XXIX domenica del Tempo Ordinario/B: "Tra voi non è così"!
L'insegnamento che Gesù ci sta offrendo in queste ultime domeniche è quello, fondamentale, di una comunità fondata su altri principi e altre norme rispetto a quelle che troviamo nella società umana di ogni tempo: "tra voi non è così", non deve essere così.
Domenica scorsa ci ha parlato dell'uso (e dei rischi) della ricchezza, in quella precedente dell'indissolubilità del matrimonio, prima ancora del rischio di chiusura ("non era dei nostri e gli abbiamo impedito di fare del bene...").
Oggi ci parla della tentazione e della ricerca del potere (un altro dei grandi idoli del mondo), dei primi posti, del dominare e sopraffare gli altri.
Lo spunto è una richiesta che due discepoli, Giovanni e Giacomo (i "figli del tuono", cioè impetuosi e impulsivi), gli fanno con poco tatto: "Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiediamo...concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra".
Il modello è quello del mondo: da sempre i capi esercitano il potere dando ordini, pretendendo privilegi, opprimendo i deboli. Gli apostoli attendono il momento che Gesù diventi il capo, il re: non ha forse dimostrato di esercitare una influenza grande, di muovere le masse con il suo potere di fare miracoli, con le parole di vita che scaldano il cuore della gente? Il Messia annunciato non avrebbe fatto piazza pulita dei potenti che da secoli sottomettono il popolo di Dio? E in previsione di questo evento non è forse saggio, o comunque furbo, prepararci dei posti da "ministri", da vice?
In questa richiesta si nasconde la ricerca del potere più "quotidiano": la ricerca dell'arrivare prima degli altri, l'ansia di guardare gli altri dall'alto in basso. Vi rintracciamo un mondo fatto da persone che sgomitano, sgambettano, cercano vie tortuose per scavalcare la fila, gente disposta a tutto pur di arrivare a conquistarsi una poltrona, potenti (dittatori o governanti) che abusano del potere loro concesso, trasformandolo in dominio del più forte e in oppressione del debole.
Gli altri 10 si INDIGNANO, ma è facile capire che la loro reazione è dettata soprattutto dal fatto che si sentono depredati di un diritto che avevano anche loro: molto probabilemente i figli di Zebedeo avevano trovato il coraggio e la tempistica di afre quello che loro avrebbero voluto fare, ma non avevano osato fare. Si sono sentiti scavalcati.
Da notare che tutti e 10 hanno la stesso reazione, quasi a dire che tutti noi (nessuno escluso, senza eccezioni!) abbiamo dentro questo bisogno di affermarci, di farci rispettare, di contare, e quindi la paura di essere messi ai margini, di non essere riconosciuti nei nostri diritti, nel nostro impegno, nel nostro valore. Potremmo chiamarla la "sindrome dei figli di Zebedeo". Attenzione dunque: l'accusa di ricerca di potere non riguarda solo tiranni e dittatori (in questo caso si tratterebbe di eccezioni), ma riguarda tutti: la possiamo riscontrare nella società come in famiglia (non per niente denunciamo le continue battaglie che si combattono tra marito e moglie, tra genitori e figli), nella Chiesa come nella singola Parrocchia (dove il servizio svolto nasconde spesso la richiesta di contare, la pretesa di riconoscimento, il sentirsi migliori di chi non si impegna...).
Altra annotazione: questa ricerca di potere è una delle cause principali di divisione: 2 contro 10 e 10 contro 2. E a margine: dietro il Vangelo di Marco c'è Pietro, suo maestro, il quale non esita a mostrare i lati negativi della loro esperienza passata, le incomprensioni, l'ottusità (non per niente anche questo episodio segue il terzo annuncio che Gesù fa ai suoi discepoli del suo imminente destino di sofferenza, morte e resurrezione). Non ha paura di mettere a nudo la sua stessa indegnità. E mostra quanto siano radicate nell'uomo la smania di potere e l'aspirazione ad occupare i posti d'onore.
