LA VITA SESSUALE TRA CHIESA E SOCIETA'. Introduzione (II parte)0.2
AL CENTRO L'AMORE. Il tentativo di dialogare e di educare le nuove generazioni
Alcune riflessioni che potrebbero diventare un libro da pubblicare. Questa è, al momento, la seconda parte dell'introduzione.
Alcune riflessioni che potrebbero diventare un libro da pubblicare. Questa è, al momento, la seconda parte dell'introduzione.
Il
dialogo è fatto di ascolto, esige delicatezza e rispetto, non offre risposte
preconfezionate, sa valorizzare il bene che è presente nell’altra persona,
mette in discussione le proprie convinzioni cercando punti di incontri,
elementi condivisibili. Cantalamessa invita ad evitare l’errore “di passare
tutto il tempo a controbattere le teorie contrarie, finendo per dare loro più
importanza di quello che meritano”. Suggerisce di seguire il metodo inaugurato
dal Concilio Vaticano II: dialogare anziché scontrarsi con il mondo. E’ “un
metodo che non esclude l’autocritica” e che cerca “di vedere se al fondo anche
delle contestazioni più radicali non ci sia una istanza positiva da accogliere”[1].
Ho
cercato di superare i muri eretti tra la Chiesa e la società occidentale che,
in una accelerazione sempre più forte, ha scoperto i valori della permissività,
della tolleranza, del rispetto, dell’uguaglianza, ma ha spesso dimenticato la
fragilità e l’immaturità dell’essere umano. Questo ha perso ogni riferimento,
sballottato da una mentalità relativistica, consumistica ed
edonistica che lo ha lasciato solo ad affrontare una forza vitale,
quella della sua sessualità, di cui conosce solo l’aspetto tecnico, ma di cui
spesso ignora i meccanismi interiori e la finalità. Come incanalare tale forza
senza far del male a sé stessi e a coloro che si presume di amare?
Spesso
rischiamo di essere come adolescenti “fragili e spavaldi”[2]
che ricercano emozioni forti, divertimento e piacere e pensano di avere la
chiave e il diritto di ottenere tutto e subito; adolescenti che rimangono
affascinati dall’ideale di un amore puro e per sempre, ma sono allo stesso
tempo quasi rassegnati ad accontentarsi delle briciole per paura del
fallimento.
Quello
che segue è dunque un tentativo di dialogo tra mondi lontani che lascerà
insoddisfatto chi cerca risposte esaustive e chiare. Preferisco le domande che
aprono nuovi sentieri più che le risposte che bloccano e appesantiscono senza
lasciare speranza. “Le risposte ci
appagano e ci fanno star fermi, le domande invece ci obbligano a guardare avanti
e ci fanno camminare”[3].
Dialogare
significa ascoltare e condividere esperienze, idee ed ideali, senza potersi trincerare dietro la dottrina morale
della Chiesa che è pur mio dovere aiutare a comprendere e vivere. Una dottrina
che ha una storia, un suo dinamismo, una sua crescita. Una dottrina che ha il
suo primo riferimento nella Bibbia, in una Parola che “cresce con chi la legge”[4],
rileva implicazioni nuove a mano a mano che le vengono poste domande nuove. E oggi
di domande nuove ce ne sono tante.
Il tentativo di educare le nuove
generazioni
L’adolescenza (sempre più anticipata e prolungata) è il difficile
tempo delle contraddizioni: tempo di ideali e di rassegnata sfiducia, di forte emotività
e di noia, di provocazioni e di conformismo. Tuttavia, ricorda il Papa,
l’adolescenza non è una malattia che dobbiamo combattere: essa “fa parte della
crescita normale, naturale della vita dei nostri ragazzi. Dove c’è vita c’è
movimento, dove c’è movimento ci sono cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è
speranza, gioia e anche angoscia e desolazione”[5].
