La Quaresima secondo l'eremita ("custode del silenzio") Antonella Lumini
Ho appena scoperto questa interessante persona cattolica di Firenze: Antonella Lumini: (Firenze, 1952). Laureata in filosofia, si è poi dedicata allo studio della Bibbia e di opere della spiritualità cristiana.
Da quarant’anni porta avanti in ambito cattolico un percorso di silenzio e solitudine ispirandosi alla pustinia, vocazione al silenzio della tradizione ortodossa.
Chiamata a una via contemplativa nella piena libertà dello Spirito, ha sentito di dover continuare il suo cammino solitario al di fuori di monasteri o altre istituzioni. Ha lavorato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze occupandosi di libri antichi.
Partecipa a incontri di spiritualità e guida gruppi di meditazione a Firenze e in altre città italiane.
Per la sua modalità di vita è conosciuta come eremita metropolitana, ma preferisce definirsi semplice battezzata custode del silenzio. Autrice di libri di ricerca spirituale, scrive articoli di spiritualità su varie riviste e quotidiani, in particolare su l’Osservatore Romano. Tra le sue pubblicazioni recenti: "Dio è Madre. L’altra faccia dell’amore" (Roma 2016); con P. Rodari, "La custode del silenzio" (Torino 2016).
La riflessione che propongo è del 2018 (pubblicata da Vita e Pensiero), ma è ancora pienamente valida come stimolo per vivere in maniera autentica la Quaresima:
DIGIUNO, SOLITUDINE, SILENZIO NEL MONDO DEI SOCIAL NETWORK
Ogni anno, il tempo forte di Quaresima invita a vivere momenti di raccoglimento, richiama al deserto, e se solitudine, silenzio, digiuno, nell'era dei social network, possono sembrare del tutto impraticabili, in realtà diventano sempre più necessari per la salvaguardia dell'equilibrio psicofisico dell'individuo. Non si tratta di incentivare la fuga mundi, di demonizzare certi strumenti, bensì di ritrovare la giusta misura. In un'epoca in cui prevale il consumo incontrollato di tutto, in cui è normale un comportamento compulsivo verso l'interazione in rete, sarebbe auspicabile riscoprire solitudine e digiuno come vie percorribili per ritornare verso il profondo. Come ricorda S. Agostino: «noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas». L'invito è a non disperdersi, a rientrare in se stessi perché la verità cui aneliamo risiede nell'intimo. Finché rimaniamo zavorrati da tutto quanto consumiamo, compreso l'eccesso di cibo e la smodata frequentazione dei social network, non riusciamo a percepire la sete d'infinito racchiusa nell'anima: diviene impossibile inoltrarci in quel misterioso mondo interiore che costituisce la vera ricchezza e che nessun appagamento esteriore potrà mai sostituire. Solitudine, silenzio, digiuno svuotano del sovrappiù. Ogni abuso snatura, distorce la misura incisa in noi fin dal principio che rifulge luce e bellezza.
La solitudine permette di sperimentare quel solo a Solo che smaschera, spoglia, favorendo il rapporto con lo spirito, con quel fondo luminoso in cui l'io si apre alla coscienza, si dilata verso l'insondabile. L'io o si apre verso l'Io Sono, nome rivelato di Dio assunto da Gesù, o si chiude facendosi centro di se stesso. Ingurgitando si gonfia, si deforma. Il digiuno, inteso non solo come astinenza dal cibo, ma anche da cellulari e varie connessioni digitali, diviene allora mezzo capace di spezzare quei circoli viziosi che creano dipendenza.
L'essere umano non è creato secondo la propria specie, ma a immagine di Dio. Se l'azione creatrice divide per portare distinzione, cioè in-forma, dà forma a una infinita molteplicità di creature, l'essere umano costituisce il culmine in cui tutto torna a convergere nell'esperienza della coscienza. La polarità dell'io non è il tu, è Dio, è il piano universale. L'io si evolve nella sua relazione con l'incommensurabile che, travalicando il suo limite, lo fa uscire dalla propria ristretta prospettiva, spinge il soggetto a crescere spiritualmente.
Al contrario, la costante interazione in rete, intensifica il processo di massificazione e omologazione delle coscienze, produce regressione verso la vita di specie in cui l'individualità si perde. Risucchia in una spirale che non sale, ma discende. Abbassa di livello, sposta l'attenzione dall'universale verso l'opinabile. La coscienza si restringe, l'anima entra nell'angoscia, nel luogo angusto della sua prigionia, perde il contatto con il suo fondo che preserva la memoria dell'infinito e dell'eterno. Gli esseri umani, come risucchiati in uno stato di cattività, sviluppano aggressività, violenza, insieme tristezza, depressione, malessere psichico. Una tale alterata ed eccessiva modalità di relazione, priva di vera interazione umana, anestetizza le coscienze, produce una schiavitù subdola, seduttiva, non immediatamente riconoscibile, camuffata. Ma la schiavitù prodotta dal totalitarismo digitale non è certo paragonabile a quella dei regimi totalitari che privano di ogni libertà.
C'è da risvegliarsi dall'intorpidimento. Solitudine e digiuno mettono a nudo il vuoto interiore, per questo fanno paura. Come insegnano padri e madri del deserto i demoni sono vizi, circoli viziosi che imprigionano in una corrente dalla quale non riusciamo più a uscire. Viziosità purtroppo presentate come virtù. Silenzio, solitudine, digiuno costituiscono l'antidoto. Non ci sono mezze misure.