richiamato i preti il Papa in questi anni. E il susseguirsi assiduo di incontri con i sacerdoti, i numerosi colloqui sempre compresi anche nei viaggi apostolici, i tanti interventi, le omelie, le lettere a questi destinati fin dall’inizio del pontificato e fino al breve vademecum di «10 cose che papa Francesco propone ai sacerdoti » spedito direttamente al cuore dei suoi figli perché accrescano il proprio ministero sacerdotale e il rapporto con i fedeli. el suo insieme un vero e proprio magistero ad hoc che affonda e riemerge dalla materia abbondante di riflessioni, corsi di esercizi frutto d’esperienza di guida, di ritiri spirituali predicati in un vissuto che si appella a luoghi, tempi e persone nell’arco di tanti anni. Da dove attinge quel consiglio sempre attuale del discernimento che viene dal Vangelo insegnatogli dal padre Miguel Ángel Fiorito e l’attitudine d’avere sempre «un orecchio per ascoltare la Parola di Dio e un orecchio per ascoltare il popolo», perché «non esiste l’evangelizzazione di laboratorio, l’evangelizzazione è sempre 'corpo a corpo', 'personale', altrimenti non è evangelizzazione: corpo a corpo con il popolo di Dio, e corpo a corpo con la Parola di Dio», come ha ricordato ancora una volta il 30 ottobre 2018 ai giovani della diocesi francese di Viviers.E con il filo d’oro che accompagna tutto: «Quello di riconoscersi peccatori e di chiedere perdono che è una grazia. E lo è anche correggersi», come scriveva già nelle sue meditazioni dettate da provinciale dei gesuiti, perché «la fede va chiesta, ci guardi Dio dal non essere insistente con Lui e con i suoi santi» per poter perseguire l’itinerario «paziente e umile» lungo il quale imparare dalla gente e come aiutare la gente.In questo modo solo «con un servizio umile avremo l’opportunità di condurli a scoprire, nel cuore delle loro difficoltà e delle loro lotte, Gesù Cristo, vivente e operante con la potenza del suo Spirito. Potremo così parlare loro di Dio nostro Padre, che riconcilia a sé l’umanità stabilendola nella comunione d’una vera fraternità. In altre parole, potremo apprendere ad ascoltare la voce dei popoli, che ne hanno una, invece che attribuire a noi stessi di parlare al loro posto, con una lingua lontana chilometri dalle aspirazioni del loro cuore. Questo è essere leali all’incarnazione del Signore, questo è camminare con i poveri». «San Giovanni – scrive – ci ricorda oggi 'l’ultima ora', come momento escatologico, l’ora dei falsi profeti ( Mt 24, 11). L’ultima ora è la venuta di Cristo... ogni venuta di Cristo nella nostra vita. Ci viene chiesto di non dimenticarci, per essere fedeli a questo momento escatologico, dell’unzione che abbiamo ricevuto. Gli anticristi sono fra noi: sono coloro che si sono stancati del Cristo umile».Nel suo celebre Giornale dell’animaanche Giovanni XXIII, con il suo alto senso del sacerdozio vissuto, aveva scritto in occasione del suo ottantesimo compleanno: «A ottant’anni cominciati, questo è ciò che importa: svuotarmi di me stesso, confortarmi nel Signore, e rimanere in confidenza della Sua misericordia. Soprattutto voglio continuare a rispondere sempre bene per male, e a preferire, in tutto, il Vangelo ». Sono queste le prerogative di un 'papa cristiano', secondo l’espressione che era stata usata da Hannah Arendt per definire Giovanni XXIII e che spinsero la filosofa ebrea a scrivere quel profilo singolare di un uomo che alla banalità del male oppose la quotidianità pratica del bene. E che quest’uomo cristiano, questo sacerdote, come papa Francesco, s’inscrivesse nella linea di coloro che spesso in umiltà hanno praticato, e non solo predicato, l’imitatio Christi è un problema ben più ampio che attiene proprio alla quotidianità del bene e al suo fiorire, rispetto alle dinamiche di un’istituzione autoreferenziale e narcisistica della Chiesa. Nella quale invece sempre «il grano e la zizzania cresceranno insieme e la nostra umile missione di unti dal Signore sarà soprattutto quella di proteggere come un padre il grano, lasciando agli angeli il compito di falciare la zizzania».