I nostri ragazzi crescono spesso in prigioni dorate: case e
famiglie che li fanno sentire amati, importanti, pezzi unici (anche perché si
fanno sempre meno figli e spesso si ritrovano senza fratelli e sorelle con cui
confrontarsi). Sono dei principi o delle principesse che possono chiedere
quello che vogliono e pretendono di ottenere tutto e subito, perché pensano di
averne il diritto. Pensate all’investimento emotivo ed economico che i genitori
devono sostenere per far crescere i propri figli: costano a tal punto da essere
un vero tesoro. I bambini crescono pieni di attenzioni e complimenti: sono in
effetti sempre più belli – grazie anche ad una migliorata qualità di vita
alimentare e di salute – e sono sempre più precoci – grazie ai mille stimoli
che ricevono, non dovendo mancare loro strumenti ed opportunità: asilo
bilingue, corsi di musica, sport variegati… L’agenda dei loro impegni è spesso
così fitta da farli desiderare il riposo in casa, circondati di giocattoli
hi-tech, impossibilitati di conoscere la noia e il dolce far niente. Il
confronto con il mondo esterno è spesso inclemente: lì si ritrovano in mezzo ad
altri principi e principesse che faranno il possibile per emergere e non
perdono occasione per mostrare i difetti degli altri e farli diventare motivo
di derisione, così da poter sembrare migliori, in quanto privi degli stessi
difetti. Oltretutto il confronto con i coetanei diviene sempre più importante:
i genitori e i parenti non trasmettono la verità, solo gli amici ti aiutano a
capire chi sei.
Quanta fragilità c’è nei nostri adolescenti: spavaldi al punto da
sentirsi in diritto di essere considerati adulti dai genitori e non criticabili
dai loro insegnanti, ma fragili al punto da dipendere dal giudizio dei
coetanei, timorosi di poter apparire diversi, inadeguati, sfigati, angosciati
per ogni piccolo difetto che notano nel loro corpo. Da qui una conformità sull’
abbigliamento, linguaggio, desideri,
comportamenti… tutto deve corrispondere alle attese dei compagni.
Inoltre la società in cui viviamo attribuisce maggiore valore all’apparire e
all’avere che all’essere: valgo non per quello che sono, ma per come appaio
agli occhi degli altri, per il successo che mi viene attribuito anche a colpi
di “like” sui social media. Dalle ragazze ci si aspetta che siano sexy e
“moderatamente” disponibili, seduttive e ammiccanti, disinibite nel mostrare il
fisico giusto e i vestiti alla moda. Anche i ragazzi devono apparire secondo i
canoni estetici del momento: va bene la barba incolta, ma niente peli sul
corpo; si mette in mostra il boxer griffato, le caviglie nude, scarpe da
ginnastica colorate e da indossare categoricamente senza mostrare i calzini
(perché i calzini – si usa dire nel gergo giovanile – sono “antisesso”). Si può
vestire in maniera originale, ma secondo canoni prestabiliti che ti inseriscono
in una precisa corrente di moda riconoscibile.
Ma chi
insegna ai nostri giovani l’arte di amare? Chi li aiuta a maturare una
equilibrata affettività e sessualità? Chi li aiuta a
riconoscere un amore vero? A distinguerlo dall’infatuazione e
dall’innamoramento? A farlo crescere e non distruggerlo col proprio egoismo? A
vivere, in sintesi, una sessualità sana, umana e umanizzante? Viviamo in
un clima di soggettivismo, di relativismo culturale in cui ognuno è
verità a se stesso e questo mette in crisi non solo la Chiesa, ma chiunque
cerchi di dare indicazioni su ciò che è bene e ciò che è male. Sul discorso
della sessualità questo è ancor più evidente: i messaggi che arrivano ai
giovani e ai giovanissimi sono tutti orientati alla libertà, alla soddisfazione
personale. Sono messaggi, direi, scriteriati: nel senso che sono privi di
criteri morali. Oggi si fa educazione sessuale, che prima non si faceva, ma (…)
nessuno si ferma a spiegarne il significato, a dire cosa vuol dire amore, cosa
vuol dire affetto, relazione, comunione tra due persone. Si trasmette una
visione molto riduttiva della sessualità, che impedisce di cogliere la bellezza
di una realtà che invece chiede di essere vissuta per quello che è: un dono che
Dio fa all'uomo, un dono bello, che ci arricchisce come persone. Oggi i ragazzi
pensano di sapere tutto, e invece c'è molta ignoranza[6].
