Ancora sul celibato dei preti: un fatto di cronaca e un libro...
Partiamo da un articolo di don Mauro Leonardi: Il matrimonio non è il rimedio della concupiscenza:
La vicenda di don Gianfranco Del Neso, il sacerdote di Ischia che aspetta un figlio e che per questo non potrà più continuare ad esercitare il ministero, ha suscitato i soliti previdibili commenti, molti dei quali sono nella linea del remedium concupiscentiae – letteralmente “il rimedio alla concupiscenza” – ovvero il matrimonio visto come una sorta di legittimazione alla vita sessualmente disordinata. In poche parole l’idea sarebbe questa: sei prete e non ce la fai a rinunciare a tutte le donne? Allora sposati.So bene di esprimere il principio in maniera un po’ rude ma far cadere la cortina fumogena del latino mi consente di dire le cose come stanno, e cioè, visto che i fautori del principio “dal momento che non riesci a vivere il celibato, sposati” auspicano al malcapitato il matrimonio indissolubile, ecco quello che essi sostengono, tradotto in italiano semplice: visto che non ce la fai a rinunciare del tutto alle donne, rinuncia a tutte tranne che a una. Come se avere accanto un persona con tutti i suoi limiti, di età, aspetto, carattere, e così via, potesse esser di qualche aiuto a chi non ha imparato il vero amore (anche nella sua declinazione sessuale).Mi preme chiarire – d’accordo con uno studioso del calibro di Cormac Burke (niente a che vedere con il cardinale) – che l’espressione “remedium concupiscentiae” era stata molto usata, e malamente, nel corso dei secoli dagli ecclesiastici ma non trova riscontro in autori quali sant’Agostino e san Tommaso. La Chiesa prende coscienza che tale visione del matrimonio è distorta – io la chiamerei sessista – a partire dal Concilio Vaticano II e poi via via se ne allontana sempre con maggior forza grazie alla teologia del corpo di Giovanni Paolo II.Le attuali statistiche su quanto duri il matrimonio dicono da sole quanto sia insensato credere che una persona che non sa vivere una vita sessuale coerente col proprio cuore possa trovare un’ancora di salvezza nel matrimonio. Sono disposto a sostenere contro chiunque che anzi, in questi casi, il matrimonio fa deflagrare quelle tensioni non risolte che, una vita a due, rende esplicite e amplifica. È vero cioè esattamente il contrario: hai, dirò con un eufemismo, una vita sessualmente disordinata? Allora non ti sposare: non coinvolgere nei tuoi problemi una persona che dovresti amare e rispettare. Facciamo un giro sui social in occasioni come queste e troveremo invece tanti commenti “cristiani” improntati all’idea che la donna e il matrimonio siano la via facile, la soluzione a problemi personali che si sono rimandati di affrontare. Sono quelle argomentazioni che radicano nel terreno di coltura che ritiene il celibato più difficile del matrimonio: quando Dio chiede “di più” chiede il celibato, invece se si accontenta di te chiede la strada “facile” del matrimonio. Il che dimostra come l’idea del matrimonio “rimedio della concupiscenza” non radichi nel mondo ecclesiastico ma nell’egoismo sessista del cuore umano. Il che è peggio.Tratto da farodiromaSul libro di Ezio Romeo vedi l'articolo per La Stampa: “Lui, Dio e leiˮ, sfide e problemi del celibato nella Chiesa:
S'intitola Lui, Dio e lei. Il problema del celibato nella Chiesa: visto il sottotitolo e l'ampia introduzione autobiografica di Gianni Gennari, giornalista felicemente sposato e un tempo prete romano, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un libro a tesi, scritto con la segreta intenzione di contribuire a rimuovere la legge ecclesiastica che da secoli riserva il sacerdozio soltanto a uomini che siano celibi e s'impegnino a continuare ad esserlo.
In realtà il saggio di Enzo Romeo, vaticanista del Tg2 (Rubbettino editore, pag. 288, 16 euro), presentato la sera del 16 ottobre 2018 al Centro Russia Ecumenica di Roma, non è un libro a tesi su uno degli elementi più caratterizzanti della Chiesa latina: non ha lo scopo di favorire le riforme da decenni suggerite dall'agenda cosiddetta “progressistaˮ, né intende assecondare i tentativi di assolutizzare e quasi “dogmatizzareˮ il celibato sacerdotale come sembrano talvolta voler fare alcuni ambienti cosiddetti “conservatoriˮ. Lui, Dio e leipresenta lo stato della questione, dando voce a vari testimoni, facendo emergere aspetti positivi e problematici: tra questi ultimi c'è certamente quello della solitudine del prete, ben spiegato dalla lunga testimonianza in prima persona di Damian Vallelonga, ex sacerdote oggi psicologo clinico.
