Il prossimo Sinodo sui giovani: “la Chiesa che manca”?
Vi propongo una mia sintesi delle riflessioni relative al tema dei giovani e la fede.
L’avvicinarsi
del prossimo Sinodo dei Vescovi (3-28 ottobre 2018) su “I giovani, la fede e il
discernimento vocazionale” ha acceso i riflettori ecclesiali su un altro punto
dolente: l’assenza dei giovani (16-29 anni) dalla Chiesa occidentale e la
conseguente crisi vocazionale.
I
dati statistici parlano chiaro: con una tendenza al ribasso, circa la metà dei
giovani si definisce “senza Dio” o “senza religione”.
Inoltre,
i giovani che rientrano nella categoria dei "credenti convinti e
attivi" non superano il 15% e rappresentano un gruppo che si sta
assottigliando nel corso degli anni, anche se si compone di figure consapevoli
e reattive. Il trend dunque appare sufficientemente chiaro: non mancano
soggetti che nella società aperta vivono con entusiasmo e impegno un'opzione
religiosa e un'appartenenza ecclesiale consapevole, smarcandosi dal sentire
diffuso; ma molti mantengono un legame allentato e assai soggettivo con la fede
della tradizione in cui sono stati formati e educati; mentre sono in sensibile
aumento quanti hanno ormai spezzato il legame con l'identità cristiana e
cattolica ritenendosi ormai in posizione ateo-agnostica o di indifferenza religiosa[1].
Del resto è sufficiente partecipare ad una Messa domenicale
per verificarne la loro l’assenza o la presenza alquanto minima[2].
Perché i giovani
(in occidente) disertano sempre più la Chiesa?
L’INSIGNIFICANZA PRATICA DELLA FEDE
Una
delle cause è, a mio giudizio, l’insignificanza pratica della loro fede,
bloccata tra famiglie distratte e poco convinte, esperienze di catechismo a dir
poco negative e comunità ingessate, invecchiate e individualiste.
«Penso che sia possibile avere un rapporto con Dio a prescindere dalla
Chiesa... per cui non credo sia necessario dover andare in Chiesa per forza
ogni domenica... oppure avere un dialogo con un parroco o confessarsi...». La
posizione di questa giovane rappresenta l’opinione della maggioranza di quei
giovani che continuano a ritenersi credenti e cattolici, anche se hanno
abbandonato le pratiche della vita cristiana[3].
Sono giovani “cattolici” che non solo non frequentano,
se non occasionalmente, la Messa, ma hanno presto abbandonato l’abitudine a
pregare: dalle “preghierine” della sera, prima di andare a dormire, al
riferimento sporadico ed emotivo a Dio, a cui rivolgersi solo in rare
occasioni. Senza Messa, senza preghiera, senza una comunità di riferimento,
senza una famiglia che stimoli e sostenga la fede vacillante dei suoi figli
(perché vacilla e è insignificante già la propria di fede), cosa rimane al
giovane che pur continua a considerarsi cattolico? E’ come il rapporto con un
parente che non frequentiamo più da anni: sappiamo che esiste, ma è lontano e ben
poco significativo per la mia vita.
La crisi delle istituzioni
Pensiamo anche al rapporto che i giovani hanno con
qualsiasi tipo di istituzione:
Per una sensibilità fortemente connotata in senso individualistico e
soggettivo, è difficile accettare quelle realtà esterne a sé che hanno proprie
regole, proprie gerarchie, linguaggi e culture che non sono adattabili o
modificabili a piacere. La presa di distanza da queste realtà prende per i
giovani la forma della sfiducia, più che del conflitto esplicito[4].
Le radici di questa sfiducia sono da rintracciarsi
nella “rivoluzione del ‘68” che ha
non solo svuotato di autorità la società e la Chiesa, ma ha anche trasformato
il contenuto della fede stessa per renderla più aderente a convinzioni più
leggere e facilmente condivisibili.
Ma il cristianesimo, secondo la celebre espressione di papa Benedetto XVI,
non è l’insieme delle nostre convinzioni su Dio:
«all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica
o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà
alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva » (Deus caritas est, 1).