Ai due apostoli che esigono ("vogliamo"), che reclamano un diritto, Gesù risponde: "voi non sapete quello che chiedete". Non avete capito nulla. E a tutti rivolge l'insegnamento fondamentale, la cura di questa sindrome così diffusa: il SERVIZIO gratuito, senza attese e pretese ("ricordatevi alla fine che siete solo servi inutili", cioè senza un utile, una ricompensa immediata: fate solo il vostro dovere di servi). Gesù ci propone un potere PER GLI ALTRI, e non SUGLI ALTRI. Il potere, in definitiva, di AMARE (un potere che esprime la vera forza: quella di amare di fronte a tutte le forze negative che ci spingono in senso contrario), di andare controcorrente rispetto a ciò che accade nel mondo. Non si tratta di "soccombere al male", ma di vincere "il male con il bene". Non lodiamo forse la forza di carattere che ci fa restare dignitosi e saldi nonostante le avversità? La forza della pazienza, della speranza, della benignità?
Noi possiamo condividere il calice e il battesimo di Gesù, cioè il suo destino di sofferenza e morte e l'immersione nelle acque della morte per condividere la sua stessa resurrezione, la sua luce e la sua gloria. Non dobbiamo pretendere altro (e come potremmo?): "spetta a Dio stabilire le gerarchie celesti". Non abbiamo pretese nè attese, perchè tutto quello che riceviamo lo riceviamo gratuitamente e quello che facciamo lo facciamo come servi che svolgono semplicemente il loro dovere (anzi, come SCHIAVI, che non possono neanche pretendere la ricompensa, che occupa il livello più basso nella società, che non ha pretese).
Seguiamo Gesù il quale non solo predica l'amore e la non-violenza, il servizio gratuito e verso tutti, ma lo TESTIMONIA con la propria vita, da l'esempio da seguire. Così realizza ciò che dice: non sono venuto (nonostante io sia il Figlio di Dio e nonostante una schiera di angeli sia sempre pronta a servirmi) per farmi servire, ma per servire, per amare, per comunicare l'amore di Dio Padre, per dare la mia stessa vita "in riscatto per molti".
Gesù è il Sommo Sacerdote che ha preso parte delle nostre debolezze, le ha condivise, si è lasciato mettere alla prova da tutte le difficoltà della vita (2° lettura), è il Servo di Yahvè che ha conosciuto il dolore, che ha offerto se stesso in sacrificio di riparazione (1° lettura).
Tutto questo dà motivo, forza e speranza per costruire un mondo diverso, migliore, quel Regno di Dio che Gesù è venuto ad inaugurare e che ora affida a noi, perchè lo costruiamo, con il suo aiuto, su basi solide, opposte al male. Ci ha giustificati, si è addossato la nostra iniquità (1° lettura): "accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno" (2° lettura).
Don Fabio Rosini:
I discepoli seguivano Gesù, in mezzo a rinunce e precarietà. Come mai? Cosa cercavano veramente? Viene il giorno in cui il loro desiderio viene fuori – nella domanda di Giacomo e Giovanni del Vangelo di questa domenica – e viene alla luce con tutta la sua immaturità e la sua impresentabilità.
Ma Gesù non disprezza né loro né la loro domanda – non lo fa mai – e si mette a lavorare sulla loro richiesta, come fa un vero pedagogo, come fa un padre. E inizia scavando in modo profetico, partendo da una frase che significa il contrario di quel che sembra: «Voi non sapete quello che chiedete» non vuol dire: «Ma che razza di domanda avete fatto?», ma «in quel che chiedete c’è qualcosa che non sapete, che dovrete scoprire: non sapete ancora cosa state facendo, seguendomi, e dove questo vi porterà. Vi ci vorrà una serie di esperienze per arrivare alla luce nascosta in quel che state chiedendo».
La loro domanda sarà purificata dal bere al calice di Cristo e dall’entrare nel suo battesimo. Questi sono termini pasquali, fanno riferimento alla Passione, alla sorte di Gesù e alla sua immersione nella morte che porta alla risurrezione. Un giorno arriveranno queste cose anche per loro e Giovanni e Giacomo faranno il salto di qualità.
