Il cardinale Matteo Zuppi e il suo ultimo libro: "Odierai il prossimo tuo"
Matteo Maria Zuppi (Roma, 11 ottobre 1955) è un cardinale (da 5 ottobre 2019) e arcivescovo cattolico italiano, dal 27 ottobre 2015 arcivescovo metropolita di Bologna. E' anche scrittore:
Oltre che nella sua pagina wikipedia, la sua biografia è riportata anche in Vatican news:
- Matteo Maria Zuppi, La Confessione, il perdono per cambiare, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2010, ISBN 978-88-215-6821-3.
- Matteo Maria Zuppi, Guarire le malattie del cuore: itinerario quaresimale, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, ISBN 978-88-215-7649-2.
- Matteo Maria Zuppi, Odierai il tuo prossimo come te stesso. Perché abbiamo dimenticato la fraternità, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 2019, ISBN 978-88-566-7233-6.
Sul suo ultimo libro troviamo diverso materiale così sintetizzato:Romano, legato sin dalla gioventù alla Comunità di Sant'Egidio, da quattro anni alla guida della Chiesa di Bologna, Matteo Maria Zuppi è l'unico tra gli arcivescovi residenziali in Italia che riceve la porpora in questo concistoro.Nell'Urbe è nato l’11 ottobre 1955, quinto dei sei figli del giornalista e fotografo Enrico, che dal 1947 al 1979 lavorò in Vaticano alla direzione del settimanale «L’Osservatore della Domenica», e di Carla Fumagalli, nipote del cardinale Carlo Confalonieri, che nel 1978 come decano del Sacro Collegio presiedette le esequie di due Pontefici: Paolo VI e Giovanni Paolo I.Nel 1973, studente al liceo Virgilio ha conosciuto Andrea Riccardi, il fondatore di Sant'Egidio, iniziando a frequentare la Comunità e collaborando alle attività al servizio degli ultimi da essa promosse: dalle scuole popolari per i bambini emarginati delle baraccopoli romane, alle iniziative per anziani soli e non autosufficienti, per gli immigrati e i senza fissa dimora, i malati terminali e i nomadi, i disabili e i tossicodipendenti, i carcerati e le vittime dei conflitti; da quelle ecumeniche per l'unità tra i cristiani a quelle per il dialogo interreligioso, concretizzatesi negli Incontri di Assisi.A ventidue anni, dopo la laurea in Lettere e filosofia all’Università La Sapienza, con una tesi in Storia del cristianesimo, è entrato nel seminario della diocesi suburbicaria di Palestrina, seguendo i corsi di preparazione al sacerdozio alla Pontificia università Lateranense, dove ha conseguito il baccellierato in Teologia.Ordinato presbitero per il clero di Palestrina il 9 maggio 1981, nella cattedrale di Sant'Agapito martire, dal vescovo Renato Spallanzani, subito dopo è stato nominato vicario del parroco della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, monsignor Vincenzo Paglia. E quando nel 2000 quest'ultimo è stato eletto vescovo, l'avvicendamento naturale è stato con “don Matteo” - come lo chiamano tutti anche oggi – che ha ricoperto l'incarico per dieci anni. Incardinato a Roma il 15 novembre 1988, è stato anche rettore della chiesa di Santa Croce alla Lungara dal 1983 al 2012, e membro del consiglio presbiterale diocesano dal 1995 al 2012. Nel secondo quinquennio come parroco a Trastevere, dal 2005 al 2010, è stato inoltre prefetto della terza prefettura di Roma e dal 2000 al 2012 assistente ecclesiastico generale della Sant’Egidio, dopo che con Riccardi aveva anche svolto un ruolo di mediazione in Mozambico nel processo che ha portato alla pace dopo oltre diciassette anni di sanguinosa guerra civile.Intanto nel 2010 ha lasciato la basilica trasteverina per iniziare il ministero di parroco dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela, una delle comunità più popolose della diocesi, nella immensa periferia orientale della città; e nel 2011 è divenuto anche prefetto della diciassettesima prefettura di Roma. Poco dopo, il 31 gennaio 2012 da Benedetto xvi è stato nominato vescovo titolare di Villanova e ausiliare di Roma.Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 14 aprile per le mani dell'allora cardinale vicario Agostino Vallini, conconsacranti l'arcivescovo Giovanni Battista Pichierri e il vescovo Vincenzo Paglia, oggi arcivescovo, suo predecessore come parroco di Santa Maria in Trastevere e come assistente ecclesiastico di Sant’Egidio. Scegliendo come motto Gaudium Domini fortitudo vestra, monsignor Zuppi ha assunto la cura pastorale del Settore centro.Il 27 ottobre 2015 da Papa Francesco è stato promosso alla sede metropolitana di Bologna, successore del cardinale Carlo Caffarra, e ha fatto l'ingresso nella cattedrale di San Petronio il 12 dicembre dello stesso anno. Dopo aver indetto il congresso eucaristico diocesano, apertosi il 13 novembre 2016, per la conclusione dello stesso ha accolto il Pontefice in visita nel capoluogo dell'Emilia Romagna il 1º ottobre 2017. Un anno dopo, ha partecipato alla XV assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicato ai giovani.Autore di pubblicazioni di carattere pastorale, quando ha saputo che il Papa intendeva crearlo cardinale si trovava a Lourdes per un pellegrinaggio regionale organizzato dall’Unitalsi.
