LE NOZZE DI CANA (Gv 2,1-11): II domenica del tempo ordinario, anno C
Da "Il Vangelo dell'amore" di p. Stefano Liberti (Youcanprint, 2015)
“L’inizio dei segni compiuti da Gesù”
(2,11) avviene nel contesto di una festa nuziale alla quale è presente Gesù con
la madre e con i suoi discepoli. La parola “inizio” indica il primo dei setti
segni indicati nel Vangelo di Giovanni[1],
ma anche il segno principale (archè)[2],
la chiave di lettura di tutti gli altri segni salvifici che Gesù compirà.
Gesù,
a Cana, offre il vino agli invitati: un'azione da sposo, come appare dal fatto
che il presidente del banchetto, dopo aver gustato il vino, chiama proprio lo
sposo per rimproverarlo di non averlo servito prima, visto che è così buono.
Non
si conoscono i nomi degli sposi: la sposa non viene mai citata, lo sposo solo
di sfuggita. I protagonisti delle scena non sono tanto loro, ma Gesù in
rapporto a Maria. Tutto questo indica come siamo di fronte ad un evento
simbolico in cui il vero sposo è Gesù e la sposa sia la donna-madre, simbolo
del popolo rimasto fedele. Giovanni ci sta dicendo che Gesù è venuto proprio
per realizzare quel progetto nuziale che Dio ha da sempre pensato nei confronti
dell’umanità: unirla a sé in un rapporto intimo, fedele, fecondo ed eterno.
Anche
ad un livello più letterale, le implicazioni sono interessanti:
Bisogna tenere presente che Maria
era con i servi. Secondo i costumi del paese, gli uomini sono insieme, dalla
loro parte, e le donne sono dalla parte della cucina, esse servono (gli uomini
amano essere serviti, è sempre stato così…). La Madre di Gesù era, dunque, con
la servitù e si è subito accorta che qualche cosa non andava. (…) Gli interessati
stessi non si sono accorti di nulla, non si rendono conto della precarietà
della situazione. Tutto regolare, per loro. Lei, però, coglie una crepa
nell’organizzazione della festa. É in anticipo non solo sulla richiesta, ma
addirittura sulla consapevolezza altrui. E interviene ancor prima che qualcuno
avverta il disagio. Corre ai ripari prima che venga lanciato l’allarme[3].
Così Maria si rivolge al figlio, sicura di poter
essere esaudita. Questa “invasione di campo” – l’essere andata nella parte
riservata agli uomini – potrebbe spiegare anche la risposta brusca di Gesù: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta
la mia ora» (v.4). L’ora per Gesù è quella della glorificazione che si
realizza nella morte in croce: lì è possibile comprendere la sua vera identità
messianica, il suo amare “fino alla fine”. Qui dà inizio alla sua ora che si
completerà con la consumazione delle
nozze nell'ora della croce, quando lo sposo darà la vita per la sposa che sarà
redenta dal sangue e dall'acqua del suo costato.
Ancora una volta il piano simbolico si intreccia con
il racconto e ci invita ad andare in profondità. Lo indicano altri particolari
interessanti: innanzitutto il fatto che l’evangelista chiami Maria “madre”,
mentre Gesù la chiama con un appellativo insolito: “donna”. “Donna”, secondo i
Padri, indica la Chiesa, il nuovo Israele, la sposa del Cristo. Nel Vangelo di Giovanni ci sono quattro
personaggi femminili ai quali Gesù si rivolge con l’appellativo “donna”: sono
le spose di Dio, le spose dell’alleanza. La prima è la madre, che rappresenta
l’Israele sempre fedele all’antica alleanza[4]. La
seconda è la Samaritana[5] e la
terza è la donna sorpresa in adulterio[6]. Queste
due rappresentano l’Israele adultero che Gesù riconquista con l’offerta di un
amore ancora più grande. La quarta, infine, sarà Maria di Magdala che
rappresenta la sposa della nuova comunità[7].
