XXIV domenica del tempo ordinario: "Voi chi dite che io sia?"
Inizia un nuovo anno pastorale e il Vangelo ci invita
a ripartire da uno degli episodi più noti: la professione di fede di Pietro in
Gesù come il Cristo, il Messia atteso, ma anche il rimprovero che Gesù fa a
Pietro (lo chiama Satana e sicuramente non si tratta di un complimento) e ai
discepoli (intimandogli di non dire niente agli altri sulla sua identità messianica).
Il tutto parte dalle note domande: “chi dice la gente
che io sia?” e “voi cosa dite?”. Chi è Gesù per il mondo e chi è per me, che
rapporto ho con lui.
La gente lo riconosce come un profeta (Elia, il primo
grande profeta, o Giovanni Battista: grandi uomini del passato), Pietro come il
Cristo. Ma anche questa definizione, teoricamente corretta, non è sufficiente:
il Cristo, cioè l’Unto, l’Inviato da Dio promesso da secoli, doveva – secondo l’immaginario
corrente – ristabilire il potere del popolo d’Israele umiliato dai Romani. Un
Re, dunque, vincente sul piano militare e politico.
Gesù deve fare piazza pulita con questa mentalità che
appartiene agli uomini, ma non a Dio: inizia dunque a prepararli a quello che
accadrà con il primo dei tre annunzi della sua passione, morte e resurrezione.
Annunzi che riceveranno sempre incomprensioni e comportamenti ambigui da parte
dei suoi stessi apostoli.
Per questo non devono parlare di Lui come il Cristo,
se non dopo che siano accadute queste cose. Pietro stesso le rifiuta e si mette
a “rimproverare” Gesù. Pretende di sapere meglio lui come Dio deve agire. Da
qui la risposta dura di Gesù che lo invita a rimettersi al proprio posto,
quello del discepolo che non pretende di farsi maestro, ma del discepolo che
segue il maestro, che impara alla sua scuola. “Tu – lo rimprovera Gesù – ti fai
strumento di Satana (colui che ostacola, che cerca di far cadere), ragioni
secondo gli uomini e non secondo Dio”.
Come ragionano gli uomini? Qual è la mentalità di
questo mondo? Di fronte alle difficoltà, alle responsabilità, ai pericoli
conviene fuggire, rifiutare, ribellarsi. Dio invece affronta le difficoltà,
reagisce con la non violenza descritta dal profeta Isaia, risponde al male con
il bene e vince il male (estremo) con il bene (estremo, disposto a donare la
sua vita). Il mondo ci spinge a salvare noi stessi, a mettere il nostro
benessere prima di ogni altra cosa. Per questo non ci si sposa (al massimo si
convive), non si fanno figli, si ignora chi abita nel nostro stesso palazzo e
si è indifferente nei confronti dei bisogni di coloro che ci passano accanto. Si
evita ogni responsabilità, si cerca solo ciò (e chi) mi conviene, solo ciò (o
chi) mi faccia divertire senza pensieri e conseguenze impegnative.
Gesù ci avverte: chi vive per sé stesso, chi si mette
al centro di tutto e sopra agli altri e crede di realizzare la propria vita e
salvarla, in realtà la perde, la spreca. Chi invece si decentra (come fanno i
genitori nei confronti dei figli, un coniuge nei confronti dell’altro, un amico
nei confronti di coloro che ama) e mette la sua vita al servizio degli altri
(ama cioè secondo il modello di Gesù, disposto a sacrificare sé stesso: questa
è la croce), attraverserà la sofferenza per vivere pienamente e per sempre.
chi
vuole essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di considerare se stesso
come misura di ogni cosa; deve rinunciare a difendersi
e accettare di portare lo strumento della propria condanna a
morte; deve uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi
totalmente al Signore. Solo chi accetta di fare questo può conoscere Gesù Cristo e cogliere se
stesso in lui; in caso contrario finirà per rinnegare Gesù, come Pietro (cf. Mc
14,71).
Ma noi cristiani siamo ancora convinti che vale la pena perdere la vita per Gesù Cristo e per il suo Vangelo? Ovvero: crediamo che il suo amore vale più della vita (cf. Sal 63,4), che solo a motivo di questo amore trova senso ogni nostra rinuncia, ogni sofferenza che ci può essere dato di vivere? (E. Bianchi)
Ma noi cristiani siamo ancora convinti che vale la pena perdere la vita per Gesù Cristo e per il suo Vangelo? Ovvero: crediamo che il suo amore vale più della vita (cf. Sal 63,4), che solo a motivo di questo amore trova senso ogni nostra rinuncia, ogni sofferenza che ci può essere dato di vivere? (E. Bianchi)