CUORE. Il luogo della lotta invisibile
Avvenire, 2
novembre 2014
di ENZO BIANCHI
Il cuore è un organo che sta al centro del nostro corpo e che
nella sua dinamica biologica pulsa per inviare il sangue fino alla periferia
del nostro essere. Il cuore, che segna la nostra vita ma anche la nostra morte,
non è solo un organo fisiologico del nostro corpo, ma è per noi anche un
simbolo sempre eloquente, perché con questa parola ci riferiamo a una realtà
molto più ampia di un muscolo decisivo per la nostra vita. Sì, il cuore è da
noi sentito come l’organo centrale della vita interiore, come la fonte delle
espressioni multiformi della vita spirituale, e per questo è situato, per così
dire, nell’'io profondo'. Mi si permetta anche una osservazione che può
stupire: il cuore è l’unico organo del corpo che non è invaso dalla
proliferazione di un cancro. Non è già questo un mistero o, se si vuole, un
enigma?
Cercando di conoscere che cosa è il
cuore nella Bibbia, nella tradizione della sapienza di Israele e poi negli
scritti del Nuovo Testamento, ci si rende conto che il termine 'cuore' ha
risonanze che non sono identiche a quelle del nostro linguaggio odierno. Quando
nel nostro contesto socio - culturale si parla di cuore, si allude innanzitutto
alla vita affettiva, alle emozioni, ai sentimenti che hanno nel cuore la loro
sede: «Il nostro cuore ama o odia, il nostro cuore è tenero o è chiuso, il
nostro cuore accoglie o respinge », siamo soliti dire. Nel linguaggio biblico,
invece, il cuore ha un significato molto più esteso perché designa tutta la
persona nell’unità della sua coscienza, della sua intelligenza, della sua
libertà; il cuore è la sede e il principio della vita psichica profonda, indica
l’interiorità dell’uomo, la sua intimità ma anche la sua capacità di pensiero;
il cuore è la sede della memoria, è il centro delle operazioni, delle scelte e
dei progetti dell’uomo. In una parola, il cuore è l’organo che meglio
rappresenta la vita umana nella sua totalità. Il cuore è il 'sito' spirituale
della presenza di Dio (e per questo è detto tópos toû theoû nella tradizione
bizantina, domus interior in quella latina), è il luogo dove Dio parla, educa,
giudica, si fa presente e abita in colui che, appunto, gli 'apre il cuore':
espressione, quest’ultima, significativa per dire come e dove accogliamo la
presenza del Signore, come ci disponiamo alla comunicazione e all’amore.
Antoine de Saint-Exupéry ha scritto: «Non si vede bene che col cuore». La Bibbia presenta questa stessa verità applicandola piuttosto agli orecchi, o meglio agli 'orecchi del cuore': tutto l’operare, il sentire, il pensare dell’uomo nasce dal cuore, quindi è il cuore che deve essere innanzitutto raggiunto dalla Parola di Dio e mettersi al suo ascolto.
È dunque evidente per quale motivo il fulcro della preghiera di Israele, il comandamento dei comandamenti, sia: Shema’ Jisra’el, «Ascolta, Israele!» (Dt 6,4), che ha assunto un rilievo teologico incomparabile, essendo divenuto la confessione di fede quotidiana del credente ebreo. Ascoltare è l’operazione primaria dell’uomo davanti a Dio, tanto che si può affermare che se dalla parte di Dio «in principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio» (Gv 1,1), per l’uomo «in principio è l’ascolto». Paolo potrà dire in questo senso che «la fede nasce dall’ascolto» ( fides ex auditu: Rm 10,17), ma - lo ripeto - da un ascolto che ha la sua pienezza solo nel cuore. Non si dà un ascolto solo negli orecchi propriamente detti, perché questo equivarrebbe semplicemente a udire un suono, a udire delle parole; si dà vero ascolto quando le parole di Dio scendono nel profondo del cuore e qui sono accolte, meditate, ricordate, pensate, collegate tra loro, interpretate e custodite con perseveranza, in modo che, grazie al loro dinamismo ispirante, diventino azione.