Chiedete ai giovani catechizzati di
parlarvi di Dio: in gran parte vi parleranno di una “entità spirituale” che –
forse - ha creato il mondo, che – forse - ci ama. Si dimenticheranno però di
parlarvi di Gesù Cristo che ci ha rivelato chi sia Dio e ci ha mostrato come
vivere da figli e da fratelli dello stesso Padre. Nel loro orizzonte di fede non
c’è Gesù Cristo - la sua rivelazione, passione, morte e resurrezione - non c’è
la Scrittura ne tantomeno la Tradizione; tutto è ripiegato sul benessere
individuale, sull’io. Ciò che è giusto lo decido io e il mio è un Dio “a modo mio”[5]:
non è estraneo al loro mondo interiore, ma è un Dio molto privato, che sentono
comunque vicino, con cui dialogano
o che pregano quando sentono il bisogno. È un Dio anonimo, impersonale, che non prende il volto di Gesù. Pregano a modo loro ma non vanno a messa in quanto non capiscono il perché delle pratiche.
Anche se quasi tutti hanno terminato il
percorso dell’iniziazione cristiana, di quella esperienza hanno un ricordo negativo, perché l’hanno ritenuta simile alla scuola, o sono stati costretti ad imparare cose che
non capivano.
L’influenza della società
post-cristiana
I giovani, come
tutti, sono profondamente influenzati da una cultura ispirata a individualismo, consumismo, materialismo ed
edonismo, e in cui dominano le apparenze Una società “liquida” – secondo la
nota espressione del sociologo Bauman – che ha perso le
certezze e i punti di riferimento stabili (da cui l’essere liquido) dell’uomo
del passato il quale viveva in una sostanziale solidità di rapporti e punti di
riferimento. Quella odierna è una cultura pluralistica e multireligiosa che deve confrontarsi con una molteplicità di
credenze rispettandole tutte.
La fede proposta nell'età infantile e
adolescenziale viene inoltre messa in discussione dalle visioni della realtà
che i giovani incontrano nelle scuole superiori e nella più ampia società.
E ancora:
Un approccio
alla realtà che privilegia l’immagine rispetto all’ascolto e alla lettura sta
modificando il modo di imparare e lo sviluppo del senso critico. In prospettiva
non potrà non interrogare anche le modalità di trasmissione di una fede che si
basa sull’ascolto della Parola di Dio e sulla lettura della Sacra Scrittura[6].
Non è corretto tuttavia ritenere in maniera semplicistica
che
il nostro sia il tempo della scristianizzazione, della secolarizzazione spinta,
della perdita totale del senso religioso. Per cui l'oggi della fede sembra ben
poca cosa rispetto a un passato (più o meno remoto) descritto sempre come l'età
dell'oro della religiosità, dimenticando il peso esercitato dal conformismo
sociale o dalla mancanza di alternative, in una situazione in cui era (quasi)
impossibile non credere in Dio e non aderire alla fede della tradizione[7].
Le
colpe delle famiglie
Non ha certo giovato, nella
maggioranza dei giovani cattolici, l’esperienza di catechismo che hanno vissuto
da piccoli:
Il percorso
catechistico che i giovani hanno frequentato per l’iniziazione cristiana ha
lasciato in loro il sapore della costrizione; ha dato loro in molti casi delle
adeguate conoscenze della vita cristiana ma non ha dato loro una comunità, non
ha fatto loro sperimentare il calore delle relazioni e il piacere di
frequentarle, com’è nel ricordo di questo giovane: «È stata
un’esperienza, diciamo, sofferta [...], l’ho vista sempre come un’attività
particolarmente noiosa. Ritengo che sia un’attività che una persona deve fare
solo se effettivamente lo vuole. Mentre il catechismo rientra in tutta quella
serie di formalità che si è tenuti a fare per una questione di tradizioni, di
educazione... Più una spinta della propria famiglia che una scelta interiore
come invece dovrebbe essere».
E’ proprio nella convinzione
di non dover imporre qualcosa che si dovrebbe scegliere liberamente, che molti
genitori assecondano i loro figli nella decisione di non proseguire il
catechismo oltre la prima Comunione (a 9 anni circa). Del resto, nella selva di
impegni pomeridiani dei loro figli, rinunciare a qualcosa (considerato “non
essenziale”) semplifica anche la loro vita.