In effetti impariamo e conosciamo sempre più cose, ma sull’amore e
sulla sessualità – questioni vitali e massimamente coinvolgenti – siamo
rinviati alla nostra personale esperienza, o ad informazioni poco equilibrate
offerte dai coetanei o dai mass media che, della sessualità, si limitano a
dirci come funziona il rapporto sessuale e come evitare malattie o gravidanze
indesiderate.
In realtà i ragazzi sono abitati dalle grandi questioni esistenziali di sempre:
“Chi sono io?” “Qual è il senso della mia vita?” “Sono una persona amabile e
unica?”. Il preservativo e la pillola sono mezzi che rispondono alla paura di
una gravidanza inattesa e alla paura di trasmissioni di malattie, ma che non
rispondono alle domande di fondo. I giovani non hanno bisogno di sapere altro sul sesso, ma di crescere, formarsi, conoscersi,
appassionarsi a cose grandi.
Quando si è adolescenti, la questione non è sapere se
l’aborto sia una fortuna o un male, o come si mette un preservativo. È un
periodo di sviluppo personale, in cui si impara a conoscersi: “Qual è la mia
vera identità?”. Questi discorsi inadatti hanno mandato in corto circuito la
nostra crescita personale, producendo degli adulti pietrificati con un
interrogarsi adolescenziale. C’è una cronologia da rispettare, un tempo per
tutto. La formazione umana è la prima. L’educazione alla vita affettiva,
relazionale e sessuale deve essere anzitutto un’educazione (…) che costruiscono
la loro personalità. Si tratta di conoscere il proprio corpo, di comprendere le
proprie emozioni, di imparare a gestirle; di sviluppare la propria autostima,
la fiducia in sé, di imparare ad affermarsi, a comunicare con gli altri; di
riconoscere e di distanziare il patrimonio famigliare; di allenarsi a
discernere, per sviluppare alfine i propri talenti, scoprire la propria
missione di vita, la propria vocazione. […] Insomma, di diventare se stessi per
essere capaci di entrare in relazione con gli altri”[7].
Troppi
genitori si sentono impreparati ad affrontare tali argomenti e si limitano ad
alimentare paure e ad offrire blande indicazioni pratiche. Non parliamo poi
della scuola o dei mass-media: chi osa parlare di amore e di sessualità, lo fa
propagandando la piena libertà dell’individuo e si limita a dare informazioni
su tecniche e rischi. Chi cerca di porre un freno o si scandalizza di fronte a pratiche
e a scelte che ritiene “negative” o “immorali” è accusato di essere un
retrogrado, un bigotto, magari un omofobo. Tuttavia la Chiesa non può esimersi
dall’educare[8]. E, ci ricorda
sempre Papa Francesco, una buona ed efficace educazione deve mettere insieme la
mente, i sentimenti e le azioni: “occorre insegnare a pensare ciò che si sente
e si fa, a sentire ciò che si pensa e si fa, a fare ciò che si pensa e si
sente”. Nel nostro specifico: aiutarli a comprendere i propri sentimenti e i
motivi delle proprie azioni, a pensare e agire in conformità con i sentimenti e
le emozioni, e ad agire seguendo quanto indicato dalla ragione e dai sentimenti[9].
L’impressione,
guardando ai nostri adolescenti, è che essi non abbiano più un gran bisogno di
ribellarsi alla famiglia trovando comoda e accomodante la condizione che essi
vivono in casa. In famiglia hanno tutto ciò che desiderano: distrazioni,
affetto, aiuto economico e beni materiali. Compresa una discreta libertà e
regole non troppo vincolanti per poter portare avanti la loro “vera” vita. Hanno
imparato a limitare al necessario il dialogo con gli adulti, così da non dover
dare troppe spiegazioni e non offuscare la loro immagine di bravi ragazzi, e a
garantire un minimo impegno scolastico e sportivo, per tranquillizzare i
genitori e mantenere il proprio spazio di libertà. Questo spazio, vissuto nelle
relazioni (più virtuali che reali) con gli amici, permette loro di mostrarsi in
modo ben differente rispetto a ciò che avviene in famiglia (dove si rimane
tranquillamente “bambini”, candidi, innocenti): il linguaggio che usano tra
loro (e in particolare nelle chat e nei messaggini) è colorito, spesso volgare,
alludente, sfacciato, sicuramente molto diverso da quello usato in famiglia.