Senza questa qualità di vita interiore l’ascolto è vano, illusorio; anzi, è mortifero, perché quando non c’è vero ascolto allora si apre la strada alla terribile esperienza che i profeti definivano sklerokardía (Ger 4,4 LXX; cf. Ez 3,7 LXX; Sal 94 [95],8 LXX), durezza di cuore. Si faccia attenzione: ascoltare, o meglio udire la Parola di Dio con gli orecchi e non ascoltarla in verità con il cuore, o addirittura contraddirla, non è un’operazione che lascia le cose come prima di questo evento. Questo causa sclerocardìa perché la Parola di Dio è sempre efficace e nessuno, una volta raggiunto da essa, conserva la propria situazione di partenza. Come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei, «la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Essa salva oppure indurisce, con effetto moltiplicatore e progressivo, il cuore dell’uomo: tertium non datur!
Anche Gesù ha parlato del rischio della sclerocardìa. Ai farisei che lo interrogano sulla possibilità del divorzio e citano in favore la possibilità accordata da Mosè (cf. Dt 24,1), egli risponde: «Per la durezza del vostro cuore ( sklerokardìa) egli scrisse per voi questa norma» (Mc 10,5; cf. Mt 19,8). E dopo la resurrezione Gesù rimprovera agli Undici «la loro incredulità e durezza di cuore ( sklerokardìa) » (Mc 16,1). Altrove il vangelo allude alla realtà della durezza del cuore mediante un termine diverso: Gesù, in polemica con gli uomini religiosi, si mostra «rattristato per la pórosis dei loro cuori» (Mc 3,5; cf. anche Ef 4,18).
Il Nuovo Testamento ci fornisce però anche alcuni modelli positivi di ascolto con il cuore. In primo luogo quello di Maria, la madre di Gesù, che «conservava tutte queste parole, collegandole nel suo cuore» (Lc 2,19), che «custodiva tutte queste parole nel suo cuore» (Lc 2,51): quale serva obbediente essa ha ascoltato la Parola di Dio (cf. Lc 1,38) fino a concepirla, a darle carne nel suo utero. Vi è poi l’esempio di Maria di Betania, la quale «ascoltava la parola di Gesù stando ai suoi piedi» (Lc 10,39), e per questo «ha scelto la parte migliore» (Lc 10,42). Si pensi inoltre a Lidia, alla quale «il Signore aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14). Questa azione dell’aprire il cuore, espressa mediante il verbo dianoíghein, esprime un’azione terapeutica operata dalla grazia di Dio. Essa trova un significativo parallelo nell’ultimo capitolo del vangelo secondo Luca, dove per ben tre volte questo verbo è usato per significare l’apertura degli occhi dei due discepoli in cammino verso Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli ... ci apriva le Scritture?» (Lc 24,32).
Se il cuore è il luogo del nostro possibile incontro intimo con Dio, esso è però anche sede di cupidigie e passioni fomentate dalla potenza del male. Il cuore dell’uomo è il luogo in cui si scontrano gli assalti di Satana, il Divisore che «come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare » (1Pt 5,8), e l’azione della grazia di Dio. È un’esperienza comune, che la Bibbia si limita a registrare: il cuore può essere senza intelligenza, incapace di comprendere e discernere (cf. Mc 6,52; 8,17-21); può chiudersi alla compassione (cf. Mc 3,5), nutrendo odio (cf. Lv 19,17), gelosia e invidia (cf. Gc 3,14); può essere menzognero e 'doppio' ( dípsychos: Gc 1,8; 4,8), aggettivo che traspone in greco l’espressione del Salmo «un cuore e un cuore» ( lev va-lev: Sal 12,3). Di più, è possibile estendere a ogni peccato la penetrante sintesi operata da Gesù a proposito dell’adulterio: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5,28). Ora, se è vero che molti peccati, così come l’adulterio, spesso restano al livello di progetti del nostro cuore (quasi sempre per paura delle possibili conseguenze!), il metro di giudizio adottato da Gesù è radicalmente diverso: per lui già la sola impurità del cuore è una grave contraddizione alla comunione con Dio. Egli sapeva che ben prima di essere realizzato esternamente e di condurci su sentieri mortiferi, ogni peccato è già stato consumato nel nostro cuore. Dobbiamo allora diventare consapevoli che nel nostro cuore ogni giorno avviene una lotta: siamo chiamati a scegliere se accogliere e far fruttificare la Parola di Dio seminata in esso (cf. Mc 4,1-9 e par.), oppure lasciarci dominare a poco a poco, fino a lasciarci vincere senza più opporre resistenza, dalla sclerocardìa, quell’insensibilità a Dio e agli altri che ci fa vivere ripiegati su noi stessi.