Sant’Ignazio di Loyola dice che c’è una chiamata secondo la logica terrestre, la chiamata secondo la nostra capacità di capire, e poi arriva una seconda chiamata, quella matura, che è secondo il Re celeste, quando uno capisce cosa è veramente seguire Cristo, e abbandona le proprie categorie per entrare in quelle del Padre.
C’è un momento in ogni matrimonio in cui si scopre che c’è qualcosa di molto più profondo da vivere, c’è da dare la vita per l’altro, c’è da entrare nell’amore adulto, dove si accoglie l’altro per quel che è. Allora inizia il matrimonio, altrimenti diventa un’ipocrisia, un patto reciproco di non aggressione, come spesso succede, e non ci si sporca con la povertà dell’altro, si resta al di qua della soglia dell’amore incondizionato. Ma quella è la soglia della gloria, della vita grande. Quando si beve quel calice, inizia la comunione vera.
In ogni missione c’è il momento in cui bisogna passare da come noi pensiamo quel che abbiamo da fare, a come Dio lo ha preparato. Altra roba. Qui si ama davvero.
ESSERE GRANDI. Anche gli altri discepoli, che si indignano della domanda dei primi due, dovranno fare questo passaggio. In quel momento avevano in testa un problema di potere. E dovranno scoprire, preparati dalla profezia di Cristo, che il potere vero è il servizio. Allora dovranno buttare via le loro categorie, per essere grandi veramente. Non cambierà la loro voglia di avere il posto più alto, di essere importanti, ma scopriranno che questa voglia è esaudita veramente dall’amore.
Il mondo è pieno di persone che cercano la grandezza nel posto sbagliato, anche la Chiesa è piena di questa gente. La grandezza, il primo posto e la vera autorità si trovano nel luogo in cui uno ama, quando si dà la vita per qualcuno. Il resto è roba piccola.
Ermes Ronchi: Giovanni, il discepolo preferito, il più spirituale, il mistico, chiede di occupare il primo posto, lui e suo fratello. E gli altri dieci compagni immediatamente si ribellano, unanimi nella gelosia, probabilmente perché avrebbero voluto chiederlo loro! Ed è come se finora Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete», quali dighe abbattete con questa fame di primeggiare, quale mondo sbagliato generate con questa volontà di potenza! E spalanca l'alternativa cristiana, la differenza cristiana.
I grandi della terra dominano e opprimono gli altri. Tra voi però non è così! Credono di dirigere il mondo con la forza... voi non sarete così! Gesù prende le radici del potere e le capovolge al sole e all'aria.
Chi vuole diventare grande: Gesù non condanna questo desiderio, anzi lui stesso promette una grandezza, non vuole con sé uomini umiliati o schiavi, ma che diventino grandi, regali, nobili, fieri, liberi, prendendosi cura della felicità dell'altro.
Sia il servitore di tutti. Servizio: il nome esigente dell'amore, il nome nuovo della civiltà. Anzi, il nome di Dio: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo». La più sorprendente di tutte le definizioni di Gesù. Parole che danno una vertigine: Dio mio servitore! Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il Padrone dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re, è il servo di tutti. Non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, cinge un asciugamano, si inchina davanti a te, e i tuoi piedi sono fra le sue mani. Ma io tremo, se penso alla brocca e all'asciugamano, ho paura. Eppure ve la immaginate un'umanità dove ognuno corre ai piedi dell'altro? E si inchina non davanti ai potenti del mondo, ma davanti all'ultimo?
Pensiamo attentamente a che cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo no, sostiene, non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un cuore ferito. Gesù capovolge l'immagine tradizionale di Dio, le dà una bellezza che stordisce: siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio, qui e per sempre. Non sei tu che esisti per Dio, ma è Dio che esiste per te, in funzione di te, per amarti, per servirti, per conoscerti, per lasciarsi stupire da te, da questi imprevedibili, liberi, splendidi, talvolta meschini figli che noi siamo. Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? Il credente non ha nessun padrone, eppure è servo di ogni uomo. E non come riserva di viltà, ma come grandezza d'animo, come prodigio di coraggio.