XXXII Domenica del T.O.: "Dieci vergini in attesa dello Sposo"
Dal
Vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «1Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro
allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte
presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4le sagge
invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. 5Poiché lo
sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un
grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro
lampade. 8Le stolte
dissero alle sagge: “Dateci un po’ del
vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. 9Le sagge risposero: “No,
perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e
compratevene”. 10Ora,
mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con
lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi
arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. 12Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 13Vegliate dunque, perché non sapete né il
giorno né l’ora».
Siamo all’interno del grande
discorso escatologico, cioè sulla fine dei tempi, fatto da Gesù nei capitoli
24-25 di Matteo: tre parabole del Signore su cosa significa vigilare (cf. Il servo fedele e il padrone che tarda; le giovani prudenti e
quelle stolte; i talenti) seguite dal grande affresco sul giudizio finale (cf.
Mt 25,31-46). Nella sua redazione Matteo insiste soprattutto
- sul tema dell’ignoranza circa il giorno e l’ora
della parusia, della venuta gloriosa di Cristo
- sul ritardo della parusia stessa;
- e ciò deve imporre a ogni credente una vigilanza fedele
e saggia.
Avvicinandoci alla fine dell’anno liturgico torna
dunque il tema dell’attesa della fine dei tempi: un’attesa che richiede una fede
(almeno pari ad un lumino che illumina la notte) alimentata dalla carità (l’olio
di riserva che fa da combustibile al lumino:
UNA FEDE SENZA CARITA’, senza opere concrete di
servizio e di dedizione per gli altri, E’ DESTINATA AD ESAURIRSI, A MORIRE.
Così come in un’altra celebre parabola[1] è
saggio chi costruisce la sua casa sulla roccia ed è stolto chi la costruisce
sulla sabbia, ovvero, fuori metafora: è saggio chi mette in pratica la parola
di Dio e stolto chi l’ascolta senza attuarla[2], così
è saggio chi ha una scorta di olio della
carità perché al momento opportuno (alla voce di chi grida l’arrivo dello
Sposo) non veniamo trovati privi di fede, “sconosciuti” agli occhi di Dio,
destinati a rimanere esclusi dalla festa di nozze che coinvolge tutti gli amici
rimasti in attesa “operosa”.
Ma andiamo nel dettaglio di questa parabola piena di incongruenze[3],
ma comunque affascinante:
il Regno è simile a dieci ragazze
che sfidano la notte, armate solo di un po' di luce, in attesa di Qualcuno che
ci dona un destino di festa e di gioia;
“Poiché lo Sposo tardava…”: ecco il particolare
decisivo della parabola, soprattutto agli orecchi dei lettori di Matteo. Il
problema è il ritardo della parusia, della venuta finale di Gesù, un vero e
proprio trauma per le prime generazioni cristiane. “… si assopirono tutte e si
addormentarono”. Le dieci ragazze sprofondano tutte nel sonno, nessuna esclusa.
Si faccia attenzione al paradosso: si sta parlando di vigilanza, di veglia, e
tutte dormono! Dunque, che tipo di vigilanza è quella a cui Gesù vuole
esortarci? Dove sta la differenza tra le stolte e le sagge, se tutte
indistintamente si assopiscono e dormono?
“tutte si addormentano”: non basta
la buona volontà a rimanere vigilanti. Occorre l’olio della carità che ci
illumini nel momento dell'incontro (quando ci verrà chiesto: mi hai amato? Nei
più piccoli mi avete visitato, vestito, accudito con amore e per amore?). Il rischi concreto è quello di dimenticare, di rimuovere l’orizzonte della
venuta del Signore. Come fare fronte a questa che è più di una possibilità, è
una realtà? Lottando ogni giorno per non lasciare appesantire le nostre vite
dalla routine, dalla ripetitività del quotidiano.
Cinque ragazze sono sagge, hanno
portato dell'olio, saranno custodi della luce, potranno attendere l’arrivo
dello sposo senza perdersi nel buio della notte e del sonno; cinque sono
stolte, hanno un vaso vuoto, una vita
vuota, presto spenta.
E’ la Voce (dell’arrivo dello
Sposo) che mi risveglia, che mi rimette in attesa, che mi apre alla speranza di
un incontro che mi apre alla gioia e alla vita piena.
Questo olio ha a che fare con la luce e col fuoco:
qualcosa come una passione ardente, che ci faccia vivere accesi e luminosi.