In questa lotta una funzione decisiva spetta a quell’attività descritta in precedenza, l’ascolto della Parola di Dio praticato nel nostro cuore. Come lottare per ascoltare la Parola? Ce lo indica la spiegazione della famosa 'parabola del seminatore' (cf. Mc 4,13-20 e par.). Occorre saper interiorizzare la Parola, lottando contro la distrazione, altrimenti essa, come il seme seminato lungo la strada, resta inefficace e non produce il frutto della fede; occorre dare tempo all’ascolto, perseverare in esso, lottando contro l’incostanza, altrimenti la Parola, come il seme seminato sul
terreno sassoso, non produce il frutto della profondità e della saldezza della fede personale; occorre infine lottare contro le preoccupazioni, contro le altre 'parole' e i seducenti 'messaggi' della mondanità, altrimenti la Parola, come il seme seminato tra le spine, viene soffocata, resta infeconda e non giunge a portare il frutto della maturità di fede del credente.
Antoine de Saint-Exupéry ha scritto: «Non si vede bene che col cuore». La Bibbia presenta questa stessa verità applicandola piuttosto agli orecchi, o meglio agli 'orecchi del cuore': tutto l’operare, il sentire, il pensare dell’uomo nasce dal cuore, quindi è il cuore che deve essere innanzitutto raggiunto dalla Parola di Dio e mettersi al suo ascolto.
È dunque evidente per quale motivo il fulcro della preghiera di Israele, il comandamento dei comandamenti, sia: Shema’ Jisra’el, «Ascolta, Israele!» (Dt 6,4), che ha assunto un rilievo teologico incomparabile, essendo divenuto la confessione di fede quotidiana del credente ebreo. Ascoltare è l’operazione primaria dell’uomo davanti a Dio, tanto che si può affermare che se dalla parte di Dio «in principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio» (Gv 1,1), per l’uomo «in principio è l’ascolto». Paolo potrà dire in questo senso che «la fede nasce dall’ascolto» ( fides ex auditu: Rm 10,17), ma - lo ripeto - da un ascolto che ha la sua pienezza solo nel cuore. Non si dà un ascolto solo negli orecchi propriamente detti, perché questo equivarrebbe semplicemente a udire un suono, a udire delle parole; si dà vero ascolto quando le parole di Dio scendono nel profondo del cuore e qui sono accolte, meditate, ricordate, pensate, collegate tra loro, interpretate e custodite con perseveranza, in modo che, grazie al loro dinamismo ispirante, diventino azione.
Senza questa qualità di vita interiore l’ascolto è vano, illusorio; anzi, è mortifero, perché quando non c’è vero ascolto allora si apre la strada alla terribile esperienza che i profeti definivano sklerokardía (Ger 4,4 LXX; cf. Ez 3,7 LXX; Sal 94 [95],8 LXX), durezza di cuore. Si faccia attenzione: ascoltare, o meglio udire la Parola di Dio con gli orecchi e non ascoltarla in verità con il cuore, o addirittura contraddirla, non è un’operazione che lascia le cose come prima di questo evento. Questo causa sclerocardìa perché la Parola di Dio è sempre efficace e nessuno, una volta raggiunto da essa, conserva la propria situazione di partenza. Come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei, «la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Essa salva oppure indurisce, con effetto moltiplicatore e progressivo, il cuore dell’uomo: tertium non datur!
Anche Gesù ha parlato del rischio della sclerocardìa. Ai farisei che lo interrogano sulla possibilità del divorzio e citano in favore la possibilità accordata da Mosè (cf. Dt 24,1), egli risponde: «Per la durezza del vostro cuore ( sklerokardìa) egli scrisse per voi questa norma» (Mc 10,5; cf. Mt 19,8). E dopo la resurrezione Gesù rimprovera agli Undici «la loro incredulità e durezza di cuore ( sklerokardìa) » (Mc 16,1). Altrove il vangelo allude alla realtà della durezza del cuore mediante un termine diverso: Gesù, in polemica con gli uomini religiosi, si mostra «rattristato per la pórosis dei loro cuori» (Mc 3,5; cf. anche Ef 4,18).