Ma un bambino di 9 anni è in
grado di scegliere cosa è meglio per lui? Convinto, sostenuto dai coetanei, e
spesso – involontariamente - dagli stessi genitori, che ciò che vale è ciò che
diverte o emoziona, che possibilità ha la fede di trovare spazio nella sua
vita? Essa è relegata in second’ordine e presto dimenticata in quanto
irrilevante. Anche i genitori più motivati arrivano facilmente ad arrendersi di
fronte alla corrente contraria e all’ostinazione dei loro figli che si
oppongono alla loro richiesta di andare a catechismo e, soprattutto, a Messa. I
figli hanno dalla loro una serie di armi micidiali: l’incoerenza dei genitori,
il “bisogno” di riposare almeno la domenica, di avere più tempo per studiare e
per portare avanti i loro molteplici impegni e interessi. Si va a dormire
sempre più tardi e la mattina si fatica a svegliarsi presto: la maggior parte
dei giovani passano la domenica mattina a letto, svegliandosi solo per l’ora di
pranzo. Del resto è lo stile della vacanza “moderna”: periodo che si passa
vivendo più di notte che di giorno, cercando distrazioni e divertimenti che
possano svagare più che stimolare o far riposare.
Poi ci sono i centri
commerciali aperti di domenica, le feste di compleanno spalmate tra il sabato e
la domenica, i saggi musicali o i tornei sportivi inevitabilmente fissati nei
giorni festivi, i compiti da fare…
Quali armi ha la famiglia
per convincere i loro piccoli “tesori” a fare quello che non vogliono? Come
imporsi senza apparire opprimenti e dittatoriali? E per cosa? Ne vale veramente
la pena?
Penso che i genitori dovrebbero
iniziare a preoccuparsi seriamente per i sintomi di malessere sempre più
diffusi tra i giovani e i giovanissimi come testimonia una riflessione apparsa
qualche mese fa su internet e che ha riscosso particolare interesse. La
riflessione-denuncia, di cui riporto l’incipit, è di una psicoterapeuta
canadese convinta
che i nostri figli siano in uno stato emotivo devastante. Ma, nel seguito, ci
indica anche dei rimedi[8].
C’è una tragedia silenziosa che
si sta svolgendo proprio ora, nelle nostre case, e riguarda i nostri gioielli più preziosi: i nostri bambini.
Attraverso il mio lavoro con centinaia di bambini e genitori come ergoterapista,
ho visto questa tragedia svolgersi proprio sotto i miei occhi. I nostri bambini
sono in uno stato emotivo devastante! Provate a parlare con insegnanti e
professionisti che hanno lavorato nel campo negli ultimi 15 anni e ascolterete
le mie stesse preoccupazioni. Inoltre, negli ultimi 15 anni sono state
pubblicate statistiche allarmanti circa il continuo aumento di disturbi
psicologici nei bambini, che stanno raggiungendo livelli quasi epidemici:
Quante
altre prove ci servono per svegliarci?
Torniamo alla trasmissione della fede. Un libro che, dieci
anni fa, riscosse molto interesse è quello del teologo Armando Matteo,
intitolato “La prima generazione
incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede”. Fra l’altro
scrive:
Il
problema è che oggi di adulti credenti e di famiglie cristiane ne sono rimaste
poche in giro. I giovani di cui i sociologi evidenziano l’estraneità alla fede
sono in verità figli di genitori che non hanno dato più spazio alla cura della
propria fede cristiana, hanno continuato a chiedere per i loro figli i sacramenti
della fede ma senza fede nei sacramenti, hanno portato i figli in Chiesa ma non
hanno portato la Chiesa ai loro figli, hanno favorito l’ora di religione ma
hanno ridotto la religione a una questione di ora. Hanno chiesto ai loro
piccoli di pregare e di andare a Messa, ma di loro neppure l’ombra, in Chiesa.
E soprattutto i piccoli non hanno colto i loro genitori nel gesto della
preghiera o nella lettura del vangelo. Non emerge alcuna traccia di una
preghiera fatta in famiglia.