Accurata e utile la ricostruzione storica sul celibato sacerdotale, la cui progressiva codificazione per secoli non fu certo garanzia di sani costumi tra il clero. Decisivo in questo senso fu il Concilio di Trento (1545-1563), che definì la dottrina sulla superiorità della verginità e del celibato rispetto al matrimonio ai tempi della Controriforma.
Leggendo le pagine di Enzo Romeo ci si rende conto del valore rappresentato dal celibato e delle ragioni che hanno portato la Chiesa latina a renderlo regola vincolante per il proprio clero. Non è abolendolo che si risolveranno, ad esempio, i problemi degli abusi sui minori e sugli adulti vulnerabili. Al tempo stesso emerge la necessità di ripensare la formazione nei seminari come pure l'organizzazione delle parrocchie sul territorio di fronte alla diminuzione delle vocazioni e soprattutto al contesto socio-culturale profondamente cambiato.
Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno e presidente della Commissione CEI per il clero e la vita consacrata, nonché assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana, intervistato nel libro, non ritiene che togliere l’obbligo del celibato eliminerebbe certe tentazioni che portano a violare il voto di castità. «A causa della carenza di preti forse si arriverà a togliere l’obbligo, ma quel giorno la Chiesa sarà più povera. Se avessi una famiglia non potrei consegnare il mio cuore alla Chiesa. Se fossi un prete sposato e dovessi scegliere tra la parrocchia e la famiglia, il mio cuore sarebbe obbligato a stare dalla parte della famiglia. Nella mia diocesi c’è un prete ortodosso che ha una bella famiglia, e quella viene prima. Due domeniche fa dovevo andare nella sua chiesa per un saluto, ma ha avuto un problema serio col figlio e abbiamo dovuto spostare l’appuntamento. Noi cattolici lo vediamo con i diaconi: a loro dico sempre “prima la vostra famiglia”, anche a costo di rinunciare a dei servizi».
Non appare dunque oggi in discussione la norma del celibato, sul cui valore si è più volte espresso anche Papa Francesco, sempre deciso, quand'era arcivescovo di Buenos Aires, nell'invitare i preti a non vivere una doppia vita. Ma la Chiesa cattolica, anche quella di rito latino - gli orientali cattolici hanno da sempre il clero uxorato - ha ammesso eccezioni, come nel caso dei preti anglicani che rientrano in comunione con Roma. E in discussione sarà, negli anni a venire, non la possibilità per i preti di sposarsi ma l'eventuale ordinazione sacerdotale di uomini sposati già maturi e avanti con l'età. Casi particolari, legati a situazioni particolari, come quello dell'Amazzonia.
«Io penso che si arriverà ad avere sacerdoti sposati», spiega Sigismondi, «ma non attraverso l’abolizione del celibato. Conosco delle coppie che hanno una bellissima vita di fede e personalmente sarei pronto ad affidare qualche parrocchia a dei viri probati. Ripeto, ciò che conta è che ci sia un cuore totalmente consegnato. Ma dev’esserlo sempre, perché il tempo si può riprendere tutto e farti pagare anche gli interessi col segno della tristezza. Se un prete, magari molto bravo, si spende ma non si dona, allora lì c’è l’incapacità di vivere serenamente il celibato e la castità».
«Il fatto è che nella Chiesa cattolica», afferma ancora il vescovo, «manca lo strumento per vivere il celibato: la fraternità. In più, oggi le famiglie divise producono molti problemi anche in quei giovani che vogliono intraprendere il cammino verso il sacerdozio. Un prete deve imparare a gestire la sua paternità spirituale, più che le proprie pulsioni sessuali. Naturalmente si deve saper dominare i propri istinti (e ciò vale anche per chi si sposa!). Serve una bella ascesi, specie tra i trenta e i quarant’anni, il periodo più difficile per un prete, che avverte forte la paternità e deve saperla gestire senza sentirsi “babbo”. Va posta attenzione per non cadere nelle “dipendenze” che portano a cercare a tutti i costi un rapporto padre-figlio, confondendo paternità spirituale e genitorialità. Equivoci nei quali si può anche insinuare l’omosessualità».