Il Nuovo Testamento ci fornisce però anche alcuni modelli positivi di ascolto con il cuore. In primo luogo quello di Maria, la madre di Gesù, che «conservava tutte queste parole, collegandole nel suo cuore» (Lc 2,19), che «custodiva tutte queste parole nel suo cuore» (Lc 2,51): quale serva obbediente essa ha ascoltato la Parola di Dio (cf. Lc 1,38) fino a concepirla, a darle carne nel suo utero. Vi è poi l’esempio di Maria di Betania, la quale «ascoltava la parola di Gesù stando ai suoi piedi» (Lc 10,39), e per questo «ha scelto la parte migliore» (Lc 10,42). Si pensi inoltre a Lidia, alla quale «il Signore aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14). Questa azione dell’aprire il cuore, espressa mediante il verbo dianoíghein, esprime un’azione terapeutica operata dalla grazia di Dio. Essa trova un significativo parallelo nell’ultimo capitolo del vangelo secondo Luca, dove per ben tre volte questo verbo è usato per significare l’apertura degli occhi dei due discepoli in cammino verso Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli ... ci apriva le Scritture?» (Lc 24,32).
Se il cuore è il luogo del nostro possibile incontro intimo con Dio, esso è però anche sede di cupidigie e passioni fomentate dalla potenza del male. Il cuore dell’uomo è il luogo in cui si scontrano gli assalti di Satana, il Divisore che «come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare » (1Pt 5,8), e l’azione della grazia di Dio. È un’esperienza comune, che la Bibbia si limita a registrare: il cuore può essere senza intelligenza, incapace di comprendere e discernere (cf. Mc 6,52; 8,17-21); può chiudersi alla compassione (cf. Mc 3,5), nutrendo odio (cf. Lv 19,17), gelosia e invidia (cf. Gc 3,14); può essere menzognero e 'doppio' ( dípsychos: Gc 1,8; 4,8), aggettivo che traspone in greco l’espressione del Salmo «un cuore e un cuore» ( lev va-lev: Sal 12,3). Di più, è possibile estendere a ogni peccato la penetrante sintesi operata da Gesù a proposito dell’adulterio: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5,28). Ora, se è vero che molti peccati, così come l’adulterio, spesso restano al livello di progetti del nostro cuore (quasi sempre per paura delle possibili conseguenze!), il metro di giudizio adottato da Gesù è radicalmente diverso: per lui già la sola impurità del cuore è una grave contraddizione alla comunione con Dio. Egli sapeva che ben prima di essere realizzato esternamente e di condurci su sentieri mortiferi, ogni peccato è già stato consumato nel nostro cuore. Dobbiamo allora diventare consapevoli che nel nostro cuore ogni giorno avviene una lotta: siamo chiamati a scegliere se accogliere e far fruttificare la Parola di Dio seminata in esso (cf. Mc 4,1-9 e par.), oppure lasciarci dominare a poco a poco, fino a lasciarci vincere senza più opporre resistenza, dalla sclerocardìa, quell’insensibilità a Dio e agli altri che ci fa vivere ripiegati su noi stessi.
In questa lotta una funzione decisiva spetta a quell’attività descritta in precedenza, l’ascolto della Parola di Dio praticato nel nostro cuore. Come lottare per ascoltare la Parola? Ce lo indica la spiegazione della famosa 'parabola del seminatore' (cf. Mc 4,13-20 e par.). Occorre saper interiorizzare la Parola, lottando contro la distrazione, altrimenti essa, come il seme seminato lungo la strada, resta inefficace e non produce il frutto della fede; occorre dare tempo all’ascolto, perseverare in esso, lottando contro l’incostanza, altrimenti la Parola, come il seme seminato sul
terreno sassoso, non produce il frutto della profondità e della saldezza della fede personale; occorre infine lottare contro le preoccupazioni, contro le altre 'parole' e i seducenti 'messaggi' della mondanità, altrimenti la Parola, come il seme seminato tra le spine, viene soffocata, resta infeconda e non giunge a portare il frutto della maturità di fede del credente.