L’Instrumentum
laboris del prossimo Sinodo nota come vi sia
una sorta di rovesciamento nel rapporto tra le generazioni:
spesso oggi sono gli adulti a prendere i giovani come riferimento per il
proprio stile di vita, all’interno di una cultura globale dominata da un’enfasi
individualista sul proprio io. (…) Non ci mancano solo adulti nella fede. Ci
mancano adulti “tout court”». Oggi tra giovani e adulti non vi è un vero e
proprio conflitto generazionale, ma una “reciproca estraneità”: gli adulti non
sono interessati a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza alle giovani
generazioni, che li sentono più come competitori che come potenziali alleati.
In questo modo il rapporto tra giovani e adulti rischia di rimanere soltanto
affettivo, senza toccare la dimensione educativa e culturale[9].
Commenta Enzo Bianchi:
I millennials,
nati negli ultimi due decenni del secolo scorso, possono anche essere
definiti la “prima generazione
incredula”, ma si faccia attenzione e si legga con discernimento quanto
avvenuto nella generazione precedente, resasi estranea alla Chiesa soprattutto
attraverso un’inedita incoerenza: si diceva cattolica ma non frequentava più abitualmente la liturgia
domenicale e non sentiva l’appartenenza al cattolicesimo se non a livello
culturale, in quanto erede di una cultura tradizionalmente cattolica. (…)Così è
avvenuta una rottura della trasmissione generazionale della fede ed è emersa
una figura di cattolico astenico e poco convinto che, come tale, non poteva
comunicare ai figli né le esigenze evangeliche della sequela né una concreta
appartenenza alla comunità cristiana. (…) Proprio per queste considerazioni,
diventa urgente e decisivo un cambiamento nel vivere la fede cristiana: un
cambiamento che riguarda innanzitutto la generazione adulta dei padri e delle
madri, la generazione dei quarantenni-cinquantenni che deve essere raggiunta
dal Vangelo, da quel Vangelo che non è stato loro indirizzato nel tempo
della formazione cristiana. Occorre riaccendere un cristianesimo di
testimonianza, in cui comportamento e stile siano veramente coerenti con il
Vangelo professato. La
trasmissione della fede deve cominciare nello spazio della famiglia, anche
della famiglia ferita: solo se c’è convinzione salda, mite e intelligente,
allora la fede si fa eloquente, parla ad altri e si fa comprendere come un tesoro
per la vita. Se invece le istituzioni della Chiesa continuano a ignorare i
fedeli, a lasciarli in una condizione di destinatari passivi del culto e della
predicazione, se non riescono a farli partecipare con responsabilità alla vita
della comunità, continuerà una fuga senza contestazioni e nel recinto
dell’ovile resterà un numero sparuto di pecore.
I limiti delle Parrocchie e le colpe della Chiesa
Le Parrocchie hanno, a loro
volta, molte responsabilità: percorsi catechistici noiosi e infantili, affidati
a “nonne” spesso impreparate sia didatticamente sia per i contenuti, incapaci
di coinvolgere e di convincere, di testimoniare e di far vivere quello di cui
parlano.
Il linguaggio che si usa, il
ritualismo incomprensibile ed emotivamente neutro, liturgie noiose e prediche
astruse hanno contribuito all’allontanamento dei giovani dalla Chiesa. Del
resto: cosa c’entra la Chiesa col mio rapporto con Dio?
L’esasperazione dell’individualismo prevalente oggi nella sensibilità
diffusa, unita a un’esperienza catechistica vissuta con disagio, ha finito con
il generare una forte insofferenza verso la Chiesa[10].
Questa si è inoltre macchiata di peccati, incoerenze e
sbagli storici che la rendono poco credibile, intollerante, sessuofoba, collusa
con il potere…
È comune ai giovani, sia a quelli vicini che a quelli che si sono
allontanati, un atteggiamento critico nei confronti della Chiesa, più
distaccato in chi se ne è andato, più partecipe in chi è rimasto ma vorrebbe
una Chiesa diversa, soprattutto una Chiesa più coerente, disposta a proporsi
con indicazioni meno perentorie, più dialogica, più attenta alla vita di oggi.
Non è detto che chi resta dia tutto per scontato, come lascia intendere la
testimonianza di questa giovane: «Se il Papa dice che è sbagliata una certa cosa,
non è che io l’accetto punto. Ne parlo, ne discuto, cerco di capirlo, poi
chiaro che mi fido del suo giudizio. Ma questo non vuol dire che non abbia
dubbi, o che non ne parli, o non cerchi di approfondire la questione»[11].