Qualcosa però che non può essere né prestato, né diviso. Non è allora l’egoismo a portare le sagge a rifiutare la richiesta delle stolte:
L'alternativa centrale è tra
vivere accesi o vivere spenti. Dateci un po' del vostro olio perché le nostre
lampade si spengono... la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi
e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere
buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile
di me stesso, chi lo sarà per me?
Nel giudizio finale nessuno è più in grado di fare
qualcosa per un altro: ognuno deve rispondere per sé.
Dobbiamo essere pronti a questo
incontro: Stoltezza o prudenza/saggezza, non c’è alternativa. E
in cosa consiste la differenza? Nel prepararsi o meno all’incontro con il
Signore, prendendo con sé l’olio! L’incontro con il Signore va preparato prima
(pro-videre…), non si può rimediare affannosamente all’ultimo istante.
Quest’olio o lo si ha in sé oppure nessuno può pretenderlo dagli altri.
Saggio è colui che è prudens, cioè che
sa pro-videre, vedere prima, prepararsi, equipaggiarsi: la vita,
infatti, è lunga e non basta l’entusiasmo di una stagione per vivere la
sequela, per attendere con perseveranza la venuta di Gesù Cristo! Lo stolto,
invece, è disattento, è un folle che parla, parla, parla… e non mette in
pratica ciò che dice!
“Signore, signore, aprici![4]”.
Ma egli rispose: “non vi conosco”. L’incontro
con il Signore è al tempo stesso festa e giudizio. In altre parole, nell’ultimo
giorno, al momento di dare inizio al banchetto del Regno, il Signore Gesù
Cristo non potrà non mettere in luce la verità della nostra vita, mediante quel
giudizio che noi confessiamo nel “Credo” (“di nuovo verrà nella gloria per
giudicare i vivi e i morti”), giudizio che è assolutamente necessario affinché
la storia abbia un senso.
In ballo c’è l’ingresso al regno
dei cieli alla venuta del figlio dell’uomo: una casa aperta per chi si sarà fatto
trovare pronto e chiusa per chi si sarà fatto trovare impreparato.
All’interno
si svolge una festa nuziale che non viene descritta: il racconto si chiude infatti
con la scena della porta che rimane chiusa. Non è descritta la gioia delle
ragazze che sono entrate, ma la disperazione di quelle rimaste fuori. Non si descrive
la gioia che si vivrà nel regno dei cieli, cosa che il narratore dà per nota,
ma si vuol far capire quanto è brutto restarne fuori.
“Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Così Gesù conclude e commenta la parabola, con parole che costituiscono il
monito decisivo per noi.
“Che cosa è specifico del cristiano?”. “Vigilare ogni
giorno e ogni ora ed essere pronti nel compiere pienamente la volontà di Dio,
sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene” (San Basilio).
Ecco il ritratto di noi cristiani, ecco la nostra
vocazione. Siamo chiamati a essere figli del giorno, a vivere nella luce, a
essere consapevoli di ciò che viviamo e di ciò che ci accade intorno. E in
questo è fondamentale vivere in una dimensione di preghiera. Non a caso
nell’unico altro passo in cui Gesù parla della vigilanza la associa
strettamente alla preghiera e alla lotta spirituale. È al Getsemani, prima
della sua passione, quando Gesù dice a Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo il loro
fallimento nel restare svegli per sostenerlo nella lotta: “Vegliate e
pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è
debole” (Mt 26,41).
Impariamo allora a mettere la nostra debolezza, la
nostra pochezza, la nostra povertà davanti al Signore: noi cerchiamo di
andare incontro al Signore, il quale però già ci viene incontro, e porterà
certamente a compimento, lui che è fedele e sapiente, lui che ci ama di amore
eterno, quanto ha iniziato in noi (cf. Fil 1,6).
[1] Mt
7,24-27
[2] La parola di Dio è “lampada per i miei passi, luce per il mio
cammino” (salmo 118)
[3] “La nostra parabola – come dicono alcuni commentatori – ritrae le usanze
matrimoniali palestinesi: il giorno precedente le nozze, al tramonto, il
fidanzato si recava con gli amici a casa della fidanzata, la quale lo attendeva
insieme ad alcune amiche. Questo in parte è vero. Eppure, se facciamo
attenzione, il nostro racconto presenta molti tratti strani, inverosimili: la
sposa non c’è; lo sposo arriva a mezzanotte; si chiede di comprare olio in
piena notte; la conclusione è del tutto fuori luogo, quasi tragica…” (E.
Bianchi)
[4] Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel
regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In
quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato
nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome
non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non
vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’ingiustizia!” (Mt
7,21-23).