Ucraina: tra legittima difesa e pacifismo
La guerra in Ucraina ha riportato in evidenza anche la riflessione sull'opportunità di una difesa armata e di contribuire a tale difesa con le nostre armi. Il "pacifismo" radicale direbbe di no: è contro la guerra, contro la violenza, anche contro la difesa armata. La Chiesa cosa dice? I cristiani sono pacifisti?
Un articolo su La Nuova Bussola Quotidiana chiarisce che la Chiesa è pacificatrice, non pacifista: giustifica la legittima difesa, anche se - per essere legittima - deve seguire criteri molto selettivi. Così il teologo Severino Dianich ricorda quello più discutibile: “Che ci siano fondate condizioni di successo” (n. 2309). Un criterio ribadito anche dal giornalista Marco Travaglio che parla del "buon senso della Chiesa sulle armi e la difesa".
A rigor di logica gli ucraini non avrebbero diritto a difendersi, avendo la Russia un apparato militare indiscutibilmente più potente ed essendoci il rischio di una guerra infinita o di derive di distruzione di massa.
Ma si può chiedere al popolo ucraino di non difendersi? Ci si deve chinare a qualsiasi sopruso che i potenti di oggi pretendano di fare nei confronti dei paesi più inermi?
Il sito UCCRonline propone anche le parole di mediazione del card. Parolin che, da una parte ha "tristemente approvato la consegna di armi all’Ucraina" e "ha invocato «il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il Paese»". D'altra parte ha ricordato che «la priorità» sia la ricerca di «una soluzione negoziata, che metta a tacere le armi ed eviti un’escalation nucleare».
Ma quando ciò risulti impossibile? Quando il potente di turno sembra ormai preda dei suoi demoni? Quando ormai si è spinto troppo avanti e non riesca più a trovare una via d'uscita?
Vedi anche: Il Catechismo della Chiesa Cattolica e la guerra
Argomenta Dianich:
Prima di avviare queste riflessioni, vorrei dichiarare la mia consapevolezza di essere di fronte ad una massa di problemi talmente complessi, che pretendere di avere l’asso nella manica per risolverli sarebbe frutto di una inaudita presunzione: non sono uno stratega né un politico, non ho nessuna competenza nella questione. Intendo solo dire a voce alta pensieri che mi frullano in testa, nulla di più.
«Che ci siano fondate condizioni di successo»
Sono impressionato del fatto che oggi, in una pur estesissima condanna della guerra e di chi l’ha voluta, con l’iniqua aggressione di un popolo confinante e fratello, persista nell’opinione pubblica una certa mistica della difesa armata: quanto è ardente la sacrosanta indignazione per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tanto diventa esaltante l’eroica reazione degli ucraini e sacro dovere ogni sostegno alla loro difesa armata. Chi potrebbe negare a un popolo aggredito il diritto di difendersi anche con le armi?
Eppure non posso evitare di domandarmi: quando? sempre? a quali costi? con quali previsioni? Sono questi interrogativi che non è possibile scavalcare. Sono andato a rivedermi il Catechismo della Chiesa Cattolica e osservo che vi si raccomanda di «considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale». Fra queste se ne chiarisce una: «Che ci siano fondate condizioni di successo» (n. 2309).
Penso che non sarebbe facile contestare il buon senso e la ragionevolezza di questa condizione. L’Ucraina aggredita ha davvero davanti a sé «fondate condizioni di successo»? La immolazione collettiva di un popolo per una causa, che si teme, con buone ragioni, sia destinata al fallimento, non può avere nessuna giustificazione. Quando lungo la storia la si è giustificata, questo è accaduto grazie ad un’opera di sacralizzazione di un ideale politico divinizzato e diventato oggetto di fede.
«Fiat iustitia, pereat mundus!»
Di fronte alla gravissima flagrante ingiustizia di un’aggressione armata è incontenibile, per ogni coscienza sana, lo scoppio dell’indignazione, la protesta e la volontà di mettere in atto ogni azione possibile per il ristabilimento della giustizia.
Non ugualmente ragionevole l’insorgenza di un certo qual triste entusiasmo, che viene a circondare la difesa armata dell’alone di una giustizia che incombe in una sua trascendenza, anche al disopra di qualsiasi prezzo, da pagare in vite umane e innumerevoli sofferenze, per vederla riaffermarsi sovrana.
Sembra di sentir risuonare l’antico adagio: «Fiat iustitia, pereat mundus!». L’accendersi di una simile passione può essere comprensibile. Non è comprensibile, invece, un progetto politico che voglia acriticamente soddisfarla.
Al di là delle propagandistiche proclamazioni della propria futura vittoria da ambedue le parti, è ben difficile pensare che l’esercito ucraino possa prevalere sull’enorme potenza militare della Russia. Stati Uniti e Comunità Europea stanno fornendo di armi l’Ucraina, più che di viveri, di medicinali, di ospedali da campo, contribuendo così, senza alcun dubbio, a prolungare il conflitto e aumentare il numero dei morti, da ambedue le parti, e con non pochi dubbi sull’esito della guerra.
A quale costo?
È anche prevedibile, infatti, che non si riesca affatto a salvare l’Ucraina dall’occupazione russa, e che l’attuale guerra si trasformi in seguito in una guerriglia destinata a durare per decenni. Con una bella soddisfazione dei produttori di armi. Lo insegnano i dieci anni dell’occupazione russa e i vent’anni di quella statunitense dell’Afghanistan, con la loro litania di morti, feriti e distruzioni senza fine.
Vien da pensare che tutto vada a finire solamente in una lezione da dare alla Russia di Putin, un’opera di dissuasione dai suoi imperialistici progetti.
Tutto questo, naturalmente, al prezzo di migliaia di morti e di immani sofferenze della povera gente dell’Ucraina. Un modello che tristemente si ripete: i grandi che si fanno la guerra sul territorio a spese dei piccoli.
- Apparso sul blog Il Sismografo, 8 marzo 2022.