Sono molti i giovani, anche quelli che si dichiarano
cattolici, a giudicare la Chiesa come troppo severa e spesso associata a un
eccessivo moralismo”. Le chiedono autenticità: la sognano “trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa,
accessibile, gioiosa e interattiva”. “Meno istituzionale e più relazionale” [12].
Non tutto è perduto
I giovani, con modalità differenti, mostrano di cercare
ancora una dimensione spirituale e vogliono comprendere il senso della propria
esistenza confrontandosi con le molteplici risposte che vengono loro offerte.
«Chi
sono veramente io? Chi voglio essere? Come diventare me stesso? Che cosa posso
sperare? Che senso dare alla mia vita? Mi ritrovo davanti a un muro: come
abbatterlo? O devo forse scalarlo?». Queste le domande dei giovani, a volte
vissute in modo tragico, nella sensazione che non vi siano risposte se non il
nulla. (…)I giovani oggi sono sempre
più lontani dalla fede cristiana, ma abitano non una terra atea bensì una terra
di mezzo in cui regna l’indifferenza per Dio e per la Chiesa. Questo è però un
terreno aperto alla ricerca, alla vita interiore, alla spiritualità, un terreno
assetato di grammatica umana.
Attraverso le loro domande, sovente mute, i
giovani chiedono che sia indicato loro il senso, la chiamata/vocazione alla
vita. Sì, la vocazione che vorrebbero ascoltare e
discernere è la vocazione alla vita, al vivere che è la chiamata unica e
irripetibile per ogni persona da parte di Dio, anche nella fede cristiana. Come
tutti gli umani, anche i giovani sono chiamati a vivere in pienezza, a fare
della propria vita, per quanto è possibile, un’opera d’arte consapevole:
chiamati dunque alla felicità, perché la vita buona e bella sa anche dare la
felicità[13].
Hanno una moralità e dei valori per cui vivere. In
ambito ecclesiale:
L’allontanamento dalla pratica religiosa e dagli ambienti ecclesiali dopo
la Cresima ha significato tagliare i ponti con la Chiesa in generale; in molti
casi non l’abbandono della fede ma piuttosto l’approdo a una fede solitaria e
privata. Con significative conseguenze sulla qualità della fede stessa, perché
una vita cristiana da adulti, senza il supporto e il confronto con una
comunità, la sua cultura, la sua spiritualità, il suo modo di valutare la vita,
alla lunga genera una fede che, più che essere personale, è soggettivistica, 'a
modo mio'[14].
Indicazioni
Dedicare tempo al silenzio, all’introspezione e alla
preghiera, così come leggere la Scrittura e approfondire la conoscenza di sé
sono opportunità di cui pochissimi giovani si avvalgono. C’è bisogno di essere
meglio introdotti in questi ambiti. Anche far parte di gruppi, movimenti e
comunità di ispirazione cristiana può sostenere i giovani nel loro
discernimento[15].
C’è poi l’oratorio estivo che richiama
la presenza non solo di tanti bambini (e, indirettamente, le relative famiglie)
e adolescenti che scoprono la gioia di mettersi al servizio dei più piccoli, ma
anche di diversi giovani che, nonostante gli impegni lavorativi o di studio
(gli esami universitari si prolungano, in genere, fino a fine luglio), si
riaffacciano per dare il loro contributo come animatori di grest e campi
estivi. Sono fuochi di paglia? C’è chi ne è convinto:
Non facciamoci ingannare o illudere dal successo di singole iniziative
come l’oratorio estivo, che riempie per qualche settimana l’oratorio di
moltissimi bambini e ragazzi, accompagnati da nuove infornate di animatori
adolescenti. Sono più simili a un gran bel temporale estivo che rinfresca e disseta,
capace di emozionare con i suoi lampi, tuoni, scrosci e arcobaleni, ma lascia
poche tracce, rischiando di rendere stagionale una proposta educativa pensata
per l’intero anno[16].
Nonostante le comprensibili
perplessità, ritengo che siano occasioni importanti per rilanciare delle
proposte e sperimentare la bellezza di un cammino di fede che può trovare
elementi di continuità durante l’anno. Esperienze in questo senso non mancano.