Mauro Magatti, “La ‘questione cattolica’ nell’epoca dei cambiamenti” (Corriere della sera). Stralci del nuovo libro dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi: “Quei disperati in fuga che non ci indignano più” (Repubblica); “Libertà significa non essere isole” (Avvenire); e le recensioni di Anna Maria Sacchi, “L’antisovranista” (Corriere della sera) e Paolo Lambruschi, “Contro l’odio ripartire dalle comunità” (Avvenire). INOLTRE: un commento di Raniero La Valle ad alcuni recenti discorsi di papa Francesco “La vera pace è disarmata” (Manifesto).Aggiungo un articolo odierno su Il Fatto Quotidiano.
Questa è l'anticipazione di Avvenire (anche La Repubblica ne ha offerto un'anticipazione):
Pubblichiamo una anticipazione da Odierai il prossimo tuo. Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente, il nuovo libro di Matteo Maria Zuppi, cardinale arcivescovo di Bologna, scritto con il giornalista Lorenzo Fazzini (Piemme, pagine 192, euro 16.50).So di non dire niente di particolarmente originale nell’esemplificare alcune conseguenze di un individualismo che rischia di diventare, nella nostra epoca, parossistico. Sono tante, però, le patologie che crescono in individui senza un “noi” e penso possa essere utile guardarci dentro. Siamo la generazione più connessa della storia, ma anche la più sola. Che il governo britannico abbia scelto di istituire un “Ministero della Solitudine” la dice lunga sullo stato del nostro vivere sociale, così come il dato Istat secondo il quale in Italia un nucleo familiare su tre è composto da una persona sola ci parla di una condizione di isolamento reale. Siamo l’umanità che può scegliere con estrema facilità i propri interlocutori e stabilire senza difficoltà quali possono essere i propri partner (affettivi, relazionali, lavorativi, di relax), ma tutto questo avviene spesso all’insegna di passioni di superficie, cangianti, alle quali ci abbandoniamo davvero solo se pensiamo di poter controllare e limitare le conseguenze, cioè il “prezzo” che l’altro potrebbe chiederci di pagare per amarlo davvero.Vogliamo essere liberi, ma siamo prigionieri dello spazio e delle cose, catturati dal momento, come nell’agone digitale. Sappiamo così poco andare oltre noi stessi ed entrare nel tempo e nelle relazioni, condotti come siamo dalle correnti emozionali, come se queste, vissute senza amore, non fossero a loro volta parte di un calcolo (fin dove lasciarci andare?) e frutto di convenienze. Vogliamo rapporti veri, ma nel contempo tutto attorno a noi ci spinge a misurare ogni cosa, e questo spegne ogni autenticità. Nei decenni passati, quando esistevano appartenenze importanti, fisiche o ideologiche (i partiti, i sindacati, i “gruppi”, la famiglia), la regola era la militanza: grande impegno e coinvolgimento personale, abnegazione, sacrificio, desiderio di contribuire personalmente al bene comune, assieme al rischio della collisione con altre militanze. Oggi le appartenenze sono piuttosto digitali, comunque più individualistiche e frammentarie, condizionate da opportunità, affinità iniziali e non verificate, oppure contingenze. Cosa diventa un individualismo di questo genere se non crescono parimenti la responsabilità, la capacità di discernimento e di visione che sono possibili solo in un rapporto con il prossimo?Anche la diffusa paura di donare vita e di generare deriva in larga parte, a mio modo di vedere, da una paura figlia dell’individualismo e dal timore di una responsabilità diversa da quella dell’attimo presente. L’inverno demografico in cui siamo immersi sconta, certo, la mancanza di servizi adeguati in una società frammentata, e lo spostamento nel futuro dell’assunzione della responsabilità e della limitazione delle proprie libertà personali. Ma è davvero espressione di un grande timore della responsabilità e del futuro [...].L’egocentrismo – io penso – ha pretese senza limite, perché il vero limite, che non riesco mai a superare da solo, sono io stesso: quell’io su cui punto tutte le mie risorse. L’egocentrismo ci persuade che staremo bene solo assecondando il nostro io, anche a costo di rovinare i rapporti con le persone più care. Così finiamo per scegliere la parte e non il tutto, lo spazio e non il tempo, la difesa delle cose piuttosto che la costruzione dei rapporti, come evidenzia papa Francesco nel suo testo programmatico Evangelii gaudium. Le idee diventano più importanti della realtà, tanto che ci accontentiamo di una vita virtuale, delle nostre intenzioni, o finiamo per scambiare la realtà con le nostre interpretazioni. Aveva proprio ragione papa Giovanni XXIII, secondo quanto ebbe a riferire il suo segretario, il futuro cardinale Loris Capovilla. Papa Roncalli, poco dopo l’annuncio della convocazione del Concilio Vaticano II, disse: «Finché uno non mette il suo io sotto le scarpe, non sarà mai un uomo libero ». Solo liberando l’io dall’orgoglio l’uomo trova se stesso e diventa individuo, ma non solo: è se stesso proprio perché capace di stare insieme ad altri, senza rimanere un’isola.(Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A. © 2019 Mondadori Libri S.p.A., Milano)