Nel racconto delle nozze di Cana si parla inoltre di
sei anfore di pietra usate per la purificazione che Gesù fa riempire d’acqua e
che trasformerà in contenitori del vino nuovo e più buono. C’è bisogno
dell’intervento umano guidato dalla sua parola (“fate quello che vi dirà”): Gesù non interviene mai in maniera
magica, ma provoca e attende il contributo dell’uomo che poi trasforma in
qualcosa di ancora più grande. Chiede di riempire d’acqua le giare: l’acqua è
simbolo dello Spirito, così come lo è il vino, fonte della gioia che proviene
dal Cristo, fonte di ebbrezza, di estasi, cioè di uscita da sé, di euforia, entusiasmo, vitalità, gioia, desiderio e possibilità di stare
in armonia con gli altri.
A livello simbolico ci viene detto che è finito il
vino dell'antico patto: sei è il numero che indica la mancanza. Tuttavia Gesù
non è venuto per abolire, ma a compiere l’alleanza antica (cfr. Mt 5,17). Il
Cristo ci dona il vino nuovo dal sapore squisito che prefigura il dono
eucaristico, il passaggio dal regime legalistico della vecchia alleanza a
quello eucaristico della nuova alleanza. Attraverso questi
segni e il loro simbolismo messianico si manifesta la gloria del Cristo e i
discepoli possono credere in lui.
Laddove
non arriva l’uomo (la preparazione della festa) né la legge (le idrie per la
purificazione), là arriva il Cristo. All’uomo, al suo bisogno d’amore, manca
sempre qualche cosa; si dà sempre un momento in cui viene a mancare del vino, e
magari nella circostanza più inaspettata. Prima o poi, arriva sempre,
nell’esistenza di una coppia, l’esperienza del limite[8].
A livello antropologico il vino è il
simbolo dell’amore umano tra un uomo e una donna. Così, ad esempio, si è
espresso Benedetto XVI:
Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura
fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere,
maturare. Un amore definitivo che diventi realmente "secondo vino" è
più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare.
E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il
tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli
amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con
altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e
solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa,
della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre[9].
Bisogna dunque fare attenzione, perché il vino
della festa finisce, l’amore umano può affievolirsi, annacquarsi. E noi non
siamo chiamati solo a sopravvivere, ma a vivere in pienezza, come in una festa
che non finisce davanti alle difficoltà che si possono incontrare. Che non
manchi vino è dunque fondamentale: senza di esso la vita langue.
[1] I sette segni sono indicati espressamente nel Vangelo:
1. Le nozze di Cana;
2. La guarigione del figlio del funzionario del re
(4,43-54);
3. La guarigione del paralitico (5,1-9)
4. La moltiplicazione dei pani (6,1-15)
5. Gesù cammina sulle acque (6,16-21)
6. La guarigione del cieco nato (9,1-41)
7. La resurrezione di Lazzaro (11,1-44).
[2] "Quello non
fu solo il primo dei miracoli di Gesù, ma fu il segno archetipo, il prototipo
dei segni, la chiave interpretativa che permette di interpretare i vari segni
operati da Gesù. A Cana di Galilea incomincia una nuova relazione fra Gesù e la
comunità, qui si istaura il matrimonio fra Gesù e i discepoli e i suoi servi”
(L. ZANI, Lo Spirito e la sposa dicono vieni,
Trento 1992, p. 40).
[3] A. Pronzato, C’era
la madre di Gesù, p.11
[4] Gesù si rivolge
alla madre nelle nozze di Cana e sotto la croce, affidandola al discepolo
amato: nel primo caso afferma: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4); sotto la croce invece “vedendo la madre e accanto a lei il
discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!»” (Gv 19,26).
[8] G. Mazzanti, Uomo
donna. Mistero grande, p. 56
[9] Papa Benedetto XVI, VII Incontro Mondiale delle famiglie a Milano, 2012