Saranno numericamente esigue, ma rimangono segni di speranza significativi.
Provocazioni o occasioni di rinnovamento?
Le richieste che i giovani “cattolici” fanno alla
Chiesa sono esigenti:
Vorrebbero soprattutto un ammodernamento della sua cultura, delle sue indicazioni; del
suo linguaggio, datato e persino incomprensibile, che attinge più a un
patrimonio dottrinale consolidato nel tempo che al modo di esprimersi comune
alle persone di oggi; ai giovani questo dà una percezione di vecchio che non
riescono ad accettare. E poi, al di là delle singole questioni, i giovani
chiedono alla Chiesa un cambio di stile: più aperto, più disposto al confronto,
più interessato alle questioni della vita e del mondo di oggi... Sono
convinti – tutti – che la Chiesa debba mettere mano a una grande opera di
rinnovamento, richiesta molto più dai giovani che in essa sono coinvolti che da
quelli che se ne sono allontanati e non si sentono più interpellati. Di fronte al Sinodo, si pone una domanda: e
se le critiche e le richieste dei giovani costituissero un’opportunità per il
ringiovanimento della Chiesa? Provocazioni per una conversione che potrebbe
rendere la Chiesa migliore per tutti? Al tempo stesso più evangelica e più
contemporanea. Questa è la vera grande sfida che il Sinodo ha davanti a sé[17].
Molti giovani sono attratti proprio da esperienze
esigenti e da chi sappia loro mostrare “la differenza cristiana”. Al contrario,
molti educatori fanno perno sulle “passioni deboli” dei giovani: il mondo della
musica, del volontariato o dello sport, come ambiti in cui inserirci
maggiormente per avvicinarci a loro e fare proposte “mediate”.
Non dimentichiamo inoltre i giovani che sono presenti
e attivi nella Chiesa odierna: li abbiamo visti nei grandi raduni (GMG e,
ultimo, il raduno dell’11 agosto al Circo Massimo). Molti appartengono ai
Movimenti Ecclesiali, altri alle Parrocchie italiane. Alcuni sono stati
riconosciuti come Santi o presto
saranno presentati agli Altari. Una santità ordinaria e diffuso che, nei nostri
tempi, appare particolarmente straordinaria.
Il Sinodo
L’attenzione dei Vescovi – e del Papa in modo
particolare – è stata subito indirizzata a non fare un Sinodo sui giovani
(oggetto della riflessione), ma con i giovani (soggetto chiamato in causa,
perché indichi problemi e prospettive alla Chiesa intera). Per questo il Papa e
la Chiesa hanno rivolto loro una lettera con un questionario, un seminario, una riunione
presinodale (marzo 2018) e un Instrumentum
laboris (maggio 2018), il cui testo:
è strutturato in tre parti (…) secondo il
metodo del discernimento: la I Parte, legata al verbo “riconoscere”, raccoglie
in cinque capitoli e secondo diverse prospettive vari momenti di ascolto della
realtà, facendo il punto sulla condizione giovanile; la II Parte, orientata dal
verbo “interpretare”, offre in quattro capitoli alcune chiavi di lettura delle
questioni decisive presentate al discernimento del Sinodo; la III Parte, con
l’obiettivo di arrivare a “scegliere”, in quattro capitoli raccoglie diversi
elementi per aiutare i Padri sinodali a prendere posizione rispetto agli
orientamenti e alle decisioni da prendere.
In realtà sono
rimasto un po’ scettico leggendo il testo su cui si confronteranno i Vescovi:
troppo vago e frastagliato, per seguire le molteplici differenze che si
riscontrano a livello geografico. Quali proposte vengono fatte per trasmettere
la fede alle nuove “generazioni incredule”? Quali strumenti pastorali sono
suggeriti per poter dialogare con giovani indifferenti al messaggio cristiano?
Si ricorda
l’importanza del ruolo genitoriale e dei rapporti intergenerazionali, si
evidenziano difficoltà e si lasciano ampi spazi di speranza, ma non si
intravvedono proposte concrete. Tantomeno per quanto riguarda il “discernimento vocazionale”: chiarito
che esso non è finalizzato solamente a fare scelte definitive (sacerdozio, vita
consacrata o matrimonio[18]),
non si riesce a dare indicazioni concrete affinché i giovani si lascino accompagnare
da persone di fede in una ricerca esistenziale che realizzi il loro particolare
progetto di vita.