Tra pari, con la complicità degli amici - nella certezza che nessuno ti tradirà
riferendo le tue cose agli adulti - ci si può mostrare “grandi”, vantare
performance sessuali, usare alcoolici, fumo o quant’altro aiuti a superare le
proprie timidezze e introdurre nell’eccitante mondo del proibito. Quanti
genitori ancora controllano i cellulari dei figli? Mettono filtri nell’uso di
internet? Limitano l’uso a porte chiuse delle stanze dei figli? Meglio apparire
alleati e fiduciosi che rischiare rapporti conflittuali e ancora più rarefatti?
Nella
nostra parrocchia abbiamo dedicato un intero anno pastorale a sviscerare, con i
gruppi giovanili, parecchie sfaccettature della questione “affettiva”, per
arrivare a capire che ne servirebbero ancora altri di anni e, soprattutto, maggiori
competenze e capacità educative e comunicative. Siamo di fronte a fenomeni
nuovi o che si presentano con diverse modalità: accesso alla pornografia già in
tenera età, rapporti sessuali sempre più precoci, sexting e cyberbullismo, depressioni
giovanili e legami “tossici” che possono sfociare nel dramma del femminicidio:
come affrontarli e contrastarli? Cosa motiva comportamenti patologici che
sembrano in contraddizione con la presunta libertà sessuale dei giovani?
La
prima “sorpresa”, presentando in linea generale questo tema ai nostri
adolescenti, è stata la loro ferma convinzione che l’amore sia qualcosa di
irrazionale, spontaneo e quasi istintivo, per cui è difficile, svilente e
fuorviante razionalizzarlo e parlare di regole, di volontà, di scelte… Tanti
detti sembrano confermare la loro certezza: “love is love” (l’amore giustifica ogni tipo di amore); “ama e fa ciò che vuoi”; “all’amor non si
comanda”; “va’ dove ti porta il cuore”; “il cuore ha ragioni che la ragione
stessa non può capire”… Sono solo alcuni dei celebri slogan, spesso mal
compresi, che inneggiano all’amore “libero”, senza tabù, senza regole. Ma è
proprio così? Non è già una regola, comunemente accettata da tutti, che non si
può amare senza il consenso dell’altro? Non si ritiene giusto rispettare la
fedeltà promessa al partner e quindi sbagliata l’infedeltà? Non condividiamo
tutti la condanna di chi tradisce l’amicizia provandoci con la ragazza
dell’amico? Non è diventata una consuetudine a cui conformarsi quella di non
volersi sposare, ma di convivere?
Sono
solo alcune delle regole “sociali” legate alla sfera affettiva e sessuale. A
queste regole si aggiungono, spesso contrastate, sbeffeggiate e non rispettate,
le regole morali della Chiesa sulla sessualità: sono limiti (obsoleti) ad
amare? La “volontà di Dio” e il messaggio cristiano sono volti a limitare
l’essere umano nelle sue espressioni più coinvolgenti e belle? O vogliono
piuttosto la sua libertà e la sua felicità?
[2] Cfr.G. Pietropoli Charmet, Fragile e spavaldo.
Ritratto dell'adolescente di oggi, Laterza, 2008.
[3] P. L. Ricci, Esperienze
di volo, ed. Romena, 2007.
[4] San Gregorio Magno, Omelia su Ezechiele I, 7, 8
[5] Cfr. Papa Francesco,
Discorso di apertura del Convegno della Diocesi di Roma, 19.6.2017.
[7] T. Hargot, Una
gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno 2017.
[9] Cfr. Papa Francesco,
Discorso di apertura del Convegno della Diocesi di Roma, 19 giugno 2017.