Molti giovani
mostrano sincero apprezzamento nei confronti di Papa Francesco: responsabile della Chiesa, ma profondamente umano e
anticonformista. Rivolgendosi ai giovani li invita a proposte alte,
al rischio, all’entusiasmo della fede e al gusto della ricerca. Ha chiesto loro
di non temere, di non spaventarsi mai sui nuovi sentieri da percorrere.
Nella domenica delle Palme ha chiesto loro di
gridare perché, se non grideranno i giovani, grideranno le pietre, come aveva
detto Gesù dopo il suo ingresso a Gerusalemme.
Tre
ultime avvertenze:
Ricordando
che «la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione» (EG 14), occorre
vivere ogni atteggiamento di evangelizzazione sotto il segno della gratuità,
senza l’ansia di risultati misurabili in termini di aumento del numero dei
giovani coinvolti, delle vocazioni suscitate o dei servizi assunti[19].
Tuttavia non dobbiamo dimenticare l’urgenza di quanto è in
ballo:
c’è un futuro per il cristianesimo?
Se le nuove generazioni sono così indifferenti alla fede, che ne sarà della
speranza cristiana? Risuona dunque in modo drammatico l’interrogativo di Gesù:
“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)[20].
E infine: quanto
è impossibile agli uomini è possibile a Dio. A noi pregarlo e vivere
testimoniando la nostra fede in colui che ci insegna a vivere in pienezza:
La
vita di Gesù come vita buona, nella quale egli “ha fatto il bene”, cioè ha
scelto l’amore, la vicinanza, la relazione mai escludente, la cura dell’altro e
soprattutto dei bisognosi, è vita non solo esemplare ma capace di affascinare e
di rivelare la possibilità di una “bontà” che si vorrebbe ispiratrice per la
propria vita. Ma vi è anche un’attrazione nei confronti della vita bella vissuta
da Gesù: il suo non essere mai isolato, il suo vivere in una comunità, in una
rete di affetti, il suo vivere l’amicizia, il suo rapporto con la natura...
restano molto eloquenti. Infine, vi è grande interesse per la sua vita beata,
non nel senso di esente da fatiche, crisi e contraddizioni, ma beata in quanto
Gesù aveva una ragione per cui valeva la pena spendere e dare la vita, fino
alla morte: questa la sua gioia, la sua beatitudine[21].
[1] F. Garelli, http://www.donboscoland.it/pages/la-fede-vista-dai-giovani-un-panorama-in-evoluzione
[2] La loro presenza è oggi stimata intorno al 2% (dato
Ipsos).
[3] Ed è l’opinione anche di molti degli intervistati per
l’indagine dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo sul rapporto tra i
giovani e la fede, da cui provengono i brani citati in questo articolo della
Bignardi pubblicato su Avvenire l’11.07.2018 (Rita Bichi e Paola Bignardi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita
e Pensiero, Milano 2015).
[5] “Dio a modo mio” a cura di Rita Bichi e Paola
Bignardi, è un libro pubblicato da Vita e Pensiero nel 2015.
[6] I.L.,
n.57
[7] F. Garelli, cit.
[9] I.L.,
n.14
[10] P. Bignardi (cit.)
[11] Id.
[12] I.L.,
n.67
[13] E. Bianchi, https://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-quotidiani/12260-e-necessario-che-le-comunita-mostrino-ai-giovani-la-differenza-cristiana. Su Famiglia
Cristiana afferma:
“È vero che la
maggior parte dei giovani non vive il bisogno di Dio, ma nel loro perseguire
una vita sensata, un’esistenza degna e compiuta, sono insite molte possibilità
di scoprire come la fede cristiana, la persona di Gesù e il suo Vangelo siano
non in contraddizione con tale desiderio, bensì un aiuto e una promessa di
pienezza.
[14] P. Bignardi, cit.
[15] I.L., n.115
[17] P. Bignardi, cit.
[18] Si
pone, finalmente, anche la questione dei single (vedi I.L. n.
[19]
E.Bianchi, id.